29 maggio, 2013

Dendron

Davvero dovremmo imparare molto dagli alberi, creature duplici con le radici piantate nel terreno e la chioma protesa nel cielo. Gli alberi si accontentano di poco: un po’ d’acqua, sole e terra. Donano molto: ossigeno, frescura, frutti, legno per gli usi più diversi, soprattutto bellezza. Tenacia, resistenza alle intemperie, parsimonia sono le loro precipue virtù.

Non è un caso se i miti arcaici si incentrano su alberi dal valore emblematico: l’Yggdrasil dei Germani, gli alberi biblici. Axis mundi e Gnosi, anche il Segreto della vita. E’ noto che il termine “druida”, l’iniziato dei Celti, versato nella magia e nella divinazione, discende da due radici indogermaniche che designano rispettivamente la quercia e la sapienza: "dru" e "wid". Le driadi, le ninfe greche degli alberi, traggono il loro nome da "drys", quercia. I popoli antichi godettero di un rapporto privilegiato con la flora: numerosi racconti ellenici lo dimostrano. Si pensi a Dafne tramutata dal dio Apollo in un lauro. Naturalmente essi sentivano che le piante, oltre ad essere vive, erano sacre. La metamorfosi in albero di Dafne, di Ciparisso… è metanoia.

Bernardo di Clairvaux, il monaco cistercense che introdusse il culto della Vergine nera in Europa, soleva ripetere di aver appreso più dagli alberi che dai libri. Come non concordare? Non sono conoscenze empiriche, ma simboliche: forse Bernardo era ancora capace di dialogare con le creature arboree, di captarne le parole mistiche. A Dodona, in Tessaglia, profetava un venerando oracolo di Zeus: egli prendeva gli auspici, ascoltando lo stormire delle fronde di una quercia sacra al dio egioco. I venti erano le dita, le foglie gli strumenti.

Nell’"Odissea" gli alberi sono radicati nell’immaginario: le piante che crescono sull’isola di Ogigia alludono al mondo occultato oltre il mondo, come il nome della ninfa Calipso, la Nasconditrice disposta ad offrire al Laerziade l’unica forma di immortalità cui può aspirare l’uomo. Il nòstos dell’eroe omerico è ritorno alle radici, al talamo condiviso con Penelope, più alter ego (Anima?) dell’Itacense che consorte. Il letto nuziale è intagliato nel poderoso tronco di un olivo, pianta peculiare della cultura-coltura mediterranea. L’albero della nave, cui Odisseo è strettamente legato durante la navigazione presso l’isola delle Sirene, è salvezza.

Poiché la maggior parte dei vocaboli botanici appartiene al substrato delle etnie pre-indoeuropee, matriarcali, essi sono muliebri in un senso profondo, viscerale, non solo morfologico. D’altronde la morfologia è, in una certa misura, scienza dell’essere. Il genere femminile associato ai nomi degli alberi nell’idioma latino è il vestigio di un antico culto, di un pristino, obliato spirito. In principio era la Generazione.

La morte degli alberi è la fine della Terra. Ancora prima che essi fossero reificati e ingegnerizzati, erano scomparsi dall’orizzonte culturale, eclissati da un ego sempre più egocentrico. Una superstite consonanza con l’universo vegetale si avverte ancora in Pascoli e nel panismo dannunziano. Sebbene con modi estetizzanti, D’Annunzio è capace di sintonizzarsi con il ritmo segreto della flora: il suo superomismo, però, lo induce ad umanizzare la natura più che a naturalizzarsi in essa.

E’ sintomatico che, chiuso nella sua visionaria cecità, fu Stevie Wonder nel concept album “Journey through the wonderful world of plants” a carpire i palpiti ed i suoni inavvertiti, i colori del buio. E, però, l’ultimo anelito verso la verde armonia.

Osserviamo: la simmetria radiale degli alberi ritenuti preistorici, come le auracarie, si differenzia dalla simmetria bilaterale delle angiosperme che si diramano, attraverso biforcazioni di biforcazioni, in un movimento teoricamente infinito.

E’ proprio nella tensione inesausta ed inappagata verso l’infinito che gli alberi paiono manifestare la loro essenza. E’ proprio il rattrappimento della coscienza umana, oggi rimpicciolita in un moncherino inerte, a misurare la distanza incommensurabile tra la Vita e la Morte, invano guarnita di grotteschi orpelli. Il distacco definitivo da codesta umanità non discende da altero disdegno, ma è epigrafe su un sepolcro.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

9 commenti:

  1. in questo tuo scritto vibra una profonda commozione per ciò che furono i riferimenti primi di un umanità maggiormente centrata in se stessa...è importante questo richiamo ideale, in pratica questa "matura tensione nostalgica" sarebbe la nostra linfa, la nostra difesa contro le maleombre e benché ora non sembra più nutrire la piena germogliazione interiore dell'anima a tratti percepiamo la sua piena potenza evocatrice e possiamo riconoscere in essa il prodigio più grande della vita universale. In quest'intuizione, variamente diversificata su una distesa gamma di possibilità espressive, più o meno evidenti, risiede la vera felicità.
    Un saluto

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  2. Bellissime e profondissime parole, come sempre, Giovanni. Riesci a dar voce all'inesprimibile.

    Grazie.

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  3. Caro Zret che bel post, come la foto, davvero stupenda. Amo gli alberi e avevo anche comprato a mia figlia (anni fa, quando era piccoletta) un libro di mitologia in cui il rimando agli alberi era continuo. Non solo Yggdrasill, dunque, l’albero cosmico, ma una vera foresta di specie diverse. Simbolicamente l’albero e’ la figura più diffusa in tutte le tradizioni religiose/esoteriche perche’ é presente sui 3 Livelli (Cielo, Terra, Inferni) collegando con le sue radici la morte, la vita terrena con il tronco e la vita futura (spirituale) con le foglie.
    Ai momenti piu’ suggestivi della mia infanzia sono legate la figura e l’odore di due alberi in particolare, il fico e il mandorlo. Albero e frutto sacro, il fico è l’emblema della vita, della luce, della forza e della conoscenza. Nell’antica Grecia, era l’albero sacro ad Atena, dea della saggezza e a Dioniso dio del vino. Platone ritiene il fico amico dei filosofi. Nella tradizione antica il fico riveste quindi un significato di immortalità e di abbondanza. Esso rappresenta anche l’asse del mondo, che collega la terra al cielo. Nell’antichità si praticava la sicomazia, un metodo di divinazione attraverso le foglie di fico. Come simbolo dell’abbondanza è legato alla fecondità. Il fico presiede alla nascita; secondo una leggenda induista il dio Vishnu e’ nato sotto ad un fico. Lo stesso vale per i fondatori di Roma, Romolo e Remo.
    Il mandorlo è il simbolo della nascita e della resurrezione. È il primo albero a sbocciare in primavera e perciò simboleggia il rinnovarsi della natura, dopo la sua morte invernale. Il suo significato esoterico è strettamente legato al suo frutto, la mandorla. La mandorla è il segreto, il mistero che va conquistato rompendo il suo guscio, che protegge il seme. Alcuni riti sacri comportano il fare indigestione di mandorle, che si ritiene apportino sapienza. Infatti la mandorla, essendo nascosta, incarna l’essenza spirituale, la saggezza. La mandorla per la sua forma ovoidale è collegata alla matrice, come simbolo di fecondità, di nascita primordiale dell’universo. Come riproduzione dell’uovo cosmico, ha la caratteristica simbolica di rappresentare un spazio chiuso, protetto, delimita lo spazio sacro separandolo dallo spazio profano, essa forma così uno spazio chiuso; protettrice che separa il puro, l’originario, dall’impuro.
    Fondamentale il ruolo di certe piante e alberi anche nell’esperienza sciamanica, ma qui il discorso e’ talmente denso che non oso avventurarmici.
    Chi ha voglia di vedere l’ultimo affronto subito da questi nostri compagni su questa terra, puo’ fare una ricerca google sugli alberi artificiali di Singapore. Ho visto un servizio, credo sull’inserto domenicale del Guardian, dove si parlava di questo parco realizzato a Singapore solo con alberi metallici, adornati di orrende foglie posticce e lampadine. L’obbrobrio veniva presentato come attrazione degna di visita, nientemeno.

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  4. Gentilissima Avalon Carr, a proposito della foto, preciso che ho durato fatica a trovarla. Avevo reperito altre immagini molto belle, con alberi maestosi, ma stagliati su cieli sfregiati dalle scie. Così ho dovuto scartarle.

    Davvero succoso il tuo approfondimento sul fico e sul mandorlo: bisognerebbe scriverci dei trattati.

    Secondo alcuni esegeti il fico è uno dei due alberi dell'Eden biblico. Nella Tradizione, come osservi, è legato per lo più alla Conoscenza.

    In un racconto del "Novellino" Narcis è trasformato dal dio Amore in mandorlo. Narcis, che si innamora di sé stesso, adombra l'uomo che conosce la propria anima e che, conosciutala, muore per rinascere davvero? Probabile.

    Nell'articolo intitolato "Malum" avevo sfiorato soggetti inerenti al mondo vegetale in chiave simbolica.

    Non ero al corrente degli alberi artificiali di Singapore... Meglio non commentare.

    Ciao

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  5. Carissimo, rientro or ora dalla libreria con la mia copia di "Non a sua immagine" di John Lamb Lash, che avevi recensito tempo fa. Finalmente me l'hanno reperito. Uhm, 600 belle paginette che mi attendono. Puoi ben immaginare cosa faro' nel fine settimana...visto che il sole manca, mi illuminero' in modo alternativo. Un abbraccio.

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  6. Ho trovato la foto degli alberi di Singapore. Merita una pole position tra le tre cose piu' brutte al mondo, con la piramide di Astana e le isole finte di Dubai.
    http://www.dailymail.co.uk/news/article-2009458/Singapore-supertrees-How-giant-concrete-metal-woodland-towering-horizon.html

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  7. Più che alberi mi paiono dei funghi. Atroce...

    Ciao

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  8. Ciao Zret, leggo in ritardo il post e leggendolo un particolare mi ha suscitato una domanda: il fatto che il letto nuziale di Ulisse fosse intagliato in un albero di ulivo, pianta - come noti tu - cosí tipicamente mediterranea, come si concilia con la teoria di Felice Vinci, di cui hai trattato in passato in questo spazio, secondo la quale l'intera ambientazione dell'Odissea sarebbe nel Baltico anziché nel Mediterraneo? (Non ho letto "Omero nel Baltico", quindi non so se vi siano riferimenti specifici a questo particolare che mi è sembrato degno di attenzione).

    A presto, e scusa il ritardo...

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    1. E' un particolare che ha suscitato pure la mia perplessità. Premesso che la teoria di Felice Vinci è, a mio parere, plausibile, credo che originariamente l'albero in cui è intagliato il talamo non fosse un ulivo, ma una pianta nordica o centro-settentrionale. In ogni caso, la cultura in cui affondano i poemi omerici era in buona misura matriarcale e ciò si addice allo scenario primigenio delle saghe omeriche.

      Ho letto il saggio di Vinci, ma ora non ricordo come giustifichi l'"olivo". Mi pare tuttavia che l'autore non trascuri neppure questo aspetto, essendo il suo libro esauriente.

      Ciao

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