11 ottobre, 2012

Memoria del futuro

Nel saggio “Bufale spaziali” Nick Redfern esamina alcuni eventi ufologici in cui è coinvolta la N.A.S.A. con i suoi segreti, insabbiamenti e depistaggi. Il capitolo IV del libro, “Il caso dell’Area 51”, è imperniato sulle rivelazioni di tale John (nato a Bloomington, Minnesota ed in forza presso il New York Department tra il 1948 ed il 1959). L’autore incontrò John nel 2005 e ne ricevette informazioni inerenti alcuni piani occulti dell’ente spaziale statunitense incentrati sugli U.F.O. Questi progetti erano stati elaborati all’interno dell’installazione nota come “Area 51”, sita nel deserto del Nevada.[1]

John, che era stato agente dell’F.B.I, cominciò a lavorare nella base nell’aprile del 1971. Destinato al complesso denominato “Dipartimento storico”, l’uomo venne a sapere da tre tecnici della N.A.S.A. che il settore, cui era stato assegnato, si occupava dello sviluppo del prototipo di un aereo avveniristico, della creazione di composti per la guerra chimica, di armi speciali e di “qualcos’altro”. Quel qualcos’altro – lasciarono intuire i tre – verteva su ricerche riferite ad accadimenti occorsi negli anni ’40 del XX secolo.

Un rapporto in particolare destò interesse ed apprensione in John: era un corposo documento intitolato “Analisi di una muta 48 Armageddon”. L’incartamento conteneva l’analisi scientifica di capi indossati da creature i cui corpi erano stati recuperati nel New Mexico nel 1947, in seguito allo schianto di un oggetto volante. Una volta eseguiti gli esami, fu accertato che le tute parevano confezionate con quello che oggi definiremmo una specie di velcro. Inoltre esse sembravano dotate di vita propria e di una forma di memoria incorporata. Uno dei componenti l’équipe scientifica, un tipo mingherlino, si offerse di indossare una delle mute. L’indumento aderì perfettamente al corpo del malcapitato che, subito dopo esserselo infilato, cominciò a manifestare sintomi di claustrofobia ed a captare inquietanti immagini mentali di un tetro e spaventoso futuro per la Terra e per la vita sul pianeta. Era uno scenario di un mondo avvelenato dalle radiazioni, con città in rovina ed enormi funghi atomici che s’innalzavano sullo sfondo di un cielo perennemente cupo, mentre dischi volanti sfrecciavano su territori devastati. Aspetto ancora più terribile: l’umanità era stata decimata dal contagio provocato da un virus mortale che attaccava e distruggeva il sistema immunitario. L’uomo che aveva indossato la “calzamaglia” ebbe l’impressione distinta e conturbante che gli esseri alieni odiassero la razza umana ed avessero congegnato un progetto per innescare un olocausto nucleare.

Come interpretare i ragguagli provenienti dal succitato whistleblower? Sono rivelazioni, come sempre, da prendere con le pinze, ma che non si possono ignorare del tutto. Non ci dilunghiamo circa questioni metodologiche ed ermeneutiche in relazione a temi delicati che travalicano i confortevoli confini della scienza accademica. Sono, infatti, problemi già affrontati.

Dunque ci limitiamo a sottolineare alcune invarianti e convergenze del caso in esame: la “profezia” aliena qui ottenuta in modo stravagante, per mezzo di un abito (biotecnologico?) in grado di conservare e trasmettere il vissuto mnemonico di un presunto ufonauta, l’azione nascosta di una genia malevola, il firmamento offuscato, la delineazione di un avvenire spaventevole in cui la Terra è ridotta ad una waste land, simile a quella descritta da T.S. Eliot…

Il tutto valga per esorcizzare.

[1] Il testo di Redfern è diseguale: a prescindere dall’infelice titolo italiano, dal… cattivissimo sapore (il titolo originale è, invece, il quanto mai opportuno “The N.A.S.A. conspiracies”), si alternano nel libro parti superficiali e persino forvianti a segmenti di grande interesse, ma dove è palese il debito dell’autore nei confronti del valente ufologo Mac Tonnies, scomparso prematuramente all’età di trentaquattro anni.

Fonte: N. Redfern, Bufale spaziali, Milano, 2011, pp. 63-80

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