28 maggio, 2008

Intelligenza

Capire, comprendere, usare l'intelligenza: sono tre verbi considerati, più o meno, sinonimi, ma, come avvertiva Roman Jakobson, i sinonimi non esistono. Infatti le tre azioni dei verbi succitati sono distinte da sfumature: è vero che viviamo in un mondo in cui la percezione delle sfumature si è persa quasi del tutto, ma, proprio per questo motivo, dobbiamo tentare di recuperare una capacità di discernere anche differenze minime. Non è un esercizio ozioso: molti messaggi e segni scivolano tra le pieghe della percezione, della coscienza e della mente, rischiando di non essere decodificati.

Capire significa letteralmente prendere: già in latino, il verbo "capere", tra le numerose accezioni, annoverava quella di "capire", come sviluppo metaforico dell'azione di afferrare qualcosa in modo concreto. Capire è quindi afferrare con la mente, ma ciò che si afferra può sfuggire dopo pochi istanti, se la presa non è salda. Inoltre capire indica un'azione complessiva: si afferra il concetto essenziale, ma restano incompresi i particolari, gli addentellati che, invece, si "abbracciano" se si passa al livello della comprensione.

Comprendere è, infatti, cogliere con lo sguardo della mente il concetto centrale ed altri aspetti collaterali. L'azione acquisisce profondità, prospettiva, sebbene si rimanga ancora nell'ambito del fenomeno. Si potrebbe paragonare l'atto del capire ad un'immagine bidimensionale e quello del comprendere ad un'icona tridimensionale.

Siamo ancora lontani, però, dall'intelligenza che è un cogliere all'interno (intus e legere), un processo con cui lo sguardo della mente diventa penetrante, squarcia la superficie per scoprire, sebbene in modo confuso e provvisorio, l'essenza di là dal fenomeno. L'intelligenza è dunque dote rarissima, qualità che è spesso un dono, laddove la comprensione può essere esercitata, acuita, migliorata. Quindi penso che non tutti siano intelligenti e che esistano persone più sagaci, altre meno, altre per nulla.

Mentre la comprensione si sostanzia di cultura o, meglio, di istruzione, l'intelligenza può prescindere dalle conoscenze. E' un quid con cui una persona indotta può brillare in una conversazione, come una stella di prima grandezza, offuscando la luce fioca di molti laureati, simili a fuochi fatui.

E' per questo motivo che ritengo del tutto inutile dialogare con persone irrimediabilmente stolte, pur col capo inghirlandato di allori: la loro assoluta, granitica stolidità rende impossibile qualsiasi interazione. E' come se si volesse scrivere sull'acqua.

(1) Anche la lingua inglese conosce una distinzione tra to comprehend e to understand (stare sotto): è una differenza, oltre che di derivazione, tra la comprensione e l'intelligenza.



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4 commenti:

  1. A malincuore, devo confermare che spesso parlare con persone che non comprendono, può risultare un inutile spreco di energia vitale. Tanto meglio utilizzare tale energia per altri nobili cause.

    Ancor peggio se le persone si pongono sul piedistallo della cultura, credendo di dispensare verità assolute, le quali spesso sono affossate dallo loro ridotta capacità mentale.

    Ciao carissimo

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  2. Si pongono sul piedistallo della cultura, ma spesso sono solo degli eruditi ed è meglio l'ignoranza dell'erudizione.

    Ciao e grazie!

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  3. Verissimo! Com'è vero, sono soprattutto i particolari e le piccole cose che ti fanno scattare la molla dentro, aiutano a fare chiarezza e ti conducono in ogni cammino come un lumicino di riferimento.Bisognerebbe sempre dare importanza alle minute verità che spesso si celano dietro immensi facciate di menzogne. Un saluto affettuoso. ginger

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  4. Nietzsche ci ricorda che fondamentale è il senso delle sfumature. quindi è vero che occorre considerare i particolari, una visione d'insieme non basta.

    Ciao e grazie.

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