30 luglio, 2010

Identità

L'identità è un terreno sdrucciolevole, poiché installata sulla memoria che, nella sua natura più profonda, è una nebbia in cui i ricordi si sciolgono nell'oblio e da cui, viceversa, affiorano di quando in quando le reminiscenze. Si potrebbe paragonare l'io ad una superficie collosa, colla su cui si attaccano percezioni, sensazioni, intermittenze. Quale sia la vera sostanza dell'identità ci sfugge e non sappiamo neppure se questa ipostasi esista o se sia solo la conseguenza di un'abitudine appercettiva (percezione consapevole).

La memoria come perennità a sé stessi, come costante nell'incostanza, provoca l'identificazione ancora più del corpo, soggetto-oggetto di relazione con il mondo, poiché residuale: per questo motivo, quando il corpo è nel rilassamento e quasi insensibile agli stimoli, i pensieri ancora fluttuano in un oceano informe, prima di spegnersi nel sonno.

L'io assomiglia ad un iceberg, la cui parte visibile coincide con la coscienza, mentre la parte sotto il pelo dell'acqua non solo è di maggiori dimensioni rispetto a quella sub divo, ma anche sottoposta ad incessanti trasformazioni e modellamenti. In questa parte albergano ricordi dimenticati, immagini archetipiche; questa parte è tramata da scure vene: sono aspetti che vengono alla luce, allorquando un'oscillazione lascia emergere una superficie del blocco di ghiaccio. Fuor di metafora, la fluttuazione è un evento traumatico o un cambiamento rilevante.

Interrogarsi sui processi cerebrali legati ai ricordi, individuando quelle aree dell'encefalo che sono preposte ala memoria, può spiegare le conseguenze di traumi e malattie sulle facoltà cognitive, ma non chiarisce in che cosa veramente consista la coscienza che pare avulsa dal substrato cerebrale. Influire sul cervello con strumenti fisici e chimici (impulsi elettromagnetici, farmaci, neurotrasmettitori...) significa pure incidere sulla coscienza? Nell'oblio di sé stessi, l'io continua a sussistere come precipitato insolubile? L'io è un ente o una transitoria emersione dell’essere?

Mi pare discutibile l’attitudine oggi assai diffusa a denigrare la mente: la mente, come testimoniato dall’etimologia, è già memoria, anche se di corto raggio, e quindi presenza a sé stessi, coesione psichica da cui dipende un pur instabile equilibrio. Non è un caso se in latino “amens”, ossia privo di mente, significa “folle”, “insano”.

La memoria pura, in quanto luogo di ricordi solo potenzialmente attingibili dall'io, come riteneva Henri Bergson, è imparentata con la dimenticanza.


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2 commenti:

  1. Le cose più importanti della nostra vita si manifestano solo nel silenzio, e forse solo nel silenzio, possiamo ricercare la nostra identità, passiamo circa il 90% della nostra vita in silenzio, e quando parliamo parliamo solo per dare indicazioni fini a se stesse, ma mai nel ricercare, entriamo solo in azione solo quando siamo chiamati a parlare, solo in quel momento il nostro io viene a manifestarsi.

    E' l'impressione di essere vivi, di essere nel mondo, l'abbiamo più nettamente quando entriamo in azione, sempre quell'illusione cresciuta al dilagare della socialità, e della necessità di abitare in spazi affollati, se riferiamo a qualcuno cosa ci è successo, non possiamo fare a meno di riferirgli atti, azioni e parole dette.

    Quasi mai ci riferiamo a cosa è accaduto nel silenzio della nostra intimità, così senza nemmeno accorgerci perdiamo il senso della nostra identità, eppure è li che accadono le cose più importanti della nostra vita.

    Vediamo cosa avviene nel silenzio della nostra perduta identità: incameriamo informazioni, memorie, turbamenti, decidiamo di rompere una amicizia o di aprirne un'altra, rimuoviamo traumi e lutti, ci innamoriamo o ci disamoriamo, preghiamo, sfidiamo e trasogniamo i tabù, fantastichiamo, controlliamo o diamo sfogo a pulsioni, passioni, rancori, ci vergogniamo, ci esaltiamo, ci poniamo domande e tentiamo risposte, osserviamo e nutriamo i segreti, ma sopratutto pensiamo.

    Per capire meglio cosa ci sia nel silenzio della nostra identità, bisogna studiare cosa c'è nel parlare, manca quasi tutto quanto non è possibile esternare attraverso le parole.

    Non sono certamente pochi i nostri stati d'animo, e le elaborazioni mentali che riescono a trovare nella lingua e nella sintassi una strada per essere espressi, noi nel pensiero del nostro silenzio, non lo organizziamo seguendo le regole della grammatica, e nemmeno usando il lessico della lingua parlata.

    Per tanto molte e troppe cose restano fuori quando adottiamo le parole, la materia oscura è silenziosa è materia tangibile, comunicabile.

    Qualcuno ha scritto che: nel silenzio degli astri si specchia la morte, in quello degli uomini si nasconde il senso del vivere e la sua spasmodica ricerca della sua identità.

    wlady

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  2. Wlady, credo tu sia telepatico, perché oggi pensavo proprio alla dialettica parole-silenzio, a quanto sia prezioso, profondo il silenzio.

    Non voglio aggiungere molto al tuo sublime commento, se non un apofetgma dell'immenso Michelstaedter, un aforisma che viene a taglio: "Di parole si fanno un empiastro al dolore".

    Ciao e grazie.

    RispondiElimina

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