Ci sfiora la sensazione a volte che qualcosa sia accaduto: è come un'anomalia o un rumore di fondo di cui non è possibile comprendere la vera natura. E' un quid che non si può ricondurre ad una genesi. Il linguaggio cerca invano di catturare la forma di questa incrinatura, di definirne il profilo spezzato.
In una giornata perfetta, si insinua un pensiero oscuro, simile ad un velo fuggevole sulla luce del cielo, ad una sottilissima ruga che solca la pelle liscia. Qualcosa si è infranto: una vena quasi invisibile percorre il calice di cristallo.
Katherine Mansfield, nel suo introspettivo racconto Il canarino, affida alla protagonista queste riflessioni: "Eppure, anche senza essere morbosi e senza abbandonarsi ai ricordi... e così via, devo confessare che mi sembra ci sia qualcosa di triste nella vita. E' difficile dire che cosa. Non mi sto riferendo a quei dolori che tutti conosciamo, come le malattie, la miseria e la morte. No, è qualcosa di diverso. E' qui, dentro, nel profondo, fa parte di noi come il nostro respiro. Per quanto duramente io lavori e mi stanchi, appena mi fermo un attimo sento che è lì che mi aspetta. Spesso mi chiedo se tutti abbiano la stessa sensazione. Non si può mai sapere".
E' vero, come intuisce la Mansfield, che avvertiamo la trafittura di questa spina, soprattutto quando ci fermiamo, quando interrompiamo per un istante le consuete attività quotidiane. Anche Lucrezio descrisse in modo mirabile l'angoscia che attanaglia l'uomo, pure Pascal evocò il tedio che adombra la vita, ma essi, come molti altri, trovarono una causa a tale condizione: la paura della morte o la comprensione dell'insufficienza della vita umana senza Dio. L'autrice neozelandese, invece, non le attribuisce un nome, poiché non lo conosce e forse non l'ha. E' un sentimento senza voce, un fuoco senza fiamma, un'ombra senza colore. Come afferrarli?
Viene il dubbio a volte che il cosmo intero sia pregno di questa misteriosa eco. Appartiene al nostro respiro, ma pure al respiro dell'universo.
E' l'alito che si effonde nelle innumerevoli espansioni e contrazioni del tutto.
E' l'alito che un giorno esalerà, senza risposta, nel silenzio dell'ultima fine?
In una giornata perfetta, si insinua un pensiero oscuro, simile ad un velo fuggevole sulla luce del cielo, ad una sottilissima ruga che solca la pelle liscia. Qualcosa si è infranto: una vena quasi invisibile percorre il calice di cristallo.
Katherine Mansfield, nel suo introspettivo racconto Il canarino, affida alla protagonista queste riflessioni: "Eppure, anche senza essere morbosi e senza abbandonarsi ai ricordi... e così via, devo confessare che mi sembra ci sia qualcosa di triste nella vita. E' difficile dire che cosa. Non mi sto riferendo a quei dolori che tutti conosciamo, come le malattie, la miseria e la morte. No, è qualcosa di diverso. E' qui, dentro, nel profondo, fa parte di noi come il nostro respiro. Per quanto duramente io lavori e mi stanchi, appena mi fermo un attimo sento che è lì che mi aspetta. Spesso mi chiedo se tutti abbiano la stessa sensazione. Non si può mai sapere".
E' vero, come intuisce la Mansfield, che avvertiamo la trafittura di questa spina, soprattutto quando ci fermiamo, quando interrompiamo per un istante le consuete attività quotidiane. Anche Lucrezio descrisse in modo mirabile l'angoscia che attanaglia l'uomo, pure Pascal evocò il tedio che adombra la vita, ma essi, come molti altri, trovarono una causa a tale condizione: la paura della morte o la comprensione dell'insufficienza della vita umana senza Dio. L'autrice neozelandese, invece, non le attribuisce un nome, poiché non lo conosce e forse non l'ha. E' un sentimento senza voce, un fuoco senza fiamma, un'ombra senza colore. Come afferrarli?
Viene il dubbio a volte che il cosmo intero sia pregno di questa misteriosa eco. Appartiene al nostro respiro, ma pure al respiro dell'universo.
E' l'alito che si effonde nelle innumerevoli espansioni e contrazioni del tutto.
E' l'alito che un giorno esalerà, senza risposta, nel silenzio dell'ultima fine?
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Ero tornato sui miei passi, come ti ho risposto al tuo commento che mi hai lasciato, ero tornato per cancellare tutto nuovamente…poi leggendo il tuo ho lasciato le cose al loro posto e ho modificato il primo scritto…e ho visto questo tuo ultimo post…è struggente e riguarda proprio ciò che mi attraversa ultimamente…amo l’antichità perché trovandomi accanto a determinate strutture, percepisco che sono state edificate proprio per contrastare quest’inquietudine o infido smarrimento interiore, e tutta la scienza che contengono determinati luoghi è subordinata all’ispirazione e poesia…come nel romanico autentico e incontaminato, dove ogni fregio trasmette il senso profondo di un applicazione serena.
RispondiEliminaScalpellata dietro scalpellata queste persone convertirono il male sottile che aleggia nel cosmo stesso…in questo momento il nostro universo è attraversato da onde e correnti insensate, deleterie, non potrebbe essere altrimenti e noi siamo come incatenati ma vorremo correre e danzare e poter ripulire i nostri mari…è difficile da dire, da poter spiegare…è vero quanto scrivi in questo post…uno non può nemmeno cintare il proprio orto dal mondo burrascoso, ma ugualmente occorre chinarsi sulle zolle vangate e non smettere per quanto la terra appaia irrimediabilmente contaminata…ogni giorno che passa è come se dovesse escludere le mezze misure…intimamente uno deve essere sempre meno tiepido…o ci si raffredda rendendosi insensibili o si aumenta il calore di una febbre ideale che è la stessa che potrebbe convertire i germi malati di cui parli…uno vive…la tensione spirituale ha un valore…DEVE AVERLO…indipendentemente da ciò che si fa deve esserci un comun denominatore nella conversione positiva…che dire…hai centrato il cuore del problema ma credo che non possiamo abbandonarci alla deriva del non-senso…mi sento pure un babbeo per ciò che dico…in realtà non abbiamo cure efficaci per ciò che sta per arrivare...ma oltre deve esserci comunque un fine positivo...
Scritto circa due settimane fa, ho deciso di pubblicare questo breve testo oggi per evitare che l'inquietudine, sedimentandosi, divenisse intollerabile.
RispondiEliminaCome scrivi, non bisogna lasciarsi andare alla deriva. Non so quale potrebbe essere il fine positivo né quale sia la via. Mi ostino a credere che esistano, altrimenti avrei gettato la spugna da tempo.
Per singolare sincronismo, mi sono recentemente imbattutto in un libro in cui ho trovato, anche se espresse in modo da me lontano, ipotesi e conclusioni anche traumatiche su temi ontologici. Non è confortante trovare certe "conferme", per qaunto parziali e congetturali.
Come gli scalpellini, convertirono questo male oscuro in creazioni scolpite dalla luce.
Ciao e grazie.