Credo sia importante sottolineare la dissonanza tra chi esplora le regioni dell'anima e la massa che, rincorrendo milionarie ed impossibili vincite al lotto, dimostra di appartenere quasi ad un'altra specie. Così con piacere pubblico questo nuovo articolo del Professor Francesco Lamendola cui rinnovo i miei attestati di stima per la sua nobile e solitaria (a volte dolorosa) ricerca, anche quando approda a "conclusioni" che non mi trovano del tutto concorde. Qualcuno obietterà:"Con tutti i problemi concreti che ci attanagliano, qualcuno scrive di temi così evanescenti". Proprio per questo! Visto che il cerchio si stringe sempre più giorno dopo giorno, a somiglianza di un ruvido cappio, tra poco, perso tutto, resterà solo quello che la ruggine non corrode, se l'avremo tesaurizzato.
Circa la questione dell'anima, rimando al testo Oltre l'ufologia che proposi tempo addietro nonché alla bella conversazione con Giovanni e con gli altri lettori. Qui mi limito a ribadire che non credo essa possa coincidere con un'energia fisica, mentre sarei propenso ad: "ipotizzare che potrebbero anche darsi delle persone parzialmente prive di anima, ovvero animate solo da impulsi di natura neuronale, simili ad automi o alle creature aliene di certi film di fantascienza."
A tutta prima, questo titolo potrebbe sembrare bizzarro: che cosa significa avanzare alla ricerca dell'anima? Occorre forse andare alla ricerca di qualcosa che già si possiede? E poi, che cosa mai sarebbe questa inconsueta «terra di nessuno»?
Cominciamo dalla prima domanda. L'espressione «anima» è molto meno autoevidente di quel che non si creda; occorre, pertanto, adoperarla con un minimo di consapevolezza. Senza volerci addentrare in una dissertazione storica e filologica, poiché non sarebbe questa la sede più adatta, è necessario almeno ricordare che la parola «anima» traduce, approssimativamente, il vocabolo greco «psyché», che sta per il nostro «soffio vitale»; e non è molto lontana dal senso di «pneuma» (generalmente reso in italiano con «spirito»).
Di conseguenza, per gli antichi Greci, tutti gli esseri viventi possedevano un'anima; che quella degli umani fosse immortale in senso strettamente individuale, era opinione sostenuta da alcuni, come Platone, e revocata in dubbio da altri, come Aristotele. Per quest'ultimo, «psyche» era più o meno sinonimo di «bios» («vita»); l'anima, per lui, è la sostanza del corpo, e sta ad esso così come la vista sta all'organo visivo. Impossibile, dunque, immaginare un atto visivo privo del relativo organo; e impossibile pensare un'anima priva di corpo, che sopravviva alla morte del corpo o che preesista alla sua nascita. Aristotele era in linea con il naturalismo del pensiero greco classico. In Omero, la «psyché» non è un principio distinto dal corpo, ma è il soffio vitale che se ne fugge via quando la morte tronca la vita di esso. Platone ha introdotto una concezione dualista, per cui corpo e anima sono concepiti come due entità autonome: l'anima è legata temporaneamente al destino del corpo, ma viene da un principio immateriale ed eterno; vive nel corpo come in un carcere o in una tomba, da cui aspira ad evadere; e, al momento della morte di questo, riacquista vita autonoma, in attesa della sua prossima reincarnazione.
La cultura romana, pur non avendo sviluppato una propria tendenza filosofica originale (Lucrezio, Cicerone, Seneca e Marco Aurelio non hanno fatto altro che mediare spunti della filosofia greca), ha tuttavia svolto una importante operazione concettuale: quella di riprendere il dualismo platonico e, di conseguenza, di concepire l'anima come qualcosa distinta dal corpo, indipendentemente dal fatto se la si voglia considerare immortale, oppure no.
Nella cultura giudaico-cristiana, dalla quale proveniamo e nella quale viviamo (sia pure avendone ormai smarrito il principio vitale), la parola e il concetto di «anima» derivano appunto dalla concezione romana, ovviamente sostanziata dalla filosofia del cristianesimo: secondo la quale ogni essere umano, fin dal momento del concepimento, riceve un'anima immortale, che sopravviverà alla morte del corpo e che sarà giudicata in base alla condotta morale tenuta in vita.
L'articolo continua qui.
Circa la questione dell'anima, rimando al testo Oltre l'ufologia che proposi tempo addietro nonché alla bella conversazione con Giovanni e con gli altri lettori. Qui mi limito a ribadire che non credo essa possa coincidere con un'energia fisica, mentre sarei propenso ad: "ipotizzare che potrebbero anche darsi delle persone parzialmente prive di anima, ovvero animate solo da impulsi di natura neuronale, simili ad automi o alle creature aliene di certi film di fantascienza."
A tutta prima, questo titolo potrebbe sembrare bizzarro: che cosa significa avanzare alla ricerca dell'anima? Occorre forse andare alla ricerca di qualcosa che già si possiede? E poi, che cosa mai sarebbe questa inconsueta «terra di nessuno»?
Cominciamo dalla prima domanda. L'espressione «anima» è molto meno autoevidente di quel che non si creda; occorre, pertanto, adoperarla con un minimo di consapevolezza. Senza volerci addentrare in una dissertazione storica e filologica, poiché non sarebbe questa la sede più adatta, è necessario almeno ricordare che la parola «anima» traduce, approssimativamente, il vocabolo greco «psyché», che sta per il nostro «soffio vitale»; e non è molto lontana dal senso di «pneuma» (generalmente reso in italiano con «spirito»).
Di conseguenza, per gli antichi Greci, tutti gli esseri viventi possedevano un'anima; che quella degli umani fosse immortale in senso strettamente individuale, era opinione sostenuta da alcuni, come Platone, e revocata in dubbio da altri, come Aristotele. Per quest'ultimo, «psyche» era più o meno sinonimo di «bios» («vita»); l'anima, per lui, è la sostanza del corpo, e sta ad esso così come la vista sta all'organo visivo. Impossibile, dunque, immaginare un atto visivo privo del relativo organo; e impossibile pensare un'anima priva di corpo, che sopravviva alla morte del corpo o che preesista alla sua nascita. Aristotele era in linea con il naturalismo del pensiero greco classico. In Omero, la «psyché» non è un principio distinto dal corpo, ma è il soffio vitale che se ne fugge via quando la morte tronca la vita di esso. Platone ha introdotto una concezione dualista, per cui corpo e anima sono concepiti come due entità autonome: l'anima è legata temporaneamente al destino del corpo, ma viene da un principio immateriale ed eterno; vive nel corpo come in un carcere o in una tomba, da cui aspira ad evadere; e, al momento della morte di questo, riacquista vita autonoma, in attesa della sua prossima reincarnazione.
La cultura romana, pur non avendo sviluppato una propria tendenza filosofica originale (Lucrezio, Cicerone, Seneca e Marco Aurelio non hanno fatto altro che mediare spunti della filosofia greca), ha tuttavia svolto una importante operazione concettuale: quella di riprendere il dualismo platonico e, di conseguenza, di concepire l'anima come qualcosa distinta dal corpo, indipendentemente dal fatto se la si voglia considerare immortale, oppure no.
Nella cultura giudaico-cristiana, dalla quale proveniamo e nella quale viviamo (sia pure avendone ormai smarrito il principio vitale), la parola e il concetto di «anima» derivano appunto dalla concezione romana, ovviamente sostanziata dalla filosofia del cristianesimo: secondo la quale ogni essere umano, fin dal momento del concepimento, riceve un'anima immortale, che sopravviverà alla morte del corpo e che sarà giudicata in base alla condotta morale tenuta in vita.
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APOCALISSI ALIENE: il libro
TANKER ENEMY TV: i filmati del Comitato Nazionale
Classificherei i lavori di F. Lamendola come 'mesoterici' ovvero nè exoterici e nemmeno esoterici, ma qualcosa a metà via fra l'uno e l'altro ambito.
RispondiEliminaNon superano infatti lo stadio di opinione comune o 'doxa', peculiarità che contraddistingue tutto il pensiero moderno.
I problemi sollevati dall'articolo sono tantissimi. Diversi Maestri spirituali quali ad esempio Plotino hanno già dato molte delle risposte che uno va cercando. Basta leggersi qualche passo delle Enneadi magari nella bella sintesi offertaci da Giovanni Reale.
Non mi trovo nemmeno lontanamente all'altezza di disquisire su argomenti talmente ardui.
Posso dire soltanto di ritenere l'anima come una sostanza sottile ed intermedia fra il corpo fisico ed il Nous, sostanza immateriale che dà vita appunto al soma e che l'immortalià della medesima non è un dato scontato come vorrebbe la Teologia cattolica ma semplicemente condizionale alla purificazione o catarsi operata in vita.
Anche l'esoterismo cristiano parla tuttavia di 'mors secunda' quale possibilità che incontrerebbe l'anima alla dipartita dal corpo fisico, eventualità del tutto disgraziata in quanto non le consentirebbe un prolungamento della sua sopravvivenza negli stati postumi utili ad evitare il suo completo annichilmento 'post-mortem'.
Tema assai ostico, quello dell'anima. Non sappiamo veramente quale sia la sua natura e, contro Ockam, il cui rasoio ha perso il filo, ci si trova sovente davanti all'esigenza di moltiplicare gli enti.
RispondiEliminaA proposito dell'immortalità dell'anima, Arnobio, nel III secolo, sosteneva che l'anima non è per tutti immortale. Come notavo, è questo un argomento che addirittura si è infiltrato nell'ufologia, pur con molti pressapochismi. Credo che sia legato al lato nascosto di molti eventi.
Ciao e grazie.
L'uomo dovrebbe ricordarsi della propria insignificanza di fronte all'universo, e non pretendere di conformarlo a propria misura. Se il suo spirito ha carattere immortale, ebbene ciò esce dal piano storico e cosmico. Bisogna combattere la propria vita, conformarsi al proprio dharma e infischiarsene dell'esito. Chi trema di paura è un vile, e chi spera il disastro è un menagramo.
RispondiEliminaAngelo Ciccarella