“Il bene e il male: che cos’è”(?) è un volume in cui sono raccolti gli interventi di una conferenza tenuta da Pietro Archiati. Il titolo, che esibisce un soggetto tanto vitale, mi ha subito catturato, ma la delusione è stata pari, se non superiore, alla curiosità dei primi istanti.
Archiati si professa discepolo di Rudolf Steiner, di cui riprende, in verità semplificandole e volgarizzandole, alcune idee. Come si nota dal titolo, il tema è tra i più impegnativi, eppure l’autore, sicuramente persona in buona fede e simpatica, lo affronta in modo alquanto superficiale. Nel volume, che punta molto sulla libertà (data come postulato, non dimostrata nonché almeno in parte in contraddizione con la dottrina del karma) e sulla creatività dell’uomo, sulla necessità di emanciparsi dalle regole per costruire un’etica genuina, non manca qualche gemma, ma l’impressione generale è di deprimente piattezza e banalità.
E’ lodevole che Archiati abbia deciso di prendere le distanze dalla chiesa cattolica e dalle sue storte dottrine pseudo-cristiane; la sua critica dello scientismo è motivata e la diagnosi dell’insoddisfazione come assillo dell’uomo contemporaneo è calzante, ma al vino cattivo si sostituisce un vino annacquato.
In fondo, il libro è simile a mille altri testi edificanti: lasciano il tempo che trovano e la realtà non è meno dura, se la descriviamo con belle parole. Si sfiora poi il ridicolo, quando, nel goffo tentativo di giustificare il male ed il karma, si comincia un astruso computo di anime incarnatesi o disincarnatesi che sembra una specie di riffa: “il calcolo dei dadi più non torna”. Al limite tutti questi numeri vanno bene per giocarseli al lotto.
Rispetto alle pagine scritte dal venerato maestro che ebbe un’acuta e lungimirante visione delle Tenebre, concepite come una realtà oscura e maleficentissima, si resta disarmati di fronte a così dozzinali spiegazioni ed inviti deamicisiani al “volemose bene”. Le sofferenze inaudite di un’umanità straziata nel corpo e nell’animo, di una natura torturata sono anestetizzate con quattro scialbi predicozzi da prete di campagna.
E’ inutile diffondersi oltre su un libercolo che, nonostante le buone intenzioni dell’autore, è poco più di un catechismo steineriano. Di fronte al male, come abbiamo più volte scritto, o si dimostra caratura intellettuale per gettare un barlume sull’interrogativo per antonomasia o è meglio tacere, poiché se la teodicea è di per sé audace, una teodicea così sciocca è addirittura sacrilega.
Che cos’è il male? Archiati si cimenta in questo compito improbo, in una “impossibile mission”, ma la missione è fallita!
Ringrazio M.B., che credo concorderà con questo mio giudizio del tutto scevro di acrimonia, per la segnalazione.
Archiati si professa discepolo di Rudolf Steiner, di cui riprende, in verità semplificandole e volgarizzandole, alcune idee. Come si nota dal titolo, il tema è tra i più impegnativi, eppure l’autore, sicuramente persona in buona fede e simpatica, lo affronta in modo alquanto superficiale. Nel volume, che punta molto sulla libertà (data come postulato, non dimostrata nonché almeno in parte in contraddizione con la dottrina del karma) e sulla creatività dell’uomo, sulla necessità di emanciparsi dalle regole per costruire un’etica genuina, non manca qualche gemma, ma l’impressione generale è di deprimente piattezza e banalità.
E’ lodevole che Archiati abbia deciso di prendere le distanze dalla chiesa cattolica e dalle sue storte dottrine pseudo-cristiane; la sua critica dello scientismo è motivata e la diagnosi dell’insoddisfazione come assillo dell’uomo contemporaneo è calzante, ma al vino cattivo si sostituisce un vino annacquato.
In fondo, il libro è simile a mille altri testi edificanti: lasciano il tempo che trovano e la realtà non è meno dura, se la descriviamo con belle parole. Si sfiora poi il ridicolo, quando, nel goffo tentativo di giustificare il male ed il karma, si comincia un astruso computo di anime incarnatesi o disincarnatesi che sembra una specie di riffa: “il calcolo dei dadi più non torna”. Al limite tutti questi numeri vanno bene per giocarseli al lotto.
Rispetto alle pagine scritte dal venerato maestro che ebbe un’acuta e lungimirante visione delle Tenebre, concepite come una realtà oscura e maleficentissima, si resta disarmati di fronte a così dozzinali spiegazioni ed inviti deamicisiani al “volemose bene”. Le sofferenze inaudite di un’umanità straziata nel corpo e nell’animo, di una natura torturata sono anestetizzate con quattro scialbi predicozzi da prete di campagna.
E’ inutile diffondersi oltre su un libercolo che, nonostante le buone intenzioni dell’autore, è poco più di un catechismo steineriano. Di fronte al male, come abbiamo più volte scritto, o si dimostra caratura intellettuale per gettare un barlume sull’interrogativo per antonomasia o è meglio tacere, poiché se la teodicea è di per sé audace, una teodicea così sciocca è addirittura sacrilega.
Che cos’è il male? Archiati si cimenta in questo compito improbo, in una “impossibile mission”, ma la missione è fallita!
Ringrazio M.B., che credo concorderà con questo mio giudizio del tutto scevro di acrimonia, per la segnalazione.
Articolo durissimo ma , penso , ben centrato.Vedo, in calce al testo, il riferimento
RispondiEliminaal "mistero del doppio"- realta' che proprio grazie a voi cominciai a prendere in gran considerazione: sembrerebbe che il signor Archiati abbia deliberatamente voluto eluderla
Riccardo, ho usato il fioretto, ma...
RispondiEliminaForse ha voluto eludere un tema tanto spinoso.
Ciao e grazie.
Continuo a interrogarmi, poiche' bene e male qui entrano mi pare veramente con la maiuscola, sulla tribalizazione in atto delle nostre coscienze : la quale porta anche chi fra noi ( e noi proprio) e' piu' avvertito , a condannare d' acchito, dico, un pensiero, un parere altrui , senza nemmeno interrogarsi se per caso QUEL PENSIERO, QUEL PARERE,lo si era compreso bene o ,altrimenti, chi lo aveva formulato , data la strumentalita' difettosa della parola, potesse voler dire il contrario di cio' che minimamente appare: una tendenza generalizzata a Giudicare Frettolosamente, rispetto a ieri e l' atro ieri, tanto piu' allarmante dato il crescente livello di istruzione : a fronte, un vecchio amico semianalfabeta ma avvertito sul punto assai , soleva domandar sempre , alla fine, a chiunque standogli di fronte gli dava argomenti :"si', ma cosa intendi?" - e' nel Dialogo(Platone se ne intendeva da maestro 25 secoli fa) che puo' fiorire,penso, oltr l' eventuale errore , un punto condiviso di/a liberta': siamo ancora disposti, intimamente,nel mondo dove tecnica impera, a Dialogare?
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