28 gennaio, 2011

Corpus hominis

Il corpo: come considerarlo? La duplicità, che non è necessariamente dualismo, implica un movimento di attrazione-repulsione. Forse le anime, come sostengono alcune tradizioni, furono attratte dalla materia in cui restarono imprigionate: il corpo diventa un sarcofago da cui l’anima anela disperatamente a liberarsi, di vita in vita. È una caduta per concupiscenza, poiché le anime desiderano esperire, attraverso i sensi, il mondo della densità. L’attrazione per la materia, una volta conosciuto il suo destino di disfacimento, si inverte in ripulsa, ma ormai è tardi. Troppo tardi.

Le correnti gnostiche, di cui alcuni princìpi confluirono nei sistemi dei Bogomili e dei Catari, enfatizzando la differenza tra Spirito e materia, negano ogni possibile conciliazione. E’ tragicamente ironico che il persecutore degli Albigesi, Innocenzo III, nel De contemptu mundi, mostrò una visione del soma e delle sue ribrezzose impurità non dissimile da quella dai Buoni uomini.

E’ necessario il corpo per maturare dei vissuti? La seduzione della conoscenza lato sensu ebbe il sopravvento: fu la rovina. Le voluttà dei sensi sono più inebrianti del piacere della sfera intelligibile, ma il loro scotto è alto, ossia scendere in una dimensione dove, ad un breve periodo di vigoria, subentra una fase di progressivo, irreversibile decadimento.

Duplicità, si diceva: da un lato l’organismo si rivela un “congegno” strabiliante nella sua complessità ed efficienza, dall’altro è un involucro fatiscente. Suscita ammirazione uno strumento come la mano, con le sue articolazioni, le sue possibilità di afferrare gli oggetti e di manipolarli, eppure…

“Un tronco che soffre”: così definì il corpo Giacomo Leopardi con potente, disperata immagine.

Forse è un’astuzia della natura che perpetua ciecamente sé stessa attraverso gli organismi caduchi delle diverse specie: esisterà pure un disegno, ma ce ne sfuggono i connotati più profondi. Era necessario questo addensamento o fu il risultato di uno scarto ontologico? Anche l'avatar discende, ma poi risale; per i comuni mortali l’anabasi è ardua, quasi impossibile.

L’Orfismo, nella tradizione occidentale, palesò un atteggiamento anti-ilico, recepito poi da filosofi come Platone. Un pensiero anti-cosmico si può reputare una radicalizzazione di quella tendenza. Il sentiero dualistico conduce verso il rifiuto del mondo e diventa nichilismo, se, annichilita la natura, non resta nient’altro. Se, infatti, oltre la materia, sia pure una materia sottile, non si estende una dimensione non-fisica, la liberazione dalla schiavitù ilica è oblio, puro nulla. E’ una posizione estrema, agli antipodi di visioni che celebrano il corpo nella sua sensorialità, nella sua prestanza, almeno finché dura: dacché sottentra la senescenza, piena di magagne, il corpo si tramuta in una tomba cui ci aggrappiamo solo per un’irrazionale Wille. Allora il non-essere appare meno spaventoso di un supplizio senza speranza, di un’agonia lacerante.

Il rigetto del corpo si discosta dalla sua stessa mortificazione, poiché movimenti come quello dei Flagellanti umiliano la carne, come pungolo del peccato, non in quanto degradazione. Nel Cristianesimo paolino al corpus Christi è associato il mistero dell’Incarnazione: occorre incarnarsi per redimere, attraverso lo strazio delle membra sulla croce. La sofferenza del corpo (ente del patimento sino alla follia) si sublima nella salvezza, ma la retorica del sacrificio e del sangue è dietro l'angolo. I docetisti non erano d’accordo con tale interpretazione che sfociò nella teofagia con cui il Cristianesimo ci richiama i culti dionisiaci.

L’etimologia ci aiuta ad inquadrare uno scorcio del tema: soma-sema (corpo-sepolcro), dicevano gli Orfici con significativa paronomasia. In inglese “corpse”, dal latino “corpus”, vale “cadavere”: è possibile concludere così, anche se in modo inconcludente.

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5 commenti:

  1. L'argomento da te Trattato Zret, ci riporta al Karma, sempre lui imperituro, come onde che si succedono nell'oceano, i corpi creati, uno dopo l'altro, vengono alla manifestazione e poi scompaiono, con gravi sofferenze, vi sarà mai fine a tutto ciò? E' il karma senza fine che si rivela nell'oceano primordiale della coscienza?

    Il Karma così come è stato definito fin ora, interessa non soltanto gli esseri umani, ma ogni manifestazione vivente o non, senziente o in-senziente.

    Tutto è soggetto ad esso, il fluire delle acque, il bruciare del fuoco, il soffiare del vento fanno parte del Karma.

    L'insieme di tutti questi Karma generano la Creazione, il sostentamento e la distruzione di tutto ciò che esiste.

    Questi fenomeni sono soltanto l'espressione della spinta creativa della Natura che è chiamata "Prakriti".

    Gli elettroni girano intorno al nucleo e anche all'insieme delle stelle e dei pianeti e sono soggetti a una loro legge di rotazione e di rivoluzione che è governata dalla legge del loro Karma.

    Questo è il modo di come L'Universo si comporta, malgrado tutti i suoi cambiamenti continui.

    Questa è la legge universale che regola e governa le nostre azioni quotidiane, dandoci sofferenza e terrore, vita dopo vita, senza il ricordo di quella precedente; solo ad alcuni eletti è dato la possibilità di ricordare per non più ritornare.

    wlady

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  2. Wlady, non avresti potuto completare meglio la riflessione. Hai descritto un universo in cui tutto si muove spinto da un impulso che pare irrazionale, fine a sé stesso. Vero che questo è un tratto della manifestazione, ma è come conservasse un quid incomprensibile del non-manifesto.

    Usciremo mai dal samsara o siamo destinati ad essere schiacciati dalla ruote delle esistenze?

    Ciao e grazie.

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  3. Dopo alcune letture e sopratutto ripensando a quanto scritto da filosofi e pensatori occidentali e orientali inizio a credere nella reincarnazione o metempsciosi.
    Senza contare poi le testimonianze provenienti da ogni parte del mondo alcune ai limiti dell'incredibile come quel bambino scozzese di cui parlò Voyager che ricordava dettagli di una vita passata.
    La domanda è però un'altra: quale logica regola? Perchè uno nasce in un determinato luogo o giorno? Perchè uno è più intelligente o più forte?
    Inoltre c'è ben poco di idilliaco in tutto questo essere imprigionati dentro un corpo destinato poi decadere morire e rinascere infinite volte senza per di più avere ricordo di ciò che si era prima non sembra proprio una bella prospettiva.
    Ammesso che tutto questo sia vero esiste una strada una via breve, per liberarsi da questo cerchio?

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  4. Gigettosix, condivido le tue perplessità che ho esposto appinto nell'articolo Reincarnazione. Ora, benché io non creda ad un ciclo di rinascite in vari corpi, è possibile che una memoria psichica e genetica travalichi i confini dell'esistenza singola per perpetuarsi in dimensioni superiori o inferiori. E' un cerchio simile ad un cappio e pensare che la morte non è la liberazione è una tortura. Perché tutto questo? Esiste un modo per uscire dal samsara? La liberazione in vita può essere ottenuta da chi ha acquisito una particolare iniziazione: per vivere occorre morire a sé stessi.

    Il corpo è una tomba? Credo di sì.

    Ciao e grazie.

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  5. "Essere un uomo e non sapere che cosa sarà il futuro".

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