Perché quasi tutte le persone si appassionano alle storie narrate nei romanzi e nei film? A causa di un ingenuo processo di identificazione nei ruoli di eroi ed eroine? Per fuggire dall’anonima realtà e da una vita insulsa? Per provare dell’emozioni grazie all’empatia con i personaggi?
Sarah E. Worth, nel saggio Il paradosso della reazione reale alla neo-finzione, coglie le analogie e le differenze tra la “realtà”, le cui costruzioni narrative implicano inferenze e supposizioni per integrare i vuoti conoscitivi, e la finzione che ci fornisce quasi tutte le informazioni rilevanti. Nella vita, usando i nostri pre-giudizi e le nostre prevenzioni, secondo una particolare prospettiva, elaboriamo storie più o meno coerenti. Nel suo libro sulla narrazione e l’intelligenza, Roger Schank sostiene che: “Abbiamo bisogno di raccontare a qualcun altro una storia che descriva la nostra esperienza, perché il processo creativo che dipana una storia crea anche la struttura mnemonica che conterrà il succo della storia per il resto della nostra vita”. Ascoltando e raccontando storie, noi creiamo significato e memoria.
L’approccio narratologico adottato dalla Worth alla vita può in parte riscattare una delle discipline più aride ed astruse, ma non inutile, che siamo mai state codificate, la narratologia appunto, ossia lo studio delle strutture all’interno dei testi che raccontano delle vicende. Le riflessioni della studiosa, tuttavia, non mi paiono molto innovative: in fondo, chiudendo il cerchio, ha posto l’accento sulla propensione affabulatoria degli uomini cui piace sia narrare sia ascoltare storie. Aedi e rapsodi incantavano gli uditori con le saghe ed i miti. “Mito” (mythos) d’altronde significa “racconto”.
Non so fino a che punto, inventando ed ascoltando storie, conferiamo senso all’esistenza: a mio avviso, tentiamo di dare un valore a ciò che di per sé è gratuito. Poiché la narratologia, da Greimas a Lotman, da Genette sino alle pleonastiche e noiose elucubrazioni di Eco, ha focalizzato l’interesse sugli elementi costitutivi dei testi, avulsi dai significati e dai messaggi, paradossalmente essa si rivela adatta ad un’analisi della Storia (scrivo la parola con l’iniziale maiuscola solo affinché sia chiaro che qui intendo la successione degli eventi lungo le varie ere): essa, completamente insensata ed assurda, rivela, però, sotto il profilo strutturale, il disegno di un narratore occulto che, all’insaputa dei personaggi, da lui stesso creati, sviluppa l’intreccio: la trama, attraverso un processo di continui peggioramenti, culmina in una catastrofe che non è mai totale, solo perché occorre prepararne altre deteriori.
Intanto, però, l’attenzione del pubblico viene deviata verso la finzione finta (cinema, narrativa dozzinale…) o verso la “realtà” finta (l’ossimoro è necessario), costellata di notizie false o distorte in cui è predominante il fascino del racconto, di solito dell’orrore. Tutto ciò in modo che sia ignorata la “finzione” reale.
Allora non è un caso se ci stiamo avviando verso il Nuovo ordine mondiale, attraverso una serie di sequenze appartenenti ad un romanzo scritto molto tempo fa. I “protagonisti” della Storia ricoprono ruoli precisi, mentre il narratore onnisciente ed onnipotente, si eclissa, restando invisibile come nelle opere veriste e naturaliste. Questo significa che anche l’epilogo è già scritto e probabilmente non sarà un happy end.
Sarah E. Worth, nel saggio Il paradosso della reazione reale alla neo-finzione, coglie le analogie e le differenze tra la “realtà”, le cui costruzioni narrative implicano inferenze e supposizioni per integrare i vuoti conoscitivi, e la finzione che ci fornisce quasi tutte le informazioni rilevanti. Nella vita, usando i nostri pre-giudizi e le nostre prevenzioni, secondo una particolare prospettiva, elaboriamo storie più o meno coerenti. Nel suo libro sulla narrazione e l’intelligenza, Roger Schank sostiene che: “Abbiamo bisogno di raccontare a qualcun altro una storia che descriva la nostra esperienza, perché il processo creativo che dipana una storia crea anche la struttura mnemonica che conterrà il succo della storia per il resto della nostra vita”. Ascoltando e raccontando storie, noi creiamo significato e memoria.
L’approccio narratologico adottato dalla Worth alla vita può in parte riscattare una delle discipline più aride ed astruse, ma non inutile, che siamo mai state codificate, la narratologia appunto, ossia lo studio delle strutture all’interno dei testi che raccontano delle vicende. Le riflessioni della studiosa, tuttavia, non mi paiono molto innovative: in fondo, chiudendo il cerchio, ha posto l’accento sulla propensione affabulatoria degli uomini cui piace sia narrare sia ascoltare storie. Aedi e rapsodi incantavano gli uditori con le saghe ed i miti. “Mito” (mythos) d’altronde significa “racconto”.
Non so fino a che punto, inventando ed ascoltando storie, conferiamo senso all’esistenza: a mio avviso, tentiamo di dare un valore a ciò che di per sé è gratuito. Poiché la narratologia, da Greimas a Lotman, da Genette sino alle pleonastiche e noiose elucubrazioni di Eco, ha focalizzato l’interesse sugli elementi costitutivi dei testi, avulsi dai significati e dai messaggi, paradossalmente essa si rivela adatta ad un’analisi della Storia (scrivo la parola con l’iniziale maiuscola solo affinché sia chiaro che qui intendo la successione degli eventi lungo le varie ere): essa, completamente insensata ed assurda, rivela, però, sotto il profilo strutturale, il disegno di un narratore occulto che, all’insaputa dei personaggi, da lui stesso creati, sviluppa l’intreccio: la trama, attraverso un processo di continui peggioramenti, culmina in una catastrofe che non è mai totale, solo perché occorre prepararne altre deteriori.
Intanto, però, l’attenzione del pubblico viene deviata verso la finzione finta (cinema, narrativa dozzinale…) o verso la “realtà” finta (l’ossimoro è necessario), costellata di notizie false o distorte in cui è predominante il fascino del racconto, di solito dell’orrore. Tutto ciò in modo che sia ignorata la “finzione” reale.
Allora non è un caso se ci stiamo avviando verso il Nuovo ordine mondiale, attraverso una serie di sequenze appartenenti ad un romanzo scritto molto tempo fa. I “protagonisti” della Storia ricoprono ruoli precisi, mentre il narratore onnisciente ed onnipotente, si eclissa, restando invisibile come nelle opere veriste e naturaliste. Questo significa che anche l’epilogo è già scritto e probabilmente non sarà un happy end.
Il confine tra realtà (qualunque essa sia) e finzione è estremamente labile ed è su questo che giocano coloro che tendono le fila di tutto. Dando in pasto alla gente versioni riscritte della Verità, si riesce a manipolare la massa senza che essa se ne accorga. Ciao
RispondiEliminaSottoscrivo in toto il tuo commento. Ciao
RispondiEliminaPurtroppo, Pedro, la massa è simile ad un gregge e le sue sono reazioni gregarie. La vedo grama, anche se non bisogna demordere. Ciao.
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