Non amo generalmente il cinema, poiché lo reputo, in quanto imitazione della realtà che, a sua volta, è, per lo più finzione, doppiamente falso. Nonostante ciò, qualche pellicola merita di essere celebrata, a volte per alcuni memorabili particolari. In special modo, mi è rimasta impressa una scena di un film del quale non rammento né il titolo né il regista. In questo film, uno dei protagonisti, un adolescente, figlio di genitori ormai prossimi al divorzio, mostra alla fidanzata un video realizzato con una camera portatile, in cui per circa tre minuti è ripreso un sacchetto sbattuto di qua e di là dal vento. Nient’altro: solo il sacchetto che si gonfia, è sollevato, è risucchiato nel turbine, ricade, quando il vento si placa, per poi ricominciare quella folle, sgraziata danza.
È una sequenza potentemente simbolica, nel suo minimalismo, nella sua nuda concettualità, un’immagine della vita in balia di un destino incomprensibile. Di fronte a questa metafora visiva, si avverte inconsciamente l’ineluttabilità delle circostanze, come se ogni azione determinata dal “libero arbitrio”, rivelasse un’essenza imperscrutabile, una forza sotterranea, fatale che conduce verso una direzione decisa ab aeterno.
È una sequenza che non si dimentica, soprattutto perché contiene qualcosa di estraniante e di ineffabile, proprio come l’esistenza, proprio come l’orizzonte degli eventi.
È una sequenza potentemente simbolica, nel suo minimalismo, nella sua nuda concettualità, un’immagine della vita in balia di un destino incomprensibile. Di fronte a questa metafora visiva, si avverte inconsciamente l’ineluttabilità delle circostanze, come se ogni azione determinata dal “libero arbitrio”, rivelasse un’essenza imperscrutabile, una forza sotterranea, fatale che conduce verso una direzione decisa ab aeterno.
È una sequenza che non si dimentica, soprattutto perché contiene qualcosa di estraniante e di ineffabile, proprio come l’esistenza, proprio come l’orizzonte degli eventi.
E già
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