24 novembre, 2005

Ortodossia ed iconoclastia

Absit iniuria verbis.
“Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia ed inconsapevolezza sono la stessa cosa.” È questa una riflessione tratta dal celebre romanzo di Orwell, 1984. Considero questa massima quanto mai attuale: nel mondo d’oggi più che mai, infatti, solo coloro che non sono allineati, che riescono a ragionare contro le “verità” e i dogmi imposti dalle varie confraternite laiche e religiose sono uomini pensanti e senzienti. D’altronde, tutti i personaggi della storia che hanno dimostrato l’audacia dell’eterodossia, hanno veramente dato impulso alla civiltà ed acceso una fiaccola per illuminare il percorso dell’umanità. Mi vengono in mente Akhenaton, il faraone eretico che osò sfidare lo strapotere del clero di Ammon-Ra; Siddharta Gautama Buddha, il maestro che contestò la legittimità della divisione in caste nell’India del VI secolo a.C.; Yeshua Bar Abba, il Messia sacerdotale che tentò di diffondere nuova linfa nel rinsecchito albero dell’Ebraismo… Come non ricordare poi Apollonio di Tiana, l’imperatore Giuliano, Francesco d’Assisi, Giordano Bruno, Arthur Schopenauer, Friedrich Nietzsche, Emil Cioran, Wilhelm Reich, Paul K. Feyerabend, David Icke… solo per citarne alcuni?

Che cosa distingue il pensiero ortodosso da quello eterodosso? In primo luogo la capacità di rivedere, adattare, adeguare ai differenti contesti i propri paradigmi interpretativi della realtà. Inoltre il pensiero divergente non tollera schemi, costrizioni, limiti, poiché abbatte barriere, travalica confini, guada fiumi rapinosi, salpa verso oceani incogniti, si libra verso spazi mai esplorati, anche con il rischio di compiere un “folle volo”.

Purtroppo tale tipo di pensiero è una qualità ormai rarissima: il conformismo impera e, come se non bastasse, viene gabellato per profondità ed originalità. Eco scrive un “romanzo” e molti critici (non tutti fortunatamente) ne tessono sperticate lodi, credendo di aver letto la summa della narrativa. Messori pubblica un saggio e la maggior parte dei lettori non si accorge della puerilità con cui sono accozzate le “argomentazioni”. Ciampi tiene uno stucchevole discorso, trasudante banalità da ogni sillaba e la massa acefala dei “politici” servili ed adulatori si spella le mani in applausi.

Costoro, sebbene possano apparire, in qualche caso, dei novatori, agiscono e si muovono con le loro miserrime, penose elucubrazioni all’interno del confine tracciato dai potenti, simili a lucciole imprigionate in un bicchiere. Le opere di codesti scribacchini assomigliano a monete false, dalla sottilissima patina d’oro che nasconde del vile metallo. Anche la loro critica dello status quo, quando affiora -assai raramente, a dire il vero- è talmente scialba e convenzionale che non scalfisce neppure il sistema. Con qualche frase anticonformista, credono di aver affermato la loro autonomia d’intellettuali, ignorando che le classi dirigenti auspicano queste posizioni “libere” per ostentare la loro natura “democratica”.

Così, mentre il mondo s’incammina sempre più velocemente verso la tirannide mediatica, verso l’imposizione delle versioni ufficiali, proclamate come "verità" eterne, immutabili, dobbiamo solamente sperare che il numero degli iconoclasti aumenti sempre più. Gli idoli del nostro tempo devono essere spezzati, distrutti, ridotti in frantumi: gli idoli del nostro tempo sono la televisione, la stampa, i governi, le istituzioni internazionali, le chiese… Gli idoli del nostro tempo sono giganti, certamente, ma giganti dai piedi d’argilla.

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