Cosa arcana e stupenda è la vita. (G. Leopardi)
Il suo mondo non è la valle di lacrime dove vivono i figli di Adamo: è una valle senza lacrime, più solitaria e più remota ancora della dimora trovata dall'uomo dopo la cacciata dall'Eden. (G. Sermonti)
Forse mai come in questi tempi ferrigni gli esseri umani palesano la loro congenita fragilità. Essa si esprime nella ricerca disperata di un appiglio purchessia.
In questo modo la fede, lungi dall’essere un sereno abbandono al trascendente, si trasforma in morboso attaccamento ad una chiesa ed alle sue liturgie. Gli amici non sono più coloro con cui si condividono esperienze ed interessi, ma puntelli per la propria precarietà ed insufficienza. Viviamo un’età paradossale in cui i maestri sono quasi più numerosi degli allievi, poiché chiunque dimostri anche in una sola occasione un briciolo di indipendenza, è subito eretto a guida ed assediato, suo malgrado, da legioni di devoti, anche se effimeri seguaci.
Più che idoli, si agognano consiglieri, sostenitori. In questa età del dubbio, si cercano dagli altri verità e risposte che bisognerebbe sforzarsi di individuare in sé stessi. Temiamo la solitudine che può essere sorgente di pensieri sublimi, ma nel contatto con gli altri non si manifesta solidarietà, bensì un istinto a succhiare energie.
La fragilità dell’uomo contemporaneo è diversa da quella celebrata da Blaise Pascal: siamo canne che il vento può spezzare, ma non siamo dignitosamente coscienti di esserlo, perché non siamo più coscienti, immersi come in un perenne dormiveglia. Vero è che affrontare la vita e la morte, l’erma bifronte, dai due volti spaventosi, non è mai stato facile, ma oggi è tutto molto più arduo.
Abbiamo rigettato l’idea del Fato, quella forza soverchiante ed enigmatica che condanna ad accollarsi il proprio destino. Un eroe come Enea è magnanimo nella sua debolezza, giacché avverte di essere trascinato da una volontà incommensurabile e nel contempo l’impulso a perseguire il sogno impossibile della felicità. Oggi, smarrito il senso della missione, siamo abituati a sbandierare un presunto libero arbitrio di cui, però, non sappiamo servirci.
I disegni della Necessità sono stati cancellati da energie distruggitrici ed irrazionali: di fronte ad esse siamo allo sbando. Siamo imprigionati nel tempo, profanazione di ogni tempio. Siamo alla mercé di una storia storta, soffocati dal cappio di un orizzonte angusto.
Come Orfeo siamo destinati a perdere chi amiamo perdutamente, ma, a differenza del mitico musico e cantore trace, non sappiamo più trasfigurare nel canto la desolazione della realtà.
Il suo mondo non è la valle di lacrime dove vivono i figli di Adamo: è una valle senza lacrime, più solitaria e più remota ancora della dimora trovata dall'uomo dopo la cacciata dall'Eden. (G. Sermonti)
Forse mai come in questi tempi ferrigni gli esseri umani palesano la loro congenita fragilità. Essa si esprime nella ricerca disperata di un appiglio purchessia.
In questo modo la fede, lungi dall’essere un sereno abbandono al trascendente, si trasforma in morboso attaccamento ad una chiesa ed alle sue liturgie. Gli amici non sono più coloro con cui si condividono esperienze ed interessi, ma puntelli per la propria precarietà ed insufficienza. Viviamo un’età paradossale in cui i maestri sono quasi più numerosi degli allievi, poiché chiunque dimostri anche in una sola occasione un briciolo di indipendenza, è subito eretto a guida ed assediato, suo malgrado, da legioni di devoti, anche se effimeri seguaci.
Più che idoli, si agognano consiglieri, sostenitori. In questa età del dubbio, si cercano dagli altri verità e risposte che bisognerebbe sforzarsi di individuare in sé stessi. Temiamo la solitudine che può essere sorgente di pensieri sublimi, ma nel contatto con gli altri non si manifesta solidarietà, bensì un istinto a succhiare energie.
La fragilità dell’uomo contemporaneo è diversa da quella celebrata da Blaise Pascal: siamo canne che il vento può spezzare, ma non siamo dignitosamente coscienti di esserlo, perché non siamo più coscienti, immersi come in un perenne dormiveglia. Vero è che affrontare la vita e la morte, l’erma bifronte, dai due volti spaventosi, non è mai stato facile, ma oggi è tutto molto più arduo.
Abbiamo rigettato l’idea del Fato, quella forza soverchiante ed enigmatica che condanna ad accollarsi il proprio destino. Un eroe come Enea è magnanimo nella sua debolezza, giacché avverte di essere trascinato da una volontà incommensurabile e nel contempo l’impulso a perseguire il sogno impossibile della felicità. Oggi, smarrito il senso della missione, siamo abituati a sbandierare un presunto libero arbitrio di cui, però, non sappiamo servirci.
I disegni della Necessità sono stati cancellati da energie distruggitrici ed irrazionali: di fronte ad esse siamo allo sbando. Siamo imprigionati nel tempo, profanazione di ogni tempio. Siamo alla mercé di una storia storta, soffocati dal cappio di un orizzonte angusto.
Come Orfeo siamo destinati a perdere chi amiamo perdutamente, ma, a differenza del mitico musico e cantore trace, non sappiamo più trasfigurare nel canto la desolazione della realtà.
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bellissimo spunto riflessivo...un saluto
RispondiEliminaGrazie, Giovanni.
EliminaCredo possa essere un piccolo legato o il classico messaggio nella bottiglia.
Ciao