30 marzo, 2014

Io, tu e le cose


Qual è il nostro rapporto con le cose? Nel mondo attuale, per lo più, gli uomini non possiedono le cose, ma sono posseduti da esse. La società materialista ha alienato gli individui, portandoli a conferire valore intrinseco ad un nuovo modello di cellulare, ad un’automobile fiammante: l’obsolescenza psicologica, però, è più rapida di quella merceologica. Si pensi soprattutto agli adolescenti: essi presto si stancano del marchingegno che hanno facilmente ottenuto da genitori permissivi. Subito i rampolli smaniano per un nuovo gadget dalle prestazioni sbalorditive e dalle linee accattivanti.

Può sembrare paradossale, ma chi brama sempre nuovi prodotti, invero non è attaccato alle cose, ma al loro valore simbolico (status symbol), alla possibilità di ostentare prestigio sociale. Spesso questa attrattiva per le cose si incanala verso strumenti tecnologici, visto che oggigiorno la persona tende a vivere in simbiosi con la téchne.

La materia lascia trasparire una filigrana spirituale. E’ una filigrana che gli esseri reificati non riescono ad intravedere. Gli oggetti, invece, per gli uomini più evoluti sono o possono assurgere, come ci ricorda Giulio Carlo Argan, a valori. E’ l’utensile appartenuto al nonno e che si rivela ancora adatto alla bisogna. E’ la suppellettile che ingentilisce un angolo della nostra casa. Di per sé il soprammobile è insignificante, ma è circonfuso di un’aura o perché è un dono di un amico o in quanto è legato ad un’esperienza indimenticabile e così via. Ecco che la cosa, inerte e vuota, si riempie di senso per noi. Sono soprattutto gli oggetti dell’infanzia a caricarsi di energie, di evocazioni, di odori: sappiamo sbarazzarci delle automobili in miniatura con cui ci divertivamo, quando eravamo piccoli? Anche le banali figurine raccolte con zelo paziente sarebbero ancora custodite in qualche cassetto, se madri un po’ corrive non le avessero gettate via. Forse l’attaccamento a certe cose è il legame con il nostro passato, ma il tentativo di aggrapparsi ad un passato altrui. Infatti oggi noi non siamo più chi fummo.

Il tempo trascorso, scrive Montale, “appartiene ad un altro”... ad un altro me stesso, bisogna chiosare, giacché la nostra identità è flusso, cambiamento, impermanenza: già dieci minuti addietro eravamo differenti da come siamo adesso. Allora gli oggetti diventano gli appendini cui sono sospesi i nostri molteplici e fallaci io. Che cos’è l’identità, se non una risma di fogli incollati l’uno sull’altro?

Seguiamo un‘intervista video, ma non ascoltiamo! Guardiamo l’ambiente in cui l’intervistato risponde alle domande: gli scaffali con i libri dietro di lui, l’arredamento, i dipinti e le stampe alle pareti, i vasi con le piante... esprimono dell’intervistato la natura intima, le sue abitudini, gusti, interessi, ubbie... in una parola, l’anima.

In un melanconico e bellissimo sonetto, il poeta barocco Tommaso Stigliani contempla l’arredamento della camera in cui suole soggiornare, pensando che, quando sarà conclusa la sua vita, gli oggetti, invece, muti e silenziosi, continueranno a vivere ancora per molte generazioni. L’immortalità appartiene a cose morte. Eppure non sono forse esse, almeno sotto certi rispetti, immagini che misteriosamente proietta la nostra prodigiosa coscienza? Non sono forse le ombre colorate della nostra fervida immaginazione?

Alcuni ritengono che, se esiste un mondo ultraterreno, esso sarà popolato dalle nostre proiezioni, dai desideri e dai sogni: se abbiamo sempre vagheggiato una villa su una scogliera, carezzata dall’azzurro del mare e del cielo, un giorno vivremo lì. Quella dimensione sarà abitata dalle persone, dagli animali e dagli oggetti che più abbiamo amato, sempre che abbiamo amato.

E’ folle incistarsi al denaro, al possesso, alle ricchezze. Nella novella “La roba”, Giovanni Verga descrive la disperazione del protagonista che, sapendo di essere prossimo a morire, vorrebbe portare tutto il suo patrimonio con sé. La ricchezza, però, è merce ed usura, mentre le cose amate, persino a volte quelle di “pessimo gusto”, come le definisce Guido Gozzano, si animano, come se scorresse al loro interno una linfa.

Spiritualizzare la materia, che forse è solo un simulacro dello spirito, è alchimia per eccellenza. La vita dunque può essere tentativo alchemico o deriva verso il nulla.

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5 commenti:

  1. Ciao Zret, scrivi veramente bene, complimenti :)

    Hai perfettamente ragione: basta pensare alla fila di persone in attesa di comprare il "nuovo" Iphogn :/

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    1. "Iphogn" è un bel calembour. Mi piace!

      Grazie dell'apprezzamento.

      Ciao

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  2. Caro Zret,
    anzitutto il mio apprezzamento x l'utilizzo birichino che hai fatto del titolo della canzone dell'Orietta nazionale. L'umorismo ci vuole, eccome se ci vuole.
    Il tuo articolo traccia una traiettoria precisa e incontestabile. Aggiungerei che l'attaccamento alle cose, che oramai e' sfociato in una identificazione con gli oggetti, e' frutto della dicotomia, coltivata ad arte da secoli, tra mondo dello spirito e mondo dei fatti. Lo spirito e' oggetto di disprezzo e negligenza nella nostra cultura che privilegia le cose, siano esse oggetti, o la mentalita' scientifica imperante o l'informazione. Nessuno da noi coltiva piu' vita interiore o saggezza, e abbiamo anzi perso memoria di come fare.
    Tuttavia la cultura occidentale pur trionfante non e' ancora riuscita a permeare tutto il globo, e sacche di diversita' sopravvivono ancora. Mi viene in mente quanto scritto dall'antropologo Alberto Villoldo, studioso di culture amazzoniche, in uno dei suoi libri. Villoldo sostiene che il mito della cacciata dal giardino dell'eden, e la conseguente caduta, lo svilimento dell'essere umano, e' presente solo ed esclusivamente nella tradizione culturale giudaico-cristiana, con tutto il carico di sensi di colpa , perenne inadeguatezza e assoggettamento all'autorita' politico-religiosa che ne consegue. Nelle culture amazzoniche e in buona parte di quelle nativo americane, invece, gli indigeni si considerano guardiani e custodi del giardino e della natura, ancora in simbiosi e in armonia con essa, di cui conoscono anche a livello interiore i ritmi. Villoldo riferisce dello stupore con cui un suo interlocutore peruviano osservava il nostro asservimento a un orologio che ticchetta e scandisce il tempo con ritmo inesorabile dal momento del ns allontanamento dal giardino. Un po' come il coniglio bianco che, nella storia di Alice, corre affannato senza sosta xche' nn ha tempo. Per fare che? Nell'affanno della corsa ci diimentichiamo di vivere e di trovare un senso all'esistenza.
    P.S. Graditissimo il riferimento a Verga, in assoluto il narratore italiano che amo di piu', seguito da Federico de Roberto. L'attaccamento mortale alle cose e' descritto in maniera ineguagliabile non solo nella novella "La roba", ma anche nel Mastro don Gesualdo. La scrittura e' fresca e il tema quanto mai attuale.

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    1. Altro eccellente commento, AvalonCarr, in cui palesi rara dottrina ed ancora più rara profondità.

      I titoli sono importanti: sui titoli bisognerebbe scrivere un trattato.

      La dicotomia di cui scrivi è diventata lacerazione.

      Maledetto orologio meccanico, invenzione tardo-medievale, di un'età che definirei età dell'usura. Dante, Ezra Pound ed altri sarebbero d'accordo.

      Il senso di colpa fu inoculato prima dagli Habiru, su istigazione di Enlil o chi per lui, poi ripreso dal filosofo "cristiano" più pernicioso, Agostino. Dalla patristica in poi è tutto un rotolare dell'umanità verso l'abisso, ma con il fallace convincimento che sia una marcia verso il progresso.

      Esisteranno dimensioni in cui finalmente il tempo sarà annichilito? Credo di sì. Allora saremo liberi. Solo allora.

      Ciao

      P.s. A proposito di autori amati, adoro Gozzano, in particolare la lirica "L'attesa" dedicata alla madre.

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  3. Alcuni ritengono che, se esiste un mondo ultraterreno, esso sarà popolato dalle nostre proiezioni, dai desideri e dai sogni: se abbiamo sempre vagheggiato una villa su una scogliera, carezzata dall’azzurro del mare e del cielo, un giorno vivremo lì. Quella dimensione sarà abitata dalle persone, dagli animali e dagli oggetti che più abbiamo amato, sempre che abbiamo amato.

    da incorniciare...

    complimenti Zret

    lelamedispadaccinonero.blogspot.it

    p.s. posso mettere questa tua citazione nelle frasi famose del mio blog?
    chiaramente scriverò che l'autore sei tu

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