I telegiornali ed i quotidiani dànno sempre maggiore spazio al problema della criminalità: senza dubbio la questione è grave, ma è enfatizzata dai media ufficiali affinché le persone si abituino alla società del controllo, delle telecamere installate in ogni dove, della rinuncia ad ogni residua libertà in nome della “sicurezza”.
Non è questo, però, il tema su cui voglio soffermarmi (1), quanto sulla relazione che intercorre tra assetti urbanistici ed architettura, da un lato, comportamento umano dall’altro. Senza addentrarsi così in sterili analisi sociologiche e criminologiche, si può osservare che la percezione degli spazi, l’interazione con i luoghi ed il movimento all’interno di coordinate topologiche influiscono sulla condotta.
Se gli edifici in cui "viviamo", lavoriamo e ci “svaghiamo” fossero dimensioni aperte verso l’aria, l’acqua, i prati, se si creasse un’osmosi tra interno ed esterno, per mezzo di una diffusione intelligente della luce naturale, l’anima riceverebbe il suo nutrimento di sole e di vento. Alberi, rumori ed umori dell’ambiente, profili di colline e di sponde, volute di nuvole, squarci di cielo terso dovrebbero essere i limiti illimitati di costruzioni organiche, edificate con materiali della natura. Le linee ed i volumi dell’architettura dovrebbero assecondare l’intima storia del luogo, per plasmarlo ed arricchirlo. La differenza tra spazio esterno ed interno dovrebbe essere attenuata, giocata su una continua compenetrazione di superfici, velature, trasparenze: soffitti come cieli (cielo, ceiling…), cieli come soffitti, colori fusi tra loro, svaporanti nell’atmosfera.
L’uomo è quello che mangia? No, l’uomo è quello che respira: se respira colori, silenzio e suoni, brezze e chiarori, il corpo ne trae beneficio e lo spirito si eleva. Non è lirismo: il DNA è come una piccola antenna ricetrasmittente che assorbe ed irradia luce e che entra in risonanza con le vibrazioni esterne.
Le città in cui viviamo, anzi sopravviviamo, sono prigioni di cemento, caotiche, orribili, ammorbate dagli scarichi dei veicoli. Le case sono loculi sotto un cielo tramato di ragnatele velenose, traversato da micidiali campi magnetici.
Se la delinquenza dipendesse anche da questi ambienti malsani, alienanti, tetri? L’ambiente, in senso spaziale, non socio-economico, modella il carattere: lo leviga, come le onde con gli scogli, oppure lo frantuma a somiglianza di un martello pneumatico.
Dimmi dove abiti e ti dirò chi diventerai.
(1) Chi fosse interessato all’argomento, può leggere Microprocessori e macroinganni.
Non è questo, però, il tema su cui voglio soffermarmi (1), quanto sulla relazione che intercorre tra assetti urbanistici ed architettura, da un lato, comportamento umano dall’altro. Senza addentrarsi così in sterili analisi sociologiche e criminologiche, si può osservare che la percezione degli spazi, l’interazione con i luoghi ed il movimento all’interno di coordinate topologiche influiscono sulla condotta.
Se gli edifici in cui "viviamo", lavoriamo e ci “svaghiamo” fossero dimensioni aperte verso l’aria, l’acqua, i prati, se si creasse un’osmosi tra interno ed esterno, per mezzo di una diffusione intelligente della luce naturale, l’anima riceverebbe il suo nutrimento di sole e di vento. Alberi, rumori ed umori dell’ambiente, profili di colline e di sponde, volute di nuvole, squarci di cielo terso dovrebbero essere i limiti illimitati di costruzioni organiche, edificate con materiali della natura. Le linee ed i volumi dell’architettura dovrebbero assecondare l’intima storia del luogo, per plasmarlo ed arricchirlo. La differenza tra spazio esterno ed interno dovrebbe essere attenuata, giocata su una continua compenetrazione di superfici, velature, trasparenze: soffitti come cieli (cielo, ceiling…), cieli come soffitti, colori fusi tra loro, svaporanti nell’atmosfera.
L’uomo è quello che mangia? No, l’uomo è quello che respira: se respira colori, silenzio e suoni, brezze e chiarori, il corpo ne trae beneficio e lo spirito si eleva. Non è lirismo: il DNA è come una piccola antenna ricetrasmittente che assorbe ed irradia luce e che entra in risonanza con le vibrazioni esterne.
Le città in cui viviamo, anzi sopravviviamo, sono prigioni di cemento, caotiche, orribili, ammorbate dagli scarichi dei veicoli. Le case sono loculi sotto un cielo tramato di ragnatele velenose, traversato da micidiali campi magnetici.
Se la delinquenza dipendesse anche da questi ambienti malsani, alienanti, tetri? L’ambiente, in senso spaziale, non socio-economico, modella il carattere: lo leviga, come le onde con gli scogli, oppure lo frantuma a somiglianza di un martello pneumatico.
Dimmi dove abiti e ti dirò chi diventerai.
(1) Chi fosse interessato all’argomento, può leggere Microprocessori e macroinganni.
Nasciamo posati dal DNA su un binario, ma niente ci vieta, con il tempo di cambiarlo. L'uomo è frutto dell'ambiente in cui vive e delle scelte che compie. Queste ultime, tuttavia sono a loro volta influenzate dal nostro modo di ragionare che, giorno dopo giorno, plasmiamo anche grazie agli stimoli esterni. In ultima analisi, dunque è indubbio che l'ambiente giochi un ruolo importante della crescita mentale della persona. Poi, se alteri anche fisicamente un uomo, è arduo da dimostrare.Ciao
RispondiEliminaSembra che il DNA stia cambiando, come già accadde in un lontano passato. In fondo poi ciò che è fisico è spirituale e viceversa, come dice il Messia del vangelo di Giuda Tommaso. Ciao e grazie.
RispondiEliminaCiao Angela, in fondo il deserto è il luogo della solitudine ma anche del divino: forse è per quello che i beduini sono così ospitali e saggi. Vedo che l'amore per la natura ti ha donato una natura spontanea. Ciao. Buona notte!
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