Leggi qui la prima parte.
Il compito della teodicea fu assolto nello stesso momento in cui essa scomparve, non per averlo fallito, ma per esserci riuscita in pieno. In ultima analisi, essa fece sparire la nozione stessa di male. (M. Sgalambro, Dialogo teologico)
E’ abominevole non il male in sé, che può essere formidabile occasione di apprendimento e talora di ispirazione, ma la teodicea. Così, sebbene pensiamo che finalmente ci siamo liberati dal fardello della morale cattolica, quell’etica condensabile nella frase di padre Cristoforo “Dio vi ha visitate”, con cui il cappuccino evoca il concetto di sofferenza come premessa per un’elevazione, come prova, siamo ricaduti in quest’etica consolatoria, senza, però, più le perplessità di Manzoni, senza il suo “tragico ottimismo”. Se l’autore dei “Promessi sposi” vagheggia una “provvida sventura” (ma non sarà spesso solo sventura?) , alcuni new agers affermano che la “grande messe” può avvenire solo con colossali sacrifici umani. La retorica del sacrificio, con tutte le sue dismisure sadiche e masochistiche, assurge a Diktat, a condicio sine qua non per passare nella “quarta dimensione” (sic!). Naturalmente i sacrifici riguardano solo gli uomini comuni: i trainers e gli eletti se ne stanno sereni e tranquilli.
Si oblia l’archetipo della vittima innocente che è innocente proprio perché subisce un male di cui non ha alcuna colpa: anche coloro che non sono cristiani riconoscono in Cristo la figura mitopoietica (esistono comunque dèi pagani che adombrano valori molto simili: si pensi ad Osiride) dell’Uomo che è immolato ingiustamente, immagine potente di un’ingiustizia umana tanto scandalosa da richiedere lo scandalo della Croce. Cristo è l’emblema di un male insensato.
Non so se la materia sia un errore cosmico (come pensavano i diffamati Buoni uomini, vulgo Catari, che, esclusi gli eccessi di alcuni Perfetti, seppero in non pochi casi contemperare il disprezzo per il mondo con una vita integra nel mondo) o se sia una necessità. Credo sia comunque un limite, se ci si riferisce alla materia caduca, corruttibile, imprigionante. Dunque la celebrazione della vita non è la venerazione dell’esistenza, del suo freddo sarcofago, ma di quanto di radioso brilla nell’involucro di carne. E’ una venerazione che conduce all’accanimento terapeutico, alla fanatica preservazione di un soma in disfacimento, alla santificazione di una sopravvivenza agonica, dimentichi della scintilla che sola dà senso all’essere. E’ un materialismo cattolico, ammantato di ipocriti discorsi sulla sacralità della vita.
Non so se il cosmo sia in toto perfetto, nonostante le sue palesi pecche o se sia la conseguenza di un errore (errare) primigenio, errore destinato ad essere riparato, ma che ora ci costa sudore, lacrime e sangue. Propenderei, però, per la seconda possibilità.
Ogni fine è un confine: gli stessi traumi, tragici spartiacque del cammino umano, insegnano e danno il senso della prospettiva, ma la legittimazione del male per giunta nelle sue forme assurde, parossistiche, estreme, è spregevole oltre che insostenibile sul piano filosofico e teologico. Disgustosa è la teodicea che concepisce il male come una vendetta divina per colpe più o meno gravi commesse da uomini comuni che non sono perfetti, ma neppure dei demoni. Se esiste una giustizia superiore, essa è distante anni luce dalle simmetriche e meccaniche espiazioni della “giustizia” umana.
Si abbia la compiacenza di rispondere agli strazianti interrogativi sul Male con l’unica parola che non risulterà falsa, stonata, insincera: il silenzio.
Il compito della teodicea fu assolto nello stesso momento in cui essa scomparve, non per averlo fallito, ma per esserci riuscita in pieno. In ultima analisi, essa fece sparire la nozione stessa di male. (M. Sgalambro, Dialogo teologico)
E’ abominevole non il male in sé, che può essere formidabile occasione di apprendimento e talora di ispirazione, ma la teodicea. Così, sebbene pensiamo che finalmente ci siamo liberati dal fardello della morale cattolica, quell’etica condensabile nella frase di padre Cristoforo “Dio vi ha visitate”, con cui il cappuccino evoca il concetto di sofferenza come premessa per un’elevazione, come prova, siamo ricaduti in quest’etica consolatoria, senza, però, più le perplessità di Manzoni, senza il suo “tragico ottimismo”. Se l’autore dei “Promessi sposi” vagheggia una “provvida sventura” (ma non sarà spesso solo sventura?) , alcuni new agers affermano che la “grande messe” può avvenire solo con colossali sacrifici umani. La retorica del sacrificio, con tutte le sue dismisure sadiche e masochistiche, assurge a Diktat, a condicio sine qua non per passare nella “quarta dimensione” (sic!). Naturalmente i sacrifici riguardano solo gli uomini comuni: i trainers e gli eletti se ne stanno sereni e tranquilli.
Si oblia l’archetipo della vittima innocente che è innocente proprio perché subisce un male di cui non ha alcuna colpa: anche coloro che non sono cristiani riconoscono in Cristo la figura mitopoietica (esistono comunque dèi pagani che adombrano valori molto simili: si pensi ad Osiride) dell’Uomo che è immolato ingiustamente, immagine potente di un’ingiustizia umana tanto scandalosa da richiedere lo scandalo della Croce. Cristo è l’emblema di un male insensato.
Non so se la materia sia un errore cosmico (come pensavano i diffamati Buoni uomini, vulgo Catari, che, esclusi gli eccessi di alcuni Perfetti, seppero in non pochi casi contemperare il disprezzo per il mondo con una vita integra nel mondo) o se sia una necessità. Credo sia comunque un limite, se ci si riferisce alla materia caduca, corruttibile, imprigionante. Dunque la celebrazione della vita non è la venerazione dell’esistenza, del suo freddo sarcofago, ma di quanto di radioso brilla nell’involucro di carne. E’ una venerazione che conduce all’accanimento terapeutico, alla fanatica preservazione di un soma in disfacimento, alla santificazione di una sopravvivenza agonica, dimentichi della scintilla che sola dà senso all’essere. E’ un materialismo cattolico, ammantato di ipocriti discorsi sulla sacralità della vita.
Non so se il cosmo sia in toto perfetto, nonostante le sue palesi pecche o se sia la conseguenza di un errore (errare) primigenio, errore destinato ad essere riparato, ma che ora ci costa sudore, lacrime e sangue. Propenderei, però, per la seconda possibilità.
Ogni fine è un confine: gli stessi traumi, tragici spartiacque del cammino umano, insegnano e danno il senso della prospettiva, ma la legittimazione del male per giunta nelle sue forme assurde, parossistiche, estreme, è spregevole oltre che insostenibile sul piano filosofico e teologico. Disgustosa è la teodicea che concepisce il male come una vendetta divina per colpe più o meno gravi commesse da uomini comuni che non sono perfetti, ma neppure dei demoni. Se esiste una giustizia superiore, essa è distante anni luce dalle simmetriche e meccaniche espiazioni della “giustizia” umana.
Si abbia la compiacenza di rispondere agli strazianti interrogativi sul Male con l’unica parola che non risulterà falsa, stonata, insincera: il silenzio.
Perchè il male? Quale essere umano può dare una risposta?
RispondiEliminaMateria significa limite e caducità, è vero, e non passa giorno che il tempo e gli eventi non lo dimostrino, ma non è facile stabilire se le peggiori forme di male arrivino direttamente dalla materia oppure abbiano origine da lontano, da altri luoghi e altre dimensioni: qualcuno le ordina mentre a noi quaggiù tocca subire, chi più chi meno. Forse un tempo o in un futuro non era e non sarà più così.
L'altro giorno un'amica disperata mi ha detto: "Si parla di inferno e paradiso per chi muore, ma la verità è che l'inferno lo vive chi resta". Non ho potuto far altro che darle ragione.
Per quanto riguarda il caso specifico del male commesso in modo deliberato contro terzi, giustificato con i più scalcinati motivi (il fine che giustifica), ecco, direi che è un ottimo alibi per chi lo commette che, in tal modo, si dà l'autoassoluzione: l'atteggiamento, è il caso di dirlo, è satanico!
Gira e rigira si arriva sempre allo stesso punto.
Ciao.
E' vero, Ginger, il male potrebbe scaturire da dimensioni non fisiche, eppure pare che gli Arconti (chiamiamoli così) abbiano un'ossessione per la materia e la sopravvivenza biologica: si pensi ai deliri del Transumanesimo che è l'acme del materialismo e del biologismo, in salsa tecno-sintetica.
RispondiEliminaSì, sì, concordo perfettamente con quanto scrivi e riporti.
Ciao e grazie.
Caro Zret, il male è qualcosa di talmente assurdo, che non credo possa appartenere ad un discorso di evoluzione individuale o collettiva, se non per rari e specifici casi. penso piuttosto che esso derivi da una fonte oscura, non altrimenti precisabile, che alligna nella materia da eoni. Una fonte oscura che si nutre di lacrime, sangue, paura, angoscia e quant'altro indi per cui spinge l'umanità, inconsapevole e folle, verso una forma di annichilimento che diventa così pasto ricco per la forza maligna e la sua sopravvivenza.
RispondiEliminacari saluti
Andrea
Ciao Andrea, concordo. Il male è irrazionalità assoluta in un universo che già viola il principio di non contraddizione. Si può razionalizzare l'irrazionale? No. Eppure assistiamo a goffi ed empi tentativi di giustificare e spiegare il Male.
RispondiEliminaCiao e grazie.