27 maggio, 2012

Oggetti impossibili

Alcuni oggetti sono impossibili, autocontraddittori. Lo sono i dizionari e le enciclopedie che mirano a raccogliere vasti o amplissimi settori dello scibile umano: sennonché è impensabile ed utopico riunire tutto il sapere, anche relativo ad una sola disciplina, in un libro, essendo il sapere illimitato. Inoltre nel gioco inesauribile di rimandi interni, questi libri manifestano la loro natura dedalica e perennemente estensibile. Ogni lemma, infatti, si può espandere ad infinitum ora con rinvii nell’ambito dello stesso testo ora con riferimenti ad opere esterne già compilate o da compilare. Le definizioni non definiscono; le voci si attorcigliano ad altre voci…

Anche alcune opere letterarie sono oggetti impossibili. L”Orlando furioso” è un poema senza un vero incipit, in quanto concepito come prosecuzione dell’Orlando innamorato”, e privo di un epilogo definitivo, poiché dalle ultime avventure, nella ramificazione dell’entrelacement, potrebbero rampollare ulteriori digressioni, enclaves narrative, mises en abyme…

Come intuisce Jorge Luis Borges nel racconto “La biblioteca di Babele”, è l’universo stesso ad essere un oggetto illogico. A differenza di altre narrazioni filosofiche dovute alla fantasia dello scrittore argentino, testi in cui l’enigma sfida le più sagaci interpretazioni, la storia in esame rivela, sin dalle prime righe, il significato delle allegorie. “L’universo (che altri chiama la biblioteca) si compone di un numero indefinito e forse infinito di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere”. Così il nucleo d’apertura identifica il cosmo con la sterminata biblioteca, immagine di un mondo ambiguo dove finzione e realtà si sovrappongono e si confondono. Il mondo-biblioteca, la cui infinità può essere solo congetturata, è periodico e geometrico (gli esagoni e le ricorrenze numeriche), ma il suo ordine è caotico, la sua armonia è dissonante. E’ un luogo informe, insensato, babelico. In questo modo la perfetta regolarità coincide con la suprema irrazionalità.

Tuttavia Borges non si arresta a questa conclusione per avventurarsi in un’altra esegesi: al fondo del racconto – ha osservato lo scrittore – “giace l’idea di essere sperduti nell’universo, di non comprenderlo, il desiderio di trovare una risoluzione precisa, il sentimento di ignorare la vera risoluzione.” Perciò la biblioteca può essere metafora di Dio: l’Essere supremo garantisce, di là dalle apparenze mutevoli ed incongruenti, una legge intrinseca, combinatoria. Tuttavia, pare insinuare Borges, un’ombra di irrazionalità vela lo stesso volto di Dio.

Tra gli spazi vertiginosi del tempo, tra gli incavi delle pagine indecifrabili, si accumula la polvere.

Il male stesso, sottrattigli lo scopo e la direzione, si staglia in tutta la sua gratuità e casualità più ferree. La vita, espressione incongrua del nulla in cui alberga Dio nel suo silenzio abissale, si svuota di ogni senso per essere aggiunta al catalogo degli oggetti assurdi, nel glossario dei termini di una lingua defunta, mai decifrata.

Attaccati all’esistenza come ostriche allo scoglio e, nel contempo, consci nel nostro intimo del suo peso insostenibile, della sua radicale non-razionalità, viviamo scissi sapendo che la risposta potrebbe arrivare – se mai arriverà – quando il tempo (o il Tempo?) sarà scaduto.

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

22 maggio, 2012

L’anima vuota delle cose in un componimento di Valerio Magrelli

Valerio Magrelli (Roma, 1957) immette nei suoi componimenti contenuti intellettuali, “in cui assumono una forte incidenza gli elementi del pensiero e della riflessione; di qui il taglio argomentativo e raziocinante che usa frequentemente i termini di un lessico scientifico ed astratto. La sua è una scrittura rarefatta (quasi depurata, scarnificata) che opera un processo di astrazione della materia, sottoposta ad uno strenuo controllo razionale e formale. Il rigore che ne consegue esclude ogni effusione soggettiva o sentimentale, cancellando la tradizionale ingerenza del soggetto lirico, dell’’io’. Una realtà per cosi dire mentale viene restituita nelle forme di un’estrema stilizzazione”.(G. Baldi).

Su questa direttrice si situa la raccolta “Nature e venature” (1987), in cui gli oggetti atoni ed attoniti si dichiarano nella loro ontologia indecifrabile un po’ come nell’arte iperrealista di Domenico Gnoli. La natura stessa, nella citata silloge, esibisce i suoi ingranaggi meccanici, il suo disegno schematico: giustamente, a proposito del primo Magrelli, si è parlato di esprit de géometrie, ma è una geometria che, invece di definire una lucida presa sul reale e men che meno un suo presunto logos, evidenzia il carattere asettico del mondo, la sua gelida estraneità al flusso umano.

Così in una poesia di “Nature e venature” è fissato un orologio, emblema dell’erosione che seziona e spolpa la vita dell’uomo e dell’intero universo. “Con ingranaggi, lancette, dentature/ l’orologio sembra un carro falcato/ che fa scempio del giorno, ne dilania/ la salma, lede i legami e le giunture,/ trincia le ore, le disossa, come/ la rotazione della notte strappa/ la chiarità del cielo e mette a nudo/numeri, membrature, figure,/ lo scheletro brillante e nebuloso delle costellazioni”.

La “lirica” radiografa l’immagine del tempo stritolatore per consegnarla ad uno sguardo freddo, che spoglia il cosmo della sua pelle attraente per eseguire un’impietosa anatomia di un universo tecno-biologico. Il cielo è una pagina ruvida ed alle stesse costellazioni è sottratto il chiarore poetico sostituito dalla luce artificiale di un gabinetto medico. Il campionario inventariato da Magrelli ha alcunché di funereo, ma la morte non giace nel senso del declino e della fine, bensì nell’anima vuota delle cose. E’ qui rintracciabile la poetica del correlativo oggettivo, dove il gioco delle immedesimazioni si concreta in architetture di immagini e di suoni seghettati (“lancette, dentature, rotazione, strappa, membrature, scheletro”….), nelle rime taglienti, nei versi ghigliottinati dagli enjambements.

La visione di Magrelli è la lastra Röntgen di una vita che “equivale, però, ad una non-vita.” (G. Baldi).

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

02 maggio, 2012

Eclisse del Dio unico

“Eclisse del Dio unico”: questo il titolo del libro di Ferruccio Parazzoli. Non è un saggio, ma un inventario di folgoranti aneddoti, sapidi racconti, apoftegmi sull’enigma. Si capisce: su Dio si è ragionato a lungo per collocarlo sul trono dell’universo, spodestarlo, annichilirlo, farlo risorgere… ma le argomentazioni sono deboli. Così ai gracili ragionamenti (pro e contro l'Eterno) si supplisce con la potenza della fantasia e con le metafore. Si ricorre alle immagini, in quelle circostanze in cui sarebbe necessaria una definizione letterale, stigmatizzante per catturare un’idea che, per sua natura, non si lascia catturare.

Non inganni il titolo per nulla originale: secondo Parazzoli, il Dio unico non si è temporaneamente nascosto, ma è tramontato per sempre. Il testo è stato bollato da porporati di Santa Romana Chiesa, vista l’abiura dela fede cattolica, come uno slittamento nel più melenso credo New age. Complice soprattutto l’ampia prefazione di Vito Mancuso, vi si è visto un approdo al panteismo.

Parazzoli ripropone le domande di sempre su Dio e sul “deserto del mondo” per accontentarsi di una celebrazione della natura e dell’energia? In parte. L’autore, ex cattolico, più che aderire, rifiuta. “Rifiuta il teismo ed il nichilismo: dopo la morte di Dio, l’emancipazione dal nulla è data dal pensiero, dal linguaggio, dall’atto artistico, dalla scrittura che decodifica il mondo”.(B. Vergani).

Si apprezza il volume come testimonianza estrema, vestigiale dell’uomo contemporaneo, cui non dicono più nulla né i miti classici, fondanti l’anima della civiltà, né l’antropomorfismo etnocentrico di YHWH. L’uomo d’oggi, almeno quello ancora in grado di pensare e soffrire (ma pensiero e sofferenza sono quasi sinonimi), si aggira stordito ed ebbro di niente, in una landa profanata. La fede, si ripete, è cieca. Tuttavia non perché essa sia credenza in enti invisibili, ma in quanto non vede l’inferno del reale.

I chiericuti, che hanno strapazzato Parazzoli per la sua apostasia, tuonano contro un’umanità degenere: essa si è allontanata dal Creatore, essa ha peccato, essa merita il male che la attanaglia. Sarà... Non sarà che se gli uomini hanno obliato Dio, anche Dio si è come ritratto? E’ suprema presunzione ritenere di poter comprendere l’Essere supremo ed i suoi piani imperscrutabili. E’, però, arroganza ancora più detestabile vendere i dogmi del Cattolicesimo come verità assolute per colpevolizzare sempre e solo l’uomo, dimenticando l’irredimibile contraddizione del tutto.

Vero è che se il travaglio della coscienza, le torturanti domande sul male sfociano nel panteismo, allora non si cava neppure il classico ragno dal buco. Meglio un perplesso ateismo o la ricerca inesausta, anche se probabilmente vana di Dio, che l’ultima spiaggia delle religioni New age.

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare