Il termine Sindone si adopera per indicare il lenzuolo funebre che, secondo i Vangeli sinottici, fu usato per avvolgere il corpo di Gesù Cristo quando egli, morto, fu deposto nel sepolcro. La parola "sindone" deriva dal greco sindon che si impiegava anticamente per indicare il tipo di tessuto di lino, spinato, con cui confezionare un lenzuolo o un pezzo di stoffa per un uso specifico.
Nel Duomo di Torino si conserva un telo di lino che la tradizione identifica con la Sindone. Esso reca impressa l'immagine di un uomo che appare essere stato flagellato, coronato di spine, crocifisso con chiodi e trapassato da una lancia al costato. A tutt'oggi non si sa con certezza come si sia formata questa immagine.
Il lenzuolo è stato oggetto di numerosi studi scientifici miranti a confermare o smentire la tesi circa la sua presunta autenticità. In particolare un'équipe scientifica prelevò nel 1988 alcuni campioni di tessuto che furono sottoposti a diverse analisi, ma i risultati sono controversi. L'analisi eseguita con la tecnica del Carbonio 14 ha fornito una datazione compresa tra il 1295 e il 1360. La datazione non è considerata definitiva, a causa soprattutto dell'incendio del 1532.
La storia documentata della Sindone comincia nel 1353 circa, quando a Lirey, in Francia, il cavaliere Goffredo di Charny dichiarò di essere in possesso del lenzuolo che avvolse il corpo di Gesù.
Nel 1453 Margherita, discendente di Goffredo, vendette la Sindone ai duchi di Savoia che la conservarono a Chambéry, dove nel 1532 sopravvisse ad un incendio che ne distrusse alcuni lembi.
Nel 1578 la Sindone fu portata a Torino, dove, nel frattempo, i Savoia avevano trasferito la loro capitale. Nel 1898 fu fotografata per la prima volta: in quell'occasione si scoprì che l'immagine impressa sul lenzuolo è un negativo, fatto che riaccese il dibattito sulla sua autenticità. Nel 1983 Umberto II di Savoia, ultimo re d'Italia, morendo, la lasciò in eredità al papa, che ne affidò la custodia all'arcivescovo di Torino.
La Sindone è un lenzuolo rettangolare di lino.
Sul lenzuolo sono visibili le due tenui sembianze di un corpo umano, a grandezza naturale, che si prolungano testa contro testa, una di fronte e l'altra di schiena, separate da uno spazio che non reca tracce corporee. Esse sono di colore giallino. Si notano anche numerosi segni di bruciature, dovuti all'incendio del 1532. Alcuni lembi di tessuto sono andati completamente distrutti e vi sono stati cuciti dei rattoppi.
L'immagine, come si scoprì nel 1898, quando la Sindone fu fotografata per la prima volta, è più comprensibile nel negativo fotografico. La persona raffigurata è un maschio adulto, con la barba e i capelli lunghi, corrispondente ad una tra le più diffuse iconografie di Gesù. Numerose tracce di sangue percorrono le ferite.
Il corpo raffigurato è quello di un maschio sulla trentina con la barba e i capelli lunghi; è un uomo muscoloso e sembra essere stato abituato ai lavori manuali. Il cadavere che fu disteso su metà lenzuolo lasciò due impronte, una dorsale ed una frontale. Il lenzuolo, infatti, fu fatto passare al di sopra del capo e fu adagiato sul corpo fino all'altezza dei piedi.
La testa appare chinata in avanti e fermata in tale posizione dal rigor mortis: infatti il collo non ha lasciato traccia sull'impronta frontale, mentre è chiaramente visibile nell'immagine dorsale. La nuca non mostra alcuna traccia di appoggio e ciò conferma la posizione in avanti del capo dovuta alla sola rigidità cadaverica.
Sono ben visibili gli avambracci e le mani incrociate. La ferita nel polso sinistro è chiaramente visibile; il polso destro, invece, è coperto dalla mano sinistra.
In corrispondenza del volto si notano anche i segni lasciati da barba e capelli e questo fatto complica ulteriormente la spiegazione della formazione dell'immagine corporea, perché essi sono più difficili da riprodurre con tecniche sperimentali.
Nel Duomo di Torino si conserva un telo di lino che la tradizione identifica con la Sindone. Esso reca impressa l'immagine di un uomo che appare essere stato flagellato, coronato di spine, crocifisso con chiodi e trapassato da una lancia al costato. A tutt'oggi non si sa con certezza come si sia formata questa immagine.
Il lenzuolo è stato oggetto di numerosi studi scientifici miranti a confermare o smentire la tesi circa la sua presunta autenticità. In particolare un'équipe scientifica prelevò nel 1988 alcuni campioni di tessuto che furono sottoposti a diverse analisi, ma i risultati sono controversi. L'analisi eseguita con la tecnica del Carbonio 14 ha fornito una datazione compresa tra il 1295 e il 1360. La datazione non è considerata definitiva, a causa soprattutto dell'incendio del 1532.
La storia documentata della Sindone comincia nel 1353 circa, quando a Lirey, in Francia, il cavaliere Goffredo di Charny dichiarò di essere in possesso del lenzuolo che avvolse il corpo di Gesù.
Nel 1453 Margherita, discendente di Goffredo, vendette la Sindone ai duchi di Savoia che la conservarono a Chambéry, dove nel 1532 sopravvisse ad un incendio che ne distrusse alcuni lembi.
Nel 1578 la Sindone fu portata a Torino, dove, nel frattempo, i Savoia avevano trasferito la loro capitale. Nel 1898 fu fotografata per la prima volta: in quell'occasione si scoprì che l'immagine impressa sul lenzuolo è un negativo, fatto che riaccese il dibattito sulla sua autenticità. Nel 1983 Umberto II di Savoia, ultimo re d'Italia, morendo, la lasciò in eredità al papa, che ne affidò la custodia all'arcivescovo di Torino.
La Sindone è un lenzuolo rettangolare di lino.
Sul lenzuolo sono visibili le due tenui sembianze di un corpo umano, a grandezza naturale, che si prolungano testa contro testa, una di fronte e l'altra di schiena, separate da uno spazio che non reca tracce corporee. Esse sono di colore giallino. Si notano anche numerosi segni di bruciature, dovuti all'incendio del 1532. Alcuni lembi di tessuto sono andati completamente distrutti e vi sono stati cuciti dei rattoppi.
L'immagine, come si scoprì nel 1898, quando la Sindone fu fotografata per la prima volta, è più comprensibile nel negativo fotografico. La persona raffigurata è un maschio adulto, con la barba e i capelli lunghi, corrispondente ad una tra le più diffuse iconografie di Gesù. Numerose tracce di sangue percorrono le ferite.
Il corpo raffigurato è quello di un maschio sulla trentina con la barba e i capelli lunghi; è un uomo muscoloso e sembra essere stato abituato ai lavori manuali. Il cadavere che fu disteso su metà lenzuolo lasciò due impronte, una dorsale ed una frontale. Il lenzuolo, infatti, fu fatto passare al di sopra del capo e fu adagiato sul corpo fino all'altezza dei piedi.
La testa appare chinata in avanti e fermata in tale posizione dal rigor mortis: infatti il collo non ha lasciato traccia sull'impronta frontale, mentre è chiaramente visibile nell'immagine dorsale. La nuca non mostra alcuna traccia di appoggio e ciò conferma la posizione in avanti del capo dovuta alla sola rigidità cadaverica.
Sono ben visibili gli avambracci e le mani incrociate. La ferita nel polso sinistro è chiaramente visibile; il polso destro, invece, è coperto dalla mano sinistra.
In corrispondenza del volto si notano anche i segni lasciati da barba e capelli e questo fatto complica ulteriormente la spiegazione della formazione dell'immagine corporea, perché essi sono più difficili da riprodurre con tecniche sperimentali.
Le fonti del presente articolo saranno indicate in calce alla seconda ed ultima parte.
Sicuramente ineccepibile come analisi, ma attendo la seconda parte per le conclusioni.
RispondiEliminaCiao a tutti. Questa prima parte è espositiva. Nella seconda, cercherò di portare un contributo più originale. Quanto al volto di Mappotello, mi pare che sia un po' diverso dalla Sindone, come dal Mandilion custodito a Genova.
RispondiEliminaVedrò di documentarmi.
Ciao
Questo volto paffuto di Manoppello non ha niente di mistico, anzi. Tridimensionalità, negativo fotografico si possono anche spiegare, senza chiamare in causa interventi soprannaturali.
RispondiEliminaCiao a tutti!
L'espressione sommamente ieratica del volto sindonico lascia pensare che non ci troviamo davanti ad un falso. Ignoriamo a chi questo volto appartenga. Al Cristo morto? Ad un santo del Paganesimo? Nessuno sa rispondere con certezza. Qualcuno ha accostato tale immagine al busto del pitagorico Apollonio di Tiana ed in effetti la somiglianza è notevole. Sarei tentato di dire che che i due volti coincidono.
RispondiEliminaRiferimento bibliografico su richiesta.
Ciao Paolo, saresti così urbano da indicarmi la fonte bibliografica? Certe informazioni sono difficilissime da reperire. Ciao e grazie.
RispondiEliminaCaro Zret, ecco il riferimento cui accennavo: www.apollonius.net di Rob Solarion. Davvero interessanti le sue scoperte. E se avesse ragione?
RispondiEliminaComunque 'don't trust me but try by yourself'.
E complimenti per la varietà di argomenti davvero pregnanti che trovi fuori quasi ogni giorno.
E' una battaglia delle idee avvincente alle quale partecipo con interesse e passione. Ciao.
Ciao Paolo, grazie del riferimento. In realtà, tratto i temi in modo divulgativo per dare spazio a temi di solito poco trattati. Il dibattito che scaturisce dai testi è per me fonte inesauribile di riflessioni. Ascoltando, s'impara. Ciao e grazie.
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