La percezione è quel processo conoscitivo complesso che comprende, unificandole, una molteplicità di sensazioni, intese come dati della coscienza sensibile, e le riferisce ad un oggetto distinto dal percipiente e dagli altri oggetti. I più recenti indirizzi postgestaltci hanno insistito sul carattere ipotetico della percezione: le percezioni sono punti di vista, ipotesi sull’oggetto, suscettibili di cambiamenti, modificazioni, rettifiche.
La percezione ha una natura articolata, implicante elementi biologici e psichici, essendo un quid che collega soggetto ed oggetto, in un’interazione costante e biunivoca. In alcuni casi credo sia prevalente l’attività percettiva rispetto al dato sensibile: si considerino quelle forme (lettere, figure geometriche) che vengono integrate e create dalla mente.
Si può anche accennare a certe rappresentazioni dello spazio in cui la componente culturale predomina sul fenomeno percepito: Erwin Panofsky, nel celebre saggio intitolato La prospettiva come forma simbolica, denunciò il carattere astratto, geometrico-matematico della perspectiva rinascimentale, (da Leon Battista Alberti a Brunelleschi, a Piero della Francesca), nonostante il suo apparente realismo. Componenti ottiche e simboliche interagiscono nella modellazione dello spazio e degli oggetti.
Si pensi al termine celtico “glas” che designa sia l’azzurro sia il verde: due colori dello spettro sono uniti in un solo aggettivo, forse per la continuità percettiva, ma anche biologica ed economica, tra il mare e le praterie dell’Irlanda che si compenetrano a formare una distesa indistinta. Ancora una volta la cultura fa aggio sulla natura.
Non si può escludere che i dischi volanti di Adamski dalle forme bombate rispondenti allo stile degli anni 50 del XX secolo, con le sue linee curve, e le astronavi di Billy Meier, dai profili squadrati tipici degli anni 70, invece di rivelare una mistificazione, siano la riprova che la mente plasma archetipi formali “oggettivi” (in questo caso il cerchio), conferendo forme coerenti con un preciso contesto culturale.
Di fronte alla presunta struttura soggettiva, non ci si deve sorprendere se alcuni individui, sotto la pressione di condizionamenti percettivi (e non solo) sia consci sia subliminali, non riescono ad oltrepassare il livello passivo della vista per gettare, quasi letteralmente, lo sguardo oltre. Guardare, infatti, implica un’azione, un processo volitivo da cui scaturisce il per-spicere, ossia il vedere bene, ma anche il vedere attraverso, di là dalle apparenze. Chiedete a certe persone di osservare le scie venefiche che tramano il cielo: esse ne negano l’esistenza non solo perché la loro mente è ottusa, ma anche in quanto la loro percezione è incentrata su modelli elementari per cui una scia è riconducibile, sulla base di un paradigma interno, grosso modo, ad una linea bianca, senza altre determinazioni cromatiche, prospettiche, chiaroscurali… Come distinguere dunque una normale scia di condensazione da una cicatrice chimica, se il disegno schematico mentale le fa apparire pressoché uguali? (1)
Come è possibile osservare un nuovo referente che non è mai caduto nell’ambito percettivo? Si pensi ai Mexica (o Aztechi) che, non conoscendo i cavalli, non sapevano come inserire nel loro sistema culturale e percettivo, i destrieri dei conquistadores spagnoli.
Il discorso è piuttosto arduo e controverso. Tralascio perciò di soffermarmi sui messaggi subliminali, su quelle immagini che penetrano nel subconscio e nell’inconscio, senza passare attraverso il filtro della coscienza, siano questi messaggi istantanei o mimetizzati: la riflessione, infatti, diverrebbe ancora più complessa. Basti qui ricordare che una corretta, efficace educazione alla visione, al discernimento di sfumature, valori tonali, profondità, textures… vale molto più di una laurea in economia politica o in una disciplina scientifica, al fine di osservare le “cose” e per comprendere i capisaldi della “realtà”.
(1) Escludo da questo novero le numerose persone in mala fede e quelle il cui intelletto è stato atrofizzato da certi studi, soprattutto “scientifici”.
La percezione ha una natura articolata, implicante elementi biologici e psichici, essendo un quid che collega soggetto ed oggetto, in un’interazione costante e biunivoca. In alcuni casi credo sia prevalente l’attività percettiva rispetto al dato sensibile: si considerino quelle forme (lettere, figure geometriche) che vengono integrate e create dalla mente.
Si può anche accennare a certe rappresentazioni dello spazio in cui la componente culturale predomina sul fenomeno percepito: Erwin Panofsky, nel celebre saggio intitolato La prospettiva come forma simbolica, denunciò il carattere astratto, geometrico-matematico della perspectiva rinascimentale, (da Leon Battista Alberti a Brunelleschi, a Piero della Francesca), nonostante il suo apparente realismo. Componenti ottiche e simboliche interagiscono nella modellazione dello spazio e degli oggetti.
Si pensi al termine celtico “glas” che designa sia l’azzurro sia il verde: due colori dello spettro sono uniti in un solo aggettivo, forse per la continuità percettiva, ma anche biologica ed economica, tra il mare e le praterie dell’Irlanda che si compenetrano a formare una distesa indistinta. Ancora una volta la cultura fa aggio sulla natura.
Non si può escludere che i dischi volanti di Adamski dalle forme bombate rispondenti allo stile degli anni 50 del XX secolo, con le sue linee curve, e le astronavi di Billy Meier, dai profili squadrati tipici degli anni 70, invece di rivelare una mistificazione, siano la riprova che la mente plasma archetipi formali “oggettivi” (in questo caso il cerchio), conferendo forme coerenti con un preciso contesto culturale.
Di fronte alla presunta struttura soggettiva, non ci si deve sorprendere se alcuni individui, sotto la pressione di condizionamenti percettivi (e non solo) sia consci sia subliminali, non riescono ad oltrepassare il livello passivo della vista per gettare, quasi letteralmente, lo sguardo oltre. Guardare, infatti, implica un’azione, un processo volitivo da cui scaturisce il per-spicere, ossia il vedere bene, ma anche il vedere attraverso, di là dalle apparenze. Chiedete a certe persone di osservare le scie venefiche che tramano il cielo: esse ne negano l’esistenza non solo perché la loro mente è ottusa, ma anche in quanto la loro percezione è incentrata su modelli elementari per cui una scia è riconducibile, sulla base di un paradigma interno, grosso modo, ad una linea bianca, senza altre determinazioni cromatiche, prospettiche, chiaroscurali… Come distinguere dunque una normale scia di condensazione da una cicatrice chimica, se il disegno schematico mentale le fa apparire pressoché uguali? (1)
Come è possibile osservare un nuovo referente che non è mai caduto nell’ambito percettivo? Si pensi ai Mexica (o Aztechi) che, non conoscendo i cavalli, non sapevano come inserire nel loro sistema culturale e percettivo, i destrieri dei conquistadores spagnoli.
Il discorso è piuttosto arduo e controverso. Tralascio perciò di soffermarmi sui messaggi subliminali, su quelle immagini che penetrano nel subconscio e nell’inconscio, senza passare attraverso il filtro della coscienza, siano questi messaggi istantanei o mimetizzati: la riflessione, infatti, diverrebbe ancora più complessa. Basti qui ricordare che una corretta, efficace educazione alla visione, al discernimento di sfumature, valori tonali, profondità, textures… vale molto più di una laurea in economia politica o in una disciplina scientifica, al fine di osservare le “cose” e per comprendere i capisaldi della “realtà”.
(1) Escludo da questo novero le numerose persone in mala fede e quelle il cui intelletto è stato atrofizzato da certi studi, soprattutto “scientifici”.
Avevo scritto qualcosa a riguardo tempo adddietro, comunque aggiungo che la percezione (l'azione di percepire) implica il verificarsi di una situazione in cui è preponderante il punto di vista: modificando quello anche la realtà (o, meglio, la sua proiezione su quello che percepiamo) viene modificata. Del resto, per cercare di coniugare il tutto con gli studi scientifici, è così anche nella fisica (ad esempio) in cui modificando il sistema di riferimento devono essere modificati anche i calcoli.
RispondiEliminaIn effetti il principio di indeterminazione di Heisenberg si potrebbe applicare anche alla percezione. Ciao
RispondiEliminaCiao, zret.
RispondiEliminaBellissimo il post.
Però, la realtà non può essere negata del tutto o ricondotta interamente alla percezione.
Altrimenti avremmo il paradosso, talvolta fecondo, tal'altra esiziale, che la realtà esiste fin quando esiste l'uomo.
Se l'uomo, con qualche marchingegno, droga, magia ecc. non fosse più in grado di percepirla essa non esisterebbe.
Le situazioni in cui è preponderante il punto di vista sono realmente poche.
Esse si realizzano nel micro e nel macro cosmo.
La teoria dei quanti e delle supercorde nascono appunto in questi due "sistemi" spazio temporali.
Ti abbraccio.
Giorgio
Ciao Giorgio, grazie per le tue parole. In effetti è Wheeler a sostenere che l'universo collassa nell'esistenza solo quando è percepito, ma la sua è una posizione isolata e volutamente paradossale. Penso anch'io esista uno zoccolo duro della realtà, sebbene io non sappia che cosa potrebe essere. Più che altro ho voluto sottolineare il valore culturale di certe rappresentazioni del mondo.
RispondiEliminaCiao e grazie ancora.