30 novembre, 2013

La Bibbia non è un libro sacro

“La Bibbia non è un libro sacro” è l’ultima fatica del Professor Mauro Biglino. Il titolo e la tesi sono perentori: se la Bibbia non è un testo di fede, che cos’è? E’ in buona misura un’opera storiografica o, meglio, l’epopea, dalle forti coloriture ideologiche, di un antico ed oscuro popolo medio-orientale. Il Genesi poi è un manuale di biologia molecolare ante-litteram.



Il saggio di Biglino porta la tradizione biblica dal Cielo alla Terra, dimostrando attraverso esplorazioni filologiche ed archeologiche che millenni di costruzioni religiose e spirituali sono un inganno, un grande inganno. L’autore non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo a compiere questo lavoro di critica biblica. Tuttavia egli si segnala per la chiarezza nell’esposizione, lontana dai bizantinismi di certi filologi. D’altronde una lettura oggettiva di molti capitoli contenuti nel Pentateuco permette a chiunque sia dotato di normale intelligenza di accorgersi che di sublime la Torah ha poco o nulla. Ciò, nonostante le traduzioni edulcorate che sono ammannite dai catechisti e dal clero.

E’ proprio la traduzione il campo in cui il Nostro si impegna con maggiore tenacia: conscio che l’ultima roccaforte da espugnare è quella dei sedicenti esperti che si ostinano a tradurre Elohim con il singolare, Biglino allestisce un’artiglieria formidabile con cui smura la rocca e la conquista. Nel momento in cui si dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che Elohim è un plurale, si sovvertono inveterati pregiudizi, radicate ricostruzioni. Gli Ebrei (Shasu), una delle tante etnie che pullulavano in Palestina dove si contendevano pascoli e sorgenti, sono ricollocati nel loro preciso contesto storico; YHWH è ridimensionato ad uno dei tanti “dei” che, tra II e I millennio a.C., si affannò per ritagliarsi la sua sfera d’influenza; il “peccato originale” è negato ipso facto

E’ evidente che le conseguenze delle indagini condotte da Biglino e da altri specialisti sono colossali, perché il Vecchio Testamento crolla sull’edificio già pericolante del Nuovo. Non è solo la religione ebraica a sgretolarsi, ma pure il Cristianesimo, insieme con la sua estrema, strana metamorfosi, l’Islam.

Sia chiaro: altri, prima del Professor Biglino, avevano inferto colpi micidiali alle tre fedi monoteiste, ma qui l’analisi è condotta oltre i confini della critica biblica e della storia antica per tratteggiare il quadro di una dominazione plurimillenaria. Auspichiamo che l’autore proceda lungo questa direzione per denunciare il legame tra poteri forti e mistificazioni ideologiche: non è un caso se gli specialisti del forum “Consulenza ebraica” sono dei negazionisti della geoingegneria clandestina...

Ci si chiederà: “Se la Bibbia non è un libro sacro, che cosa resta?” Rassegniamoci: se cerchiamo dei valori mistici ed esoterici, dobbiamo rivolgerci altrove. Leggiamo o rileggiamo dei classici, in primis la Commedia e il nostro appetito sarà soddisfatto. E’ vero: la Bibbia contiene qualche bella pagina, spesso creata da abili arrangiatori del testo “originale”, ma nel complesso, è cosa noiosa e pragmatica, un po’ come i Commentarii di Cesare dove la pazienza del lettore è messa a dura prova da una ridda di scaramucce, battaglie, spedizioni, assedi… Se intendiamo trovare risposte al mistero dell’essere e del male, dovremo compulsare altri volumi ed interrogare la nostra reticente coscienza.

Che cosa resta dunque? Si ha l’impressione che rimanga una distesa incenerita da un incendio, ma è una terra su cui un po’ alla volta spuntano germogli verdissimi destinati a crescere in vigorosi arbusti ed imponenti alberi.

Lo sappiamo: molti reputeranno questo libro un'opera iconoclasta, anzi blasfema, ma riflettiamo... anche un bambino che frequenta, suo malgrado, i corsi di catechismo, si accorge che qualcosa nella Bibbia non quadra. Se approfondirà, se imparerà a porsi domande, con il tempo comprenderà che, mentre una strada è sbarrata, se ne aprono molte altre. Inoltre anche le indagini dell’ottimo Garbini, per citare solo uno dei tanti biblisti, approdano a conclusioni simili a quelle di Biglino. Se egli è “sacrilego”, è in buona compagnia.

Come sempre, invitiamo i lettori ad accostarsi al saggio in oggetto con spirito critico e serenità: la fede in Dio non è neppure scalfita dalla ricerca, una ricerca che è ancora in fieri a tal punto che non sappiamo di preciso dove potrà portarci. L’erta è stata indicata: avremo la lena per percorrerla sino a toccare la vetta?

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

27 novembre, 2013

Mondi all'interno di mondi



A volte la vita sembra solo un mangiare per essere mangiati. Più che una struggle for life è una struggle for death, per procrastinare la morte. Che si sopravviva più o meno a lungo, alla fine ci attende un unico destino.

Lo spettacolo della natura ci incanta, ma le meravigliose apparenze, i colori luminosi, i suoni ed i profumi attraenti celano l’oscura, irrazionale corsa verso il disfacimento ed il nulla. Leopardi osserva un giardino ameno e vi scopre la sofferenza: il regno vegetale è un campo di battaglia. Ma si sa: Leopardi è un “pessimista”… L’esplorazione del mondo ci conduce sulle soglie dell’abisso, là dove precipita la luce, là dove le voci si spengono e tutto il passato è annerito nell’oblio.

La realtà è questa. E’ questa la realtà? In un attimo cambiamo concezione mille volte. Difficile pensare che il mondo sia solo un’arena, anche se l’esperienza quotidiana sembra deporre a favore di questa idea. Difficile pensare che il caso ed il caos dominino incontrastati. Eppure è arduo scorgere una logica nella carneficina degli eventi, ancora di più un disegno provvidenziale.

Non è la fede, ma un’immaginazione potentissima ad adombrare un senso oltre il non-senso.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

24 novembre, 2013

Quando il totale è superiore alle parti che lo compongono


Lo spettro nella massa

La massa non è un insieme di individui: essa ospita un quid che la trascende. Già gli antichi romani solevano ripetere: “Il senato è una brutta bestia, anche se i senatori sono brave persone”. E’ così: nel momento in cui il singolo rinuncia alla sua identità irripetibile, subentra una forza più grande di lui. Il senso di appartenenza ad un gruppo defrauda il soggetto della sua volontà che è incanalata nella “volontà generale”.

Alcune pagine dei “Promessi sposi”, ancora prima dei classici studi ad opera di Le Bon, Reich e Canetti, ben illustrano la psicologia della folla preda di un impulso irrazionale che la trascina come una bufera fa roteare le foglie secche. All’interno della moltitudine sopravvive un drappello che è ancora in grado di agire secondo ragione, ma è una minoranza la cui voce è soverchiata dalle grida dei fanatici.

Per il potere è più facile manovrare la massa che l’individuo, poiché nella prima è inoculato una sorta di virus che, un po’ alla volta, prende possesso delle cellule all’interno dell’organismo. Oggigiorno la massa è soprattutto quella formata dai teledipendenti o, in generale, dai destinatari dell’”informazione” mainstream. Il cittadino medio è di norma più intelligente del fruitore omologato: costui, però, perde gran parte della sua capacità critica per accettare le versioni tranquillizzanti ammannite dai “giornalisti” di regime.

Per gli apparati è necessario trasformare i cittadini in un’unità indistinta dove alla facoltà di giudizio è sostituita la fede. E’ la fede nelle ricostruzioni e nelle esegesi che il sistema propina: che esse siano inverosimili o contraddittorie tra loro non importa. Ad esempio, il cittadino massificato crede che il debito pubblico possa essere ridotto dalle misure tra oculate e draconiane di un governo, pur sapendo che il disavanzo interno aumenta ogni volta in cui sono emessi titoli di stato che sono appunto titoli del debito. Ancora, colui crede che votare possa ancora influire sulla politica, pur essendo conscio che i “politici” sono semplici burattini inetti e corrotti. E’ qui evidente dunque un’altra incongruenza: il soggetto plagiato si affida a colui sul quale non fa alcun affidamento. E’ convinto che i maneggioni sono dediti solo ai loro loschi interessi, ma ritiene che le trame non esistano. E’ questa una concezione paradossale, una concezione che è inculcata attraverso la spersonalizzazione della persona. E’ anche uno stato di dissonanza cognitiva.

La “cultura” di massa è il risultato di un potente rito magico: si genera una specie di egregora, un parassita che domina il “corpaccio” per mutuare un’efficace metafora di Manzoni. L’opinione pubblica è controllata: essa pensa, si esprime ed agisce come guidata da un pilota automatico. Agisce una forza inconscia nella folla: il dittatore di turno si appella a quella forza, la evoca, la lusinga, la dirige. I grandi manipolatori estraggono dal sottosuolo umano gli istinti distruttivi, l’aggressività, l’ira repressa, le inclinazioni deteriori (thanatos) per conseguire obiettivi nefandi.

Ora è il demagogo a sedurre la ciurmaglia ora il gazzettiere ora l’”esperto”: suadenti, insistenti, essi inoculano le menzogne con il loro linguaggio stravolto dove la verità si tramuta in “complotto”, la stupidità assoluta della rivista “Focus” assurge a scienza, l’attitudine a vedere oltre è degradata a paranoia. Nel lessico rovesciato del servilismo “giornalistico” l’insulto e la distorsione assumono le sembianze dell’oggettività, ma l’idioletto invaso da vocaboli come “bufala”, “teoria”, “fantasia”, “leggenda metropolitana”... tradisce la perfetta ottusità dei manutengoli.

Il popolino ha bisogno di essere rassicurato, blandito. “Mi mentano pure, a condizione che la bugia sia idilliaca. Mi derubino di tutto, purché mi lascino il campionato di calcio. Avvelenino il cibo, ma che io possa fare incetta al supermercato di scatolame vario”.

La plebe oggi è paga delle briciole che le sono graziosamente elargite. Essa non protesta, non si ritira sull’Aventino, perché non ha coscienza che i suoi diritti sono calpestati.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

20 novembre, 2013

Medioevo indecifrabile (seconda ed ultima parte)



Leggi qui la prima parte.

Una concezione gnostica?

Amfortas, il Re Pescatore o Re Ferito, è un personaggio che figura in alcune opere del ciclo arturiano come ultimo discendente della dinastia dei Re del Graal, custodi della preziosa reliquia. E’ caratterizzato in modi anche molto differenti dai vari autori. In ogni caso, soffre di una menomazione alle gambe o ai genitali ed ha difficoltà a muoversi. L’invalidità si riverbera sul suo regno che si è trasformato in un luogo deserto e sterile: è "la terra desolata", la "terre gaste". Il Re trascorre il tempo pescando in un fiume nei pressi del castello di Corbenic. Molti cavalieri erranti si recano dal Re Pescatore per sanarlo, ma il miracolo potrà essere compiuto solo dal prescelto destinato a trovare il Graal (nelle storie più antiche Parsifal; in seguito anche Galahad e Bors).

La ferita del Re Pescatore si collega ad una punizione per peccati o colpe. Le opere in cui la leggenda è cristianizzata sviluppano questo motivo, instaurando un'analogia tra la ferita del Re Pescatore e la lesione al costato subìta da Cristo sulla Croce. L'arma è la stessa: la lancia del destino.

ll Re Pescatore fu introdotto per la prima volta nell'opera di Chrétien de Troyes dove Parsifal incontra due sovrani feriti. Scopre troppo tardi che ambedue avrebbero riacquistata la salute, se avesse chiesto loro del Graal. Parsifal apprende anche di essere discendente dei Re del Graal, giacché sua madre è figlia del Re Ferito. Il poema si interrompe prima che Parsifal torni al castello dei due sovrani.

La scelta dell’appellativo "Re Pescatore" può essere ricondotta ai seguenti ambiti simbolici. Nel Cristianesimo primitivo il pesce evoca Cristo, in quanto “ichtys” è l’acrostico in greco di Gesù Cristo, figlio di Dio Salvatore e poiché la nuova religione si diffuse all’alba dell’era astrologica dei Pesci. Nella mitologia celtica, il pesce (il salmone) è collegato alla saggezza. Un’altra implicazione sarebbe suggerita dall'assonanza fra le parole francesi pêcheur e pécheur, rispettivamente "pescatore" e "peccatore". Il Pesce potrebbe alludere alla costellazione ed all’era dei Pesci, con tutte le sue risonanze allegoriche: questo spiegherebbe perché, nell’opera di Chrétien de Troyes, i re infermi sono due.[1]

“Parsifal” è l'ultimo dramma musicale di Richard Wagner, andato in scena il 26 luglio 1882 a Bayreuth, ma rappresentato nei teatri europei solo a partire dal giorno 1 gennaio 1914 con la "prima" a Bologna.

Dopo una gestazione durata alcuni decenni, l'opera fu composta tra il 1877 ed il 1882 e segnò il ritorno al tòpos del Graal, già affrontato molti anni prima in “Lohengrin”.

Considerato il capolavoro di Wagner, ricevette gli strali di Nietzsche che accusò l’artista di essersi miseramente "accasciato ai piedi della Croce", mentre Marinetti considerò “Parsifal” il segno della decadenza della cultura occidentale. Questo dramma mistico (definito da Wagner "sacro per eccellenza" e che costituisce il vertice della concezione "liturgica" del dramma musicale come Wagner lo intendeva) è permeato di significati spirituali ed iniziatici.

Tuttavia - come scrive il professor Andrea Bedetti - nemmeno Nietzsche si accorse che le allusioni religiose del “Parsifal” non sono riconducibili ai dogmi cristiani, ma alla dimensione imperscrutabile del sacro.

Alcuni particolari del dramma collocano Parsifal nel solco di una concezione gnostica? Il tema della Madre – Parsifal è cresciuto nel cerchio esclusivo dell’amore materno – sottintende Sophia? La piaga che affligge Amfortas è la lacerazione cosmica? Per ricomporre lo strappo dell’universo è necessario un eroe che racchiuda in sé qualità sublimi. Quest’eroe è il Salvatore, il Redentore che redime sé stesso: Egli getta il seme della salvezza in un mondo infetto (la piaga di Amfortas) per propiziarne la palingenesi o, meglio, per emancipare le anime dal carcere della materia.

In filigrana allora leggiamo, nelle storie del Graal, soprattutto se ne valorizziamo l’’indiscutibile sottofondo cataro, l’anelito verso la l’ascesa dell’anima, il kerygma della liberazione.

Wagner si avvicinò al senso profondo della leggenda? Che cosa significa, però, che il tempo si trasforma in spazio? Che senso recondito hanno simboli come il Graal (calice, pietra, stirpe reale, smeraldo di Lucifero o che cos’altro?), la lancia, la terra desolata, la madre…? Si ha a volte l’impressione di imbattersi in un’espressione culturale involuta, tortuosa dove gli oscuri emblemi si “chiariscono” solo con altri emblemi ancora più oscuri. I diversi autori rielaborarono il mito, integrandovi qualcosa di proprio, ma, come un fiume in cui non si possono distinguere le acque degli affluenti, essendo mescolate, così in questa saga polimorfa non riusciamo a discernere un contributo da un altro. A complicare ulteriormente il quadro, si aggiunge la pletora degli interpreti sempre pronti a fornire chiavi di lettura più ingegnose che convincenti.

Fermiamoci un attimo. Questo mito non sembra aver alcun senso… come molte altre cose.

[1] Philip K. Dick, nel romanzo “Valis”, anche se in un contesto di “finzione” narrativa, ipotizza che il glifo dei Pesci adombri la doppia elica del D.N.A., dunque una memoria genetica. Il visionario autore radica la leggenda del Graal in numerosi ed eterogenei substrati culturali, incluso il retaggio dei Dogon che raccontano di Nommo, un dio rappresentato in forma di pesce.

Fonti:

C. Cagigal, A. Ros, Figli del sangue reale, Milano, 2008
Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2007. s.v. Graal, Perceval
P.K. Dick, Valis, Roma, 2010
A. S. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, Roma, 2001, sv. Parsifal


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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

16 novembre, 2013

Il segreto degli Illuminati


Diego Marin ha recentemente pubblicato il saggio “Il segreto degli Illuminati”. L’autore è versatile: è un fisico, ma non disdegna discipline quali l’archeologia e la storia, materie in cui ci pare ferrato più di tanti sedicenti specialisti.

Prevengo un’obiezione: come è possibile che una casa editrice del sistema dia alle stampe un volume come questo che, pur non essendo rivoluzionario, è comunque una grossa pietra lanciata nello stagno del “sapere” accademico? La risposta è semplice: nei paesi “democratici” la censura si esercita in modo scaltro, lasciando filtrare qualche verità, con la certezza che un libro come quello scritto dal Dottor Marin resterà confinato nella nicchia dei lettori consapevoli... e sono pochi.

Peccato, perché il Nostro prosegue la sua indagine avviata con “Atlantidi”, un interessante contributo che non abbiamo recensito per carenza di tempo, con questa nuova fatica. E’ un’indagine che potremmo definire ipermetrope: Marin guarda lontano nel passato dell’umanità. Paradossalmente, però, tale approccio ci permette di vedere meglio il presente. Così si scopre che la Confraternita dell’Occhio onniveggente, sin dall’età protostorica, tiene le redini del pianeta. E’ una potenza politica ed economica che, attraverso la linea di sangue del Serpente rosso, mascherata sotto diversi nomi, è giunta fino a noi per portare a compimento il suo progetto, il Novus ordo seclorum.

Non è facile riassumere i contenuti del libro: tanti e tali sono gli spunti che spaziano dalla storia segreta alla glottologia, dall’antropologia all’economia. E’ proprio il capitolo sull’economia il più succoso (ed inquietante): se ne dovrebbe proporre la lettura nelle scuole superiori per mostrare il vero volto della finanza mondiale che trova il suo punto di svolta nella fondazione della Banca d’Inghilterra. Era il fatale 27 luglio del 1694. Gli stati si consegnarono nelle mani avide degli usurai. Il perverso sistema del signoraggio e della moneta-debito è alla base della crisi economica attuale, preludio di un’implosione generalizzata, ma le sue radici attecchiscono nelle epoche trascorse. Ezra Pound docet.

La tesi principale del saggio si sprigiona dall’investigazione circa il popolo noto come Hyksos: in urto con quanto sostenuto da altri studiosi, ad esempio Alessio De Angelis, Marin opina che gli Hyksos fossero indoeuropei. E’ opinione controversa, anche se documentata in maniera plausibile. Anche altre ricostruzioni abbisognano di verifiche e di approfondimenti. Soprattutto, mentre l’autore si ferma nel territorio storico-archeologico, per quanto eretico, siamo propensi a spostare la frontiera della ricerca per includere orizzonti ulteriori, persino metafisici.

Nonostante ciò, “Il segreto degli Illuminati” è un’utile esplorazione della realtà negata: ne affiorano il ruolo ed alcuni scopi della Setta, le connessioni genealogiche fra le stirpi dell’antico Egitto, le dinastie imperiali romane, i Carolingi, fino ai Romanov ed agli odierni governanti.

Marin si chiede se in questo quadro difficilissimo, ormai prossimi al crollo globale, si possa fare assegnamento sui superstiti della Fratellanza bianca. Ce lo chiediamo anche noi.

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11 novembre, 2013

Nuova luce sull’oscura vicenda del P.I.D

Chi non conosce la cosiddetta leggenda circa il vero Paul Mc Cartney che, dopo la morte in un incidente stradale, sarebbe stato sostituito da un sosia? Questa epopea, nota con la sigla P.I.D., ossia “Paul is dead”, appassiona da decenni fans dei Beatles, giornalisti, studiosi della cultura pop. La storia è tanto intrigante perché alonata dal fascino ambiguo, anzi ambivalente del doppio.

E’ tema antico. L’equivoco si intreccia al senso della perdità della propria identità nell’Amphitruo di Plauto: nella commedia Giove, innamoratosi di Alcmena, assume le sembianze del di lei marito Anfitrione, per concupire la donna. Il dio Mercurio, aiutante di Giove, prende l’aspetto del servo di Anfitrione, Sosia, per favorire la tresca.

Il topos dell’equivoco, dello scambio sciolto nella tradizione letteraria attraverso l’agnizione, il riconoscimento risolutivo all’interno dell’epilogo, scade nel cliché (si pensi ad una squallida produzione cinematografica di Roberto Benigni), nella trovata che strappa una risata banale.

Il P.I.D. si colloca agli antipodi di codesta comicità stanca e ripetitiva per collocarsi quasi nella dimensione della tragedia. E’, però, una tragedia senza catarsi, con eroi imborghesiti, nonostante il loro spirito trasgressivo, di una trasgressione che rafforza lo status quo con le sue devianze volute ed autorizzate.

Secondo la ricostruzione più diffusa, la notte del 9 novembre 1966 Paul Mc Cartney era uscito dalla sala prove dopo un violento alterco con gli altri tre Beatles (stando ad un'altra versione Paul era uscito frastornato da una festa all'inizio di dicembre del 1965). Salì sulla sua auto per tornare a casa e, lungo la strada, diede il passaggio ad una ragazza che faceva l'autostop. La ragazza si chiamava Rita e gli raccontò che stava fuggendo di casa, perché era incinta e, contro il parere del fidanzato, aveva deciso di abortire. Solo lungo una stradina di campagna, Rita comprese che la persona al volante era Paul dei Beatles. La sua reazione esagitata spaventò e distrasse McCartney. Egli non si accorse che il semaforo stava diventando rosso. Pur riuscendo ad evitare l'impatto con un altro veicolo, la vettura del Beatle uscì di strada e si schiantò contro un albero, prendendo fuoco. Paul, sbalzato fuori dall'abitacolo, sbatté la testa contro l'albero. Sia Paul sia Rita persero la vita. Stando ad un’altra ricostruzione dell'incidente stradale, Paul rimase decapitato nello schianto contro un autocarro.

Davvero l’attuale Paul Mc Cartney è un impostore e l’impostura dura da tanti decenni? Chi intende smentire la “leggenda” adduce come “argomento” forte il seguente fatto: era impossibile trovare un sosia del vero Paul che fosse altrettanto talentuoso come bassista e compositore. Chi, invece, sostiene che il vero Paul morì nel 1966 (o 1965, come si è visto), affastella una messe di indizi disseminati in testi di canzoni, copertine di dischi, istantanee... da cui si evincerebbe che i tre Beatles sopravvissuti continuarono a rimpiangere ed a rievocare il sodale defunto. Sono indizi, non prove, benché molto numerosi e spesso significativi.

Il colpo di grazia ai negatori della “leggenda” è giunto dalle indagini antropometriche circa il profilo dei padiglioni auricolari, la distanza tra gli occhi, la forma dell'arcata dentaria... fra i due “simillimi”? Riteniamo di sì, quantunque gli increduli respingano le evidenze biometriche, asserendo che le analisi sono state condotte su fotografie poco definite, neanche fossero state scattate da Niépce e da Daguerre…

Il dibattito è infuocato né importa poi più di tanto stabilire chi abbia ragione e chi torto. E’ indubbio, però, che la possibile morte di Paul è circonfusa di un’aura sinistra, da rituale nefando, da liturgia ominosa.

Il volto del satanista Aleister Crowley campeggia sulla copertina dell’album Sergent Pepper: Crowley come inquietante mentore dei Fab four.

Più, però, di tante tracce diaboliche e funeree – particolare che nessuno sembra aver adocchiato – è la data della dipartita di Paul a suggerire alcunché di oscuro. L’incidente occorse il 9 novembre 1966, ossia 11 9 1966, secondo la sequenza usata nel Regno Unito ed altrove per le date.

L’incidente fu un sacrificio umano compiuto per ottenere da stigie entità di perpetuare il successo nel campo della musica? Fu un’immolazione cui seguì un senso di colpa codificato e sublimato nei messaggi subliminali di copertine e libretti?

Restava da risolvere un problema: dove trovare non tanto una controfigura credibile del vero Paul, ma un sosia che fosse altrettanto creativo ed abile nel suonare il basso? Forse non è difficile trovare la risposta, pensando al potere del numero 11 collegato a qualche rituale di magia nera. Fantasie? Può darsi. In ogni caso, il mito vive nella morte.

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09 novembre, 2013

La legge dell’attrazione (sesta parte – non conclude)

Leggi qui la quinta parte.



Si possono considerare almeno ancora due aspetti circa lo spinoso tema. Essi valgono meno dei ragionamenti, perché sono semplici sensazioni, ma valgono di più, in quanto riverberano un barlume dell’intuizione.

Il déjà-vu non è tanto l’impressione di aver già percepito in un altro luogo ed in un altro tempo una particolare circostanza, ma la consapevolezza che in sogno o in uno stato alterato di coscienza abbiamo proprio esperito quell’evento, udito quelle parole, con quel caratteristico timbro, con l’inconfondibile colore del vissuto. L’esperienza onirica ci ha proiettato in un futuro che era passato ed è presente. Ora si squaderna innanzi a noi, in tutta la sua fatale, solenne glacialità. E’ come se quell’avvenimento fosse un quadro dinamico contro cui siamo andati a sbattere.

Sono, però, soprattutto gli artisti a sperimentare l’imperio della fatalità. Secondo il convincimento di Michelangelo, le sculture che egli cavava dal marmo erano già lì nella pietra: il genio rinascimentale si limitava a liberarle. E’ proprio così: il pittore, il musicista, lo scrittore… portano alla luce ciò che è sepolto nel sottosuolo dell’ispirazione. Essi sono archeologi. Il capolavoro attende soltanto qualcuno che sappia in quale strato sotterraneo è nascosto, qualcuno che sappia scavare. Il capolavoro esiste ab aeterno. L’arte è destino. Destino è dar forma alle idee. Il fato si esprime attraverso uomini predestinati, condannati ad esprimersi.

Se il destino esiste, esso è tutto, tutto gli appartiene: dagli eventi che cambiano un’epoca all’inclinazione del capo, dalla galassia che ne fagocita un’altra al filo d’erba su cui gocciola la rugiada.

Se il destino esiste, non hanno alcun senso i rimpianti, i rammarichi, i rimorsi, le speranze, le attese, i progetti, i se...

Immensa consolazione ed immensa costernazione per tutti noi.

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06 novembre, 2013

Onore

Libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta. (Dante, Purg. vv. 70-72)

Che significato assumono onore, rispettabilità, reputazione? In primo luogo, sono concetti borghesi nel senso deteriore del termine. Spesso la rispettabilità incarna una mentalità filistea tutta tesa ad esaltare le pubbliche virtù per nascondere i vizi privati, volta ad ostentare false apparenze dietro le quali si nascondono le più abominevoli turpitudini.

In una società dominata dalla corruzione e dall’ingiustizia più sfacciata, quale quella attuale, chi è in una posizione di potere, chi ha le aderenze giuste, subito sporge querela per diffamazione per atterrare un avversario e per dissanguarlo. Ci chiediamo: costui è stato veramente disonorato? Se ci inoltriamo nello specifico, ci domandiamo se aver criticato i negazionisti si possa considerare denigrazione. Chiariamo il quadro. Se X, stuprando la scienza e la verità non solo afferma che la geoingegneria illegale non esiste, ma soggiunge che i ricercatori impegnati nella divulgazione circa la guerra climatica sono dei ciarlatani, dei bugiardi, dei deficienti, dei paranoici etc., come si può considerare la sua azione? Innanzi tutto X depaupera la scienza e calpesta la verità. Inoltre egli oltraggia sé stesso, poiché diventa indegno del titolo di studio che ha ottenuto o delle competenze che dovrebbe dimostrare. Infine offende i cittadini e gli studiosi che, in assoluta buona fede, denunciano la biogeoingegneria clandestina. Queste offese tuttavia, pur gravissime, sono “giudizi di uno stolto”, per dirla con William Blake, quindi “titoli da re” per i destinatari che certamente sono aggrediti, ma la cui reputazione cresce tra le persone oneste, quanto più sono colpiti da strali proditori.

In verità le disapprovazioni rivolte agli occultatori sono ammonimenti e persino attestati di stima, poiché ci si appella alla loro residua intelligenza. Non possiamo, infatti, credere che i disinformatori siano tanto ottusi da non ammettere la realtà irrefragabile delle cosiddette “scie chimiche”. Se essi non la ammettono, è per ragioni di convenienza, per pragmatismo, non certo per totale incapacità di intendere e di volere. Dunque le eventuali critiche nei rispetti dei negazionisti sono di fatto elogi di cui devono ritenersi onorati. Non comprendiamo quindi in che cosa consista la diffamazione di cui si è accusati, dal momento che, non appena si afferma una verità, non appena si censurano le distorsioni dei depistatori, essi, come tanti satelliti, brillano di luce riflessa, una luce che s’irradia dal Sole.

Non ripeteremo con Dante, “cortesia fu a lui esser villano”, piuttosto siamo cortesi con loro anche quando sembriamo aspri e sprezzanti.

In un sistema giuridico serio, il delitto di diffamazione dovrebbe essere considerato alla luce della buona o cattiva fede, dovrebbe essere posposto al perseguimento di reati pesanti, dovrebbe prevedere una totale simmetria tra chi ritiene di essere stato oltraggiato e chi oltraggia. Tutto ciò non accade, quindi l’accanimento nei confronti degli esperti e dei cittadini che segnalano la mortale geoingegneria si spiega solo nel quadro di una sperequazione inammissibile, nell’ambito di un perverso piano volto a soffocare le voci del dissenso. Le eventuali motivazioni che si possono addurre per giustificare le denunce, i sequestri, le iniziative "legali", i quotidiani, vili attacchi sono pretesti, sofismi, cavilli da causidici. Non abbiamo nulla di cui pentirci né di cui vergognarci. Attendiamo solo le scuse ed il plauso dei querelanti nonché delle istituzioni tutte, in primis la Magistratura, per l’operato fin qui da noi svolto.

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03 novembre, 2013

Medioevo indecifrabile (prima parte)

Un nome enigmatico



Per fortuna il pregiudizio a proposito del Medioevo come età di decadenza, di chiusura e di superstizione è oggi in gran parte superato. Ogni epoca storica è offuscata dall’ignoranza e dilaniata dalla ferocia: la media tempestas, in quanto appartenente alla storia (dis)umana, lo fu pressappoco come le altre, antecedenti e successive. Che pensare dei nostri tempi agonizzanti ed inquinati, su cui sventola il nero stendardo dell’oscurantismo pseudo-scientifico? Passiamo oltre…

Il Medioevo, più dell’era antica con cui condividiamo, pur con notevoli differenze, il criterio del lògos, risulta a noi contemporanei, in ultima istanza, insondabile. Così ci sembrano superficiali, se non inutili, gli studi con cui si è cercato di decifrare lo Zeitgeist dei “secoli bui”. Il Medioevo segreto continua a resistere ai tentativi di interpretazione. L’interpretazione deve assurgere ad esegesi, se intendiamo carpire qualche segreto.

Si pensi alle leggende sul Graal, all’enigmatico personaggio di Parsifal (o Perceval, Percival, Parzival, Perlesvaus, Percivalle). Le versioni di questa saga variano moltissimo l’una dall’altra: il Leitmotiv è la storia di un giovane nato e cresciuto nella foresta, ignaro di cavalleria e di corti. Egli, in cerca del Graal, si reca nel castello di re Artù per diventare uno dei cavalieri della Tavola rotonda. Parsifal è ammesso alla vista del Graal, perché il suo cuore è puro. L’archetipo del personaggio è probabilmente nel folklore celtico, su cui poi si stratificarono versioni cristiane.

Il significato genuino della queste è in Chrétien de Troyes con il poema “Perceval ou li conte dou Graal”(dopo il 1181, rimasto incompiuto). A Chrétien de Troyes si riallacciò Wolfram von Eschenbach con il suo "Parzival" in ottonari a rima baciata, composto tra il 1200 ed 1210. Nel poeta tedesco il campione diventa un cercatore di Dio, legato ad una stirpe illustre; il Graal è qui una pietra, in cui si è voluto vedere un ricordo del leggendario mani, la pietra di saggezza posseduta dai Catari. Dimentichiamo le spiegazioni cristiane della storia, perché ci portano fuori strada: il Graal adombra presumibilmente il mitico calderone di Dagda, signore celtico degli inferi in grado di riportare in vita i defunti. Attraverso influssi non chiari a questo nucleo si amalgamò la tradizione merovingia incentrata su un lignaggio di re taumaturghi, forse discendenti dal Messia di David.

Tra i vari aspetti ermetici della narrazione ne citiamo almeno due: l’etimologia del nome Parsifal e la figura del Re Pescatore.

In merito al primo punto, Anthony S. Mercatante propone il significato di “valle perforata”; altri “colui che apre il varco”; qualcuno “dura lancia”; Wagner traduce con “puro sciocco”. L’etimo più plausibile ci pare quello riportato da Cagigal e Ros che, collegando il nome alla lingua occitanica ed alla dinastia Trencavel, vi vedono il valore “taglio bene”. E’ evidente, però, che siamo nel campo delle congetture. “Nomina sunt omina” nell’antichità e nel Medioevo: l’ignoranza del vero significato del nome in oggetto ci impedisce di comprendere appieno il contenuto esoterico della missione compiuta da Parsifal, pure del suo ferale silenzio.

Come è noto, infatti, il prode al cospetto dei Re feriti, tace, non chiedendo loro del Graal. La domanda avrebbe guarito i sovrani, padre e figlio, dalla loro infermità.

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