Tra il 1489 ed il 1492, Sandro Botticelli dipinse una tempera su tavola, intitolata Il compianto sul Cristo morto. L’opera, custodita nell’Alte Pinakothek di Monaco, raffigura al centro la Vergine che regge il Figlio esanime, attorniata da Giovanni e dalle tre donne. Ai lati assistono alla scena dolorosa e drammatica alcuni santi. Le figure sono inquadrate da un architrave di rocce sotto il quale s’intravede il sepolcro.
Il quadro è un esempio di un realismo che sfuma nell’astrazione: infatti l’arte rinascimentale, nelle ultime opere del Botticelli, trascolora nelle forme concettuali che preludono al Manierismo. Si osservino i blocchi di roccia sopra il sarcofago: sono dipinti con una precisione stupefacente, grazie al magistrale dosaggio di luci ed ombre, che rendono visibili le venature e le scabrosità della superficie, suggerendone anche le qualità tattili, come il profilo tagliente. Eppure questo realismo è volutamente contraddetto da un particolare: i macigni sono collocati in modo irrazionale a sfidare la forza di gravità, perché l’architettura di rocce non può certo reggersi in virtù del cuneo centrale.
L’artista non ha voluto offrire un’immagine verosimile, ma astrarre la quintessenza cromatica e spaziale dalla realtà, attraverso gli smaglianti colori basici (giallo, rosso, azzurro) che riflettono la luce ed evidenziando l’intersezione delle verticali e delle orizzontali all’interno dello schema compositivo, reso dinamico attraverso le diagonali (l’inclinazione convergente delle teste). Realismo ed astrazione così si compenetrano, ad indicare che ogni dualismo è sempre limitante, oltre che parziale.
Il superamento delle dicotomie dovrebbe essere il fine, ma sembra un fine utopico.
Il quadro è un esempio di un realismo che sfuma nell’astrazione: infatti l’arte rinascimentale, nelle ultime opere del Botticelli, trascolora nelle forme concettuali che preludono al Manierismo. Si osservino i blocchi di roccia sopra il sarcofago: sono dipinti con una precisione stupefacente, grazie al magistrale dosaggio di luci ed ombre, che rendono visibili le venature e le scabrosità della superficie, suggerendone anche le qualità tattili, come il profilo tagliente. Eppure questo realismo è volutamente contraddetto da un particolare: i macigni sono collocati in modo irrazionale a sfidare la forza di gravità, perché l’architettura di rocce non può certo reggersi in virtù del cuneo centrale.
L’artista non ha voluto offrire un’immagine verosimile, ma astrarre la quintessenza cromatica e spaziale dalla realtà, attraverso gli smaglianti colori basici (giallo, rosso, azzurro) che riflettono la luce ed evidenziando l’intersezione delle verticali e delle orizzontali all’interno dello schema compositivo, reso dinamico attraverso le diagonali (l’inclinazione convergente delle teste). Realismo ed astrazione così si compenetrano, ad indicare che ogni dualismo è sempre limitante, oltre che parziale.
Il superamento delle dicotomie dovrebbe essere il fine, ma sembra un fine utopico.
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