“Le cose da cui proviene la nascita alle cose che sono, peraltro sono quelle in cui si sviluppa anche la rovina, secondo ciò che deve essere: le cose che sono, infatti, subiscono l'una dall'altra punizione e vendetta per la loro ingiustizia, secondo il decreto del Tempo”.
(Simplicio, Commento alla "Fisica" di Aristotele)
Nel passo sopra riportato, Anassimandro, il filosofo dell’apeiron (lo si traduca con “indeterminato” e non con “infinito”) sembra rispecchiare il concetto orfico di colpa originaria. Il frammento, giuntoci per tradizione indiretta, è oscuro ed involuto, ma decisivo nel suo nucleo semantico che definisce un errore primigenio. Se l’errore è letteralmente errare, ossia movimento, si comprende la sua consustanzialità all’essere, allorquando si manifesta nel cerchio spazio-temporale.[1] Il pensatore intreccia tragicamente la “nascita” (in greco “physis” che è anche “natura” e la natura è madre perennemente generatrice: il suffisso “attivo e produttivo” –ura lo attesta) con la “rovina”.
Il nascimento è l’energia cosmica che crea e disgrega. Ab origine Anassimandro coglie il cedimento ontologico, in un’ottica fatalista sottolineata dalle espressioni “ciò che deve essere” e da “secondo il decreto”. Tale deviazione iniziale è causa e conseguenza insieme dell’”ingiustizia” (insufficienza) inerente alle cose: è lo stato di difetto che implica sia la “punizione”, cioè l’espiazione dell’errore, sia la “vendetta” che allude forse ad un riscatto alla fine dei tempi o del ciclo. La redenzione è il suggello della nemesi, poiché nulla può essere riparato senza sacrificio. L’ingiustizia degli enti è negli enti in quanto tali e non nelle loro determinazioni. Così il cosiddetto “peccato originale” più che essere la decisione (libera?) da cui dipese la caduta dei protoplasti e della loro progenie, pare retrocedere verso un atto precedente.
Il sapere che rifiuta questo principio è condannato ad adagiarsi nell’inganno e nel narcotico della perfezione, non riuscendo a dar conto dello sdrucciolamento.
In questo solco interpretativo, l’aforisma di Carlo Michelstaedter, “la nascita è il caso mortale”, strappato dalle sue radici esistenziali, si staglia, duro e netto, su un orizzonte metafisico.
[1] L’Essere si tiene fuori da questo cerchio, pur talvolta affacciandovisi?
(Simplicio, Commento alla "Fisica" di Aristotele)
Nel passo sopra riportato, Anassimandro, il filosofo dell’apeiron (lo si traduca con “indeterminato” e non con “infinito”) sembra rispecchiare il concetto orfico di colpa originaria. Il frammento, giuntoci per tradizione indiretta, è oscuro ed involuto, ma decisivo nel suo nucleo semantico che definisce un errore primigenio. Se l’errore è letteralmente errare, ossia movimento, si comprende la sua consustanzialità all’essere, allorquando si manifesta nel cerchio spazio-temporale.[1] Il pensatore intreccia tragicamente la “nascita” (in greco “physis” che è anche “natura” e la natura è madre perennemente generatrice: il suffisso “attivo e produttivo” –ura lo attesta) con la “rovina”.
Il nascimento è l’energia cosmica che crea e disgrega. Ab origine Anassimandro coglie il cedimento ontologico, in un’ottica fatalista sottolineata dalle espressioni “ciò che deve essere” e da “secondo il decreto”. Tale deviazione iniziale è causa e conseguenza insieme dell’”ingiustizia” (insufficienza) inerente alle cose: è lo stato di difetto che implica sia la “punizione”, cioè l’espiazione dell’errore, sia la “vendetta” che allude forse ad un riscatto alla fine dei tempi o del ciclo. La redenzione è il suggello della nemesi, poiché nulla può essere riparato senza sacrificio. L’ingiustizia degli enti è negli enti in quanto tali e non nelle loro determinazioni. Così il cosiddetto “peccato originale” più che essere la decisione (libera?) da cui dipese la caduta dei protoplasti e della loro progenie, pare retrocedere verso un atto precedente.
Il sapere che rifiuta questo principio è condannato ad adagiarsi nell’inganno e nel narcotico della perfezione, non riuscendo a dar conto dello sdrucciolamento.
In questo solco interpretativo, l’aforisma di Carlo Michelstaedter, “la nascita è il caso mortale”, strappato dalle sue radici esistenziali, si staglia, duro e netto, su un orizzonte metafisico.
[1] L’Essere si tiene fuori da questo cerchio, pur talvolta affacciandovisi?
Ciao leggendo mi è venuto in mente forse erroneamente che alcune culture orientali attribuiscono alla nascita di per se un peccato, ma tramite la vita è possibile la redenzione fin quando non si giunge al Nirvana.
RispondiEliminaPersonalmente credo che tutto ciò sia un espediente da parte della religione per giustificare il male, poiché esso è intrinseco nella vita e come tale deve essere estirpato. Ma se siamo male o ne siamo portatori, non ne siamo del tutto consci, fin tanto che cercheremo la perfezione non sarà essa a redimerci ma sarà la volontà stessa di comprende gli errori e di sanarli a permetterci di alleviare un po del male prodotto dall'uomo.
Fenice, è tema spinoso. Forse non è sufficiente una vita per redimere il male: è per questo che fu introdotta la concezione della metempsicosi. L'ombra è consstanziale alla vita, ma lo è pure al cosmo? E' un lancio di dadi e ne deriva una dose di azzardo. Credo.
RispondiEliminaCiao e grazie.
Ciao Zret, crediamo che non ci sia rimasto tanto tempo per la purificazione dei nostri "peccati" qui su questo piano terrestre.
RispondiEliminaE'comunque un peccato perdere la fede :-)
Sì, Puntozero, la cera si è quasi consumata.
RispondiEliminaL'ora x pare vicina.
Ciao e grazie.
Nei Vangeli canonici non v'è traccia del concetto di 'peccato originale', teoria che si affaccia invece con prepotenza nella letteratura epistolare.
RispondiEliminaLa constatazione non mi pare di poco conto e credo che basti, nella sua macroscopicità, a dimostrare uno iato pressochè completo fra un tipo di letteratura e l'altro. Ci troveremmo dunque di fronte a due filoni teologici fra di loro completamente differenti in quanto nati in contesti diversissimi, i loro autori ignorandosi gli uni gli altri.
Altrochè matrice unitaria del Cristianesimo!
Del tutto sereni i Vangeli e affatto cupe e a tratti da 'mania religiosa' le scritture attribuite alla figura leggendaria di Paolo.
Ad ogni modo, la teoria del 'peccato originale' è stata enfatizzata con veemenza dalla nascente Chiesa Cattolica, la quale sfruttò senza scrupoli il concetto al fine di generare immani complessi di colpa nei fedeli, complessi psicopatologici che si sono trascinati per quasi diciassette secoli.
Ma un conto è affermare che l'Umanità è decaduta a causa della ciclicità degli eoni e quindi per una necessità intriseca alla Manifestazione, un conto è addossarne la responsabilità ad una creatura ignorante e quindi spiritualmente poco evoluta quale l'uomo.
Non credo abbia mai avuto senso parlare di 'peccato originale'. Sarebbe stato molto più onesto e dalle conseguenze molto meno devastanti l'affermare che la Creazione s'è involuta con il passare dei millenni e delle decine di millenni e che tale decadenza ha coinvolto non solo l'uomo ma tutti gli esseri senzienti che lo circondano.
Di questa ipotetica colpa 'ab initio' di cui si sarebbe reso colpevole l'Adam Qadmon primordiale, noi non abbiamo ricordo alcuno.
E non di colpa o peccato si trattò ma di inevitabile -poichè inscritta nell''ananké originaria stabilita dal Creatore- decadenza.
Eccellente postilla, Paolo. La concezione di una decadenza inevitabile e necessaria della Manifestazione è stata con il tempo quasi del tutto obliata, almeno nel mondo occidentale, dove si è affermato il guazzabuglio evoluzionista (qui ricorderei che anche Lamarck ebbe le traveggole)assurto a dogma. Il "peccato originale" è appunto il fatale scivolamento connesso alla dimensione temporale e forse questo declino si esplica come attrazione degli enti verso la materia.
RispondiEliminaE' come un'attrazione gravitazionale e qui mi viene in mente che alcuni ricercatori hanno ipotizzato che la gravità sia in antitesi con la Coscienza. Avevano dunque ragione quelle correnti gnostiche che identificavano nelle forme iliche il peso, il servaggio, la tenebra?
Merito di Anassimandro fu di aver intuito nel suo oscuramente chiaro aforisma la caduta ontologica.
Ciao e grazie.