29 aprile, 2015

L’apologo di Menenio Agrippa: esortazione alla concordia sociale o apologia del Leviatano?



Lo Stato è costrizione, corruzione e circuizione.

Lo storico romano Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 16, 32, 33, narra il celebre apologo di Menenio Agrippa: con questo racconto edificante il senatore convinse i plebei a ritornare in città. Essi, infatti, per rivendicare pari diritti con i patrizi, si erano ritirati sul Monte Sacro (o sul Colle Aventino).

Agrippa comparò l’ordine politico al corpo umano in cui, come in tutti gli insiemi costituiti da parti connesse tra loro, gli organi sopravvivono solo se cooperano, altrimenti sono destinati a perire. Se le braccia (il popolo) si rifiutassero di lavorare, lo stomaco (il senato) non riceverebbe cibo, ma, in tal caso, ben presto tutto l’organismo deperirebbe per mancanza di nutrimento.

La storia è interpretata come una sanzione dell’armonia necessaria all’interno di una compagine statale dove le diverse classi devono collaborare per il bene comune. Ci chiediamo tuttavia se la parabola non sia da inquadrare in una concezione autoritaria, pur dietro i veli dell’etica. E’ una visione espressa solo in nuce e riferita ad un assetto politico e sociale in cui l’esistenza di una Res publica ha ancora un senso storico. Di fatto, però, non esiste Stato che non sia, in misura più o meno evidente, coercizione e tale coercizione si esplica nel momento in cui un ceto o una sedicente élite tende a controllare la rimanente parte della popolazione. I vari contrappesi escogitati per evitare che il potere centrale schiacci la collettività e per combattere la corruttela o qualsivoglia altra degenerazione non hanno quasi mai funzionato: sono meccanismi di compensazione rimasti petizioni di principio, ignorate nella prassi. [1]

Hobbes reputa che lo Stato sorga nel momento in cui gli uomini delegano ad esso ogni potere affinché sia garantita loro la sicurezza, la fine della lotta di tutti contro tutti (homo homini lupus). In pratica i contraenti il patto originario rinunciano a qualsiasi prerogativa per veder tutelata da un organo non soggetto ad alcun limite soltanto la loro incolumità. Con lo Stato nascono i tribunali, l’esercito ed il fisco: essi, però, da strumenti di garanzia presto si tramutano in strutture di dominio. I tribunali dovrebbero garantire la giustizia; diventano il pretesto per controllare e perseguitare i dissidenti. L’esercito dovrebbe difendere il popolo da nemici esterni; si volge spesso contro gli stessi cittadini. Il fisco dovrebbe favorire una redistribuzione equa della ricchezza: è un congegno che stritola i meno abbienti per arricchire sempre più i facoltosi.

Che cosa dobbiamo pensare dello Stato contemporaneo che ha progressivamente defraudato i cittadini di ogni autonomia, senza neppure assicurare loro l’incolumità, violando così il patto originario? Lo Stato non avrebbe più alcuna ragione d’essere. L’errore è considerare questo organismo qualcosa di scontato, di inevitabile, laddove è un’aberrazione, un non-senso politico.

Che cosa pensare dello Stato contemporaneo che, oltrepassando il già draconiano paradigma di Thomas Hobbes, congiura sovente contro la vita stessa dei cittadini, molti dei quali confidano con infinita ingenuità nella sua protezione? Quando Gramsci scrive che “ogni Stato è una dittatura”, egli non esprime un giudizio di valore, ma constata una perfetta, incontestabile equivalenza tra Istituzione per eccellenza e tirannia. Il dispotismo, infatti, è, per così dire nel codice genetico dello Stato, dacché esso si stacca dal corpo sociale, assurgendo a forza repressiva, ad ente astratto, quasi metafisico, a divinità onnipotente e vorace, a guisa di Moloch. E’ per questa ragione che si suole scrivere Stato e Chiesa con la maiuscola, qui usata con intento sarcastico.

Come dovrà dunque comportarsi il cittadino nei confronti del Leviatano? Il riconoscimento di questa autorità, affatto priva di valore giuridico ed etico, è impossibile. Se l’organismo statale o un suo rappresentante ledono i diritti dei cittadini, diritti che sono enunciati nella Costituzione che lo Stato stesso ha promulgato (non importa se per avventatezza o come captatio benevolentiae o per qualsiasi altro fine o motivo), i cittadini non solo potranno, ma dovranno disconoscere in toto lo Stato ed i suoi rappresentanti.

Di conseguenza, ad esempio al cospetto di un tribunale iniquo, il cittadino dovrà pronunciarsi nel modo seguente: “Dal momento che, in tale o tal altra occasione, è stato violato un mio diritto sancito dalla Legge, visto che il presente magistrato (o collegio o Pubblico ministero etc.) intende processarmi e giudicarmi in forza di una Legge che egli stesso ha trasgredito, affermo la mia irremovibile volontà di ricusare il presente organo giudiziario. In quanto cittadino libero e sovrano che non può riconoscere al di sopra di lui alcuna autorità soprattutto quando corrotta, se non quella della sua Coscienza, chiedo che la Corte, attesa la sua totale inabilità ed incompetenza a sentenziare, rinunci ad esercitare qualunque azione che sarebbe solo arbitraria, illegittima e persecutoria. Infatti non può richiamarsi alla Legge chi per primo la conculca. In quanto indagato, accusato e processato ingiustamente, domando che si ammetta di aver pregiudicato i diritti sanciti dalla Legge e di aver offeso i Princìpi etici ad essa sottesi”.

Si leggeranno gli articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani, della Costituzione e del Codice, precisando che sono stati violati o anche solo elusi. Dalla loro inottemperanza consegue un’incontestabile, definitiva illegittimità dell’organo giudicante.

[1] E’ evidente che il discorso sulle forme di governo è molto più complesso ed articolato di quello qui abbozzato. Per una trattazione più ampia si rimanda agli articoli sul medesimo tema, in particolare Stato, uomini e Dio in Horkheimer, 2010

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APOCALISSI ALIENE: il libro

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26 aprile, 2015

Il radiotelescopio di Parkes in Australia capta una radiosorgente che sembra artificiale



Da quanto i radiotelescopi puntano le loro gigantesche “orecchie” per catturare i segnali cosmici, sembra che un paio di volte questi apparati abbiano rilevato delle sorgenti artificiali. Il 15 agosto 1977 un radioastronomo dell’Ohio gridò “Wow!” dopo aver registrato un segnale di 37 secondi, concentrato sui 1420 megahertz, frequenza non usata per le trasmissioni sulla Terra. I segnali dallo spazio sono sempre su uno spettro più ampio e dai bordi frastagliati. Questa “pallottola radio” è la cosa più simile ad un messaggio di extraterrestri che abbiamo mai ricevuto.

Di recente Linda Moulton Howe ha riferito di una fonte radio che possiederebbe un pattern non riconducibile alle misure naturali finora note. L’astrofisico Michael Hippke ritiene che i segnali potrebbero non essere naturali.

Se si escludono gli attuali parametri dell’Astrofisica, allora "deve essere considerata solo l’ipotesi di una sorgente non siderale (di esseri senzienti o di unità artificiali), tanto più che la maggior parte delle esplosioni è stata osservata in una sola posizione dal radiotelescopio di Parkes.” Così si è espresso Michael Hippke, Phd, Istituto per l'analisi dei dati, Germania, a proposito di una singolare radiosorgente cosmica.

Questa radiosorgente è contraddistinta da dieci raffiche di veloci onde radio veloci (FRB, fast radio bursts) diffuse attraverso varie frequenze: esse sono state individuate nel corso degli ultimi quindici anni dall'Istituto per l'analisi dei dati in Germania e dal radiotelescopio di Parkes, Nuovo Galles del Sud (Australia), come provenienti dal medesimo punto. Resta il dubbio se i fast radio bursts giungano da una regione all’esterno della Via lattea o dall'interno della nostra galassia.

In entrambi i casi, la misura della dispersione di ogni raffica, che è il ritardo tra l'arrivo della prima onda e quello dell'ultima onda di ogni emissione energetica, è stato individuato come intervallo prossimo ad un multiplo di 187,5. Vi si riconosce un modello matematicamente ripetuto che è ignoto nell’Astrofisica.

Fonti: arxiv, earthfiles

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21 aprile, 2015

La grande mietitura



Diogene Laerzio riporta, ascrivendolo a Senofane, un aneddoto riguardante Pitagora: “Si dice che un giorno, passando vicino a qualcuno che maltrattava un cane, Pitagora, colmo di compassione, pronunciò queste parole: 'Smettila di colpirlo! Sento la sua anima: è quella di un amico che ho riconosciuto dal timbro della voce'”.

L’episodio relativo al celebre filosofo, matematico e taumaturgo, la cui figura è circonfusa da un alone leggendario, evocando la dottrina orfico-pitagorica della trasmigrazione dell’anima, ci spinge a chiederci se veramente negli animali alberghi un’essenza immortale.

Fiorella Rustici nel suo più recente saggio, Morte e dintorni, afferma che un “frammento” dell’anima di un parente estinto può trasferirsi in un animale, di solito un cane, un gatto o in un altro amico d’affezione, in cui i vivi prima o dopo si imbattono. Sono forme di compensazione, autoinganni o avevano visto giusto quei pensatori antichi che professavano la dottrina della metempsicosi?

Non lo sappiamo: fatto sta che, in questi tempi ferrigni, nera era in cui l’umanità è sempre più abbrutita e meccanizzata, come supremo paradosso, ci pare di cogliere un barlume di sentimento proprio negli occhi degli animali. A volte persino ci sembra che essi abbiano uno sguardo velato di malinconia.

Anche in questo caso dobbiamo domandarci se siano proiezioni di affetti umani, in una sorta di transfert consolatorio, oppure se veramente un soffio spirituale possa diluirsi negli esseri viventi e persino essere condensato nelle pietre, nei granelli di sabbia.

Qualcuno ha scritto: “Tutti gli alberi hanno un’anima; non tutti gli uomini”. Sarà meglio che il genere umano provi a riscoprire la sua essenza più profonda, prima della grande mietitura.

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18 aprile, 2015

I, Pet Goat II



I, Pet Goat II è una produzione animata del 2012, scritta, diretta e prodotta dal canadese Louis Lefebvre. Il cortometraggio è una sorta di satira nei confronti della politica statunitense, in particolare dei presidenti-fantocci George W. Bush e Barack Obama (Barry Soetoro), con venature di teologia biblica e reminiscenze egizie in un milieu post-apocalittico.

Il titolo è un riferimento a The Pet Goat, il racconto per bambini che George Walker Bush junior, il delinquente scemo, era intento a “leggere” (sottosopra) alla Emma Booker School di Sarasota (Florida), mentre i servizi segreti internazionali distruggevano le Torri gemelle il giorno 11 settembre 2001.

I, Pet Goat II fu presentato il 24 giugno 2012, data significativa… Enucleare tutti i simboli criptati nella pellicola sarebbe esercizio improbo e, alla fine, ozioso. Il corto è, infatti, una summa degli emblemi disseminati nella cultura underground e dintorni, riferibile al mefitico sottosuolo della cosiddetta cospirazione.

Sebbene il lavoro sia ineccepibile da un punto di vista grafico e formale, ha alcunché di sgradevole e disturbante. Si comprende presto che, quantunque Lefebvre sembri denunciare l’operato delle élites, ne avalla le più laide depravazioni. E’ vero che il giorno 11 settembre è una data simbolo, una data portale, spartiacque tra due età, tra l’era contemporanea e quella successiva, l’ultima, dominata dalla menzogna e dall’abbrutimento del genere umano. E’ vero che il Male orchestra piani diabolici, ma il regista canadese insinua in ogni dove messaggi ambigui e torbidi, soprattutto attraverso il Cristo, invero il falso Messia che, ritto su un’imbarcazione egizia, solca un fiume sino ad una meta “solare”. Questa figura imbambolata, catalettica è insopportabile ed è arduo spiegare come qualcuno possa avervi riconosciuto l’immagine di un Avatar.

Siamo al cospetto di una creazione simile alle carte degli “Illuminati” o agli affreschi che “abbelliscono” l’aeroporto di Denver: I, Pet Goat è una subdola sceneggiatura degli avvenimenti prossimi venturi, con tanto di Terza guerra mondiale tra Russia ed Occidente. L’allusione più inquietante concerne lo stato delle nuove generazioni ormai svuotate ed eterodirette. I bambini sono i capri espiatori (goat, capro) di un destino che pare non lasciare scampo.

Lo Zeitgeist accomuna le teste-guscio del cartone alle teste-uovo dell’artista Tim Cantor, insieme con altri motivi iconografici in bilico tra visioni acide ed incubi post-atomici.

La luce rutilante verso cui si dirige il falso Messia non è il Sole, ma l'imboccatura dell’Inferno.

Qui un’esegesi della produzione.

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15 aprile, 2015

Vivere nell'età dell'ipocrisia


Avevano perfettamente ragione i sofisti quando asserivano che la “giustizia” è solo la legge del più forte e del più scaltro. E’ così! Tutte le elucubrazioni ed esegesi, anche le più sottili, circa i problemi giuridici non valgono un fico secco, se confrontate con la spietata constatazione dei sofisti. A che pro lambiccarsi su ponderosi manuali di diritto (nulla è più storto del diritto) per tentare di stabilire che cosa sia l’equità? Viviamo in un mondo capovolto in cui gli onesti e gli innocenti non hanno alcuna speranza di veder riconosciuta la loro integrità, laddove i farabutti istituzionali imperversano impuniti, delinquono allegramente.

Era già Catone il Censore a scrivere: “I ladri privati sono in catene, mentre i ladri pubblici vivono tra l’oro e la porpora”. Tacito ci ricorda che “in uno stato molto corrotto, le leggi pullulano”. I classici sono gli autori il cui insegnamento è sempre attuale e veramente è difficile aggiungere qualcosa ai loro immortali moniti. Anche Manzoni della mefitica “giustizia” umana aveva inteso tutto: attraverso i personaggi e gli episodi dei “Promessi sposi” denuncia con amara ironia l’iniquità, la pochezza, la ferocia, l’avventatezza di magistrati e birri.

Le tare della “giustizia” sono innumerevoli. Nelle false “democrazie occidentali” le magagne della giurisprudenza sono nascoste dietro una folta e ben sagomata siepe di disposizioni, regole, clausole, commi, codicilli... I mali peggiori sono senza dubbio le deroghe e le proroghe. Le eccezioni si annidano in leggi che possono essere condivisibili, per snaturarle o vanificarle. Le posticipazioni situano in un futuro che non verrà mai l’applicazione di quelle pochissime prescrizioni il cui rispetto migliorerebbe le condizioni del consorzio umano. Così ci si ritrova con una “giustizia” che è solo coercizione ed arbitrio. Invano si invocheranno norme giuste e sagge: chi le dovrebbe rispettare, le calpesterà sempre. In ogni caso resteranno disattese.

In verità il sistema giuridico attuale è del tutto indistinguibile da una giustizia sommaria e sommamente ipocrita.

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12 aprile, 2015

Clonazione, infiltrazione



L’avvincente saggio di Ardy Sixkiller Clarke, Il ritorno dei popoli delle stelle, dedicato agli incontri dei Nativi americani con presunti alieni sia ostili sia benevoli, comprende un’ampia gamma di disparati episodi: si va dal contatto con esploratori non terrestri alle abductions, dall’avvistamento di gigantesche aeronavi agli schianti di U.F.O. nei deserti del Nord America. Tra i vari resoconti, uno dei più inquietanti e singolari concerne le esperienze di Willie Joe, un Navajo con alle spalle un’educazione universitaria. L’autrice del volume intervistò Willie Joe nella primavera del 1987 e questa è la sua storia.

“La mia vita non mi è mai appartenuta. Ho un gemello dalla nascita, ma non si tratta di un fratello normale. Gli alieni lo hanno creato a partire dal mio sangue e lo hanno cresciuto in un pianeta lontano, da qualche parte nello spazio. Quando ero piccolo, venivano a prendermi ogni anno e mi portavano da lui. Ci lasciavano giocare un po’insieme, poi ci conducevano in una stanza e ci collegavano ad un macchinario. Ho sempre pensato che trasferissero al gemello le mie conoscenze. Sono cresciuto, sapendo che si sarebbero potuti presentare da un giorno all’altro. Non so a che cosa servisse loro un mio doppio. Forse ognuno di noi possiede un gemello alieno e, prima o poi, l’umanità sarà sostituita da replicanti. Da piccolo li credevo capaci di qualsiasi cosa. Avevano rapito e clonato anche altri bambini. Quando venivano a prelevarmi nell’astronave vedevo altri bambini della mia età. Credo che negli anni ne abbiano sequestrati a centinaia, se non a migliaia, di tutte le razze. Sono convinto che il governo è a conoscenza di tutto. Forse ci considerano cittadini sacrificabili... Se gli alieni sono più forti dell’uomo, è naturale che l’esecutivo è disposto a collaborare con loro, magari per paura o per ottenere benefici, ad esempio tecnologie avanzate. Il che spiegherebbe perché il governo sia così irremovibile nel negare l’esistenza degli extraterrestri. Le istituzioni non potrebbero certo permettersi di confessare di fronte al popolo che consentono ai visitatori di condurre esperimenti sugli uomini in cambio di dispositivi tecnologici. Così ai nostri politici non resta che sollevare una cortina di fumo. Chiedono poi a qualche professore di scrivere libri che gettino nel ridicolo chiunque sostenga tesi diverse in modo da corroderne la credibilità. Così riescono ad insabbiare la verità”.

Willie Joe, pur non essendo un ricercatore nel campo della xenologia, offre uno spaccato che coincide con quello delineato da alcuni perspicaci investigatori. Il Navajo colloca pure gli eventi a lui occorsi in un quadro interpretativo con profondi risvolti: egli ritiene, infatti, che gli Altri clonino i corpi, ma non l’anima. Gli ufonauti, privi essi stessi di un’essenza spirituale, si limiterebbero a produrre dei sosia forse con lo scopo di sostituire in modo progressivo ed inavvertito l’umanità per mezzo di una progenie clonata: dalla clonazione all’infiltrazione quindi, in una sorta di stratagemma “cavallo di Troia”. Anche il retroscena esopolitico suggerito dall’experiencer (tecnologia in cambio della possibilità per gli intrusi di rapire e mutilare esseri umani ed animali) è plausibile nonché corroborato da non poche testimonianze esterne.

E’ lo scenario che era già stato evocato nella cupa, sinistra pellicola “L’invasione degli ultracorpi” (1956), per la regia di Don Siegel (1912-1991). Nella produzione, “tappa fondamentale nella storia della fantascienza”(G. Canova), gli Stranieri si prefiggono di invadere la Terra, sostituendo agli uomini delle copie.

Willie Joe reputa gli alieni (almeno quelli da lui incontrati) animati da intenzioni malevole. L’uomo avverte: quando un bambino racconta di estranei che nottetempo entrano nella camera, è bene che i genitori diano ascolto ai figli.

E’ veramente opportuno non sottovalutare certe relazioni che alludono a “patti scellerati”, a collusioni cosmiche ai danni di una popolazione ignara. Sapere potrà forse aiutarci a schivare qualche proditorio fendente…

Fonti:

Enciclopedia del cinema, Milano, 2002, s.v. Siegel Don.
A. Sixkiller Clarke, Il ritorno dei popoli delle stelle, Venezia, 2015, pp. 91-97


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08 aprile, 2015

Il misconosciuto caso di Vittorio Brancatelli ed il destino dell’anima


Il misconosciuto incontro del terzo tipo di cui fu protagonista il siciliano Vittorio Brancatelli conferma un’ipotesi divergente circa il destino post-mortem. Questa congettura peregrina è stata ventilata da taluni ufologi e rilanciata, sotto il pretesto della finzione, nel romanzo di Valerio Petretto, “Oblion, la cospirazione”.

Nel 2002 Brancatelli pubblicò un libro intitolato “L’aliena. Messaggi dalla galassia - Cronaca di un incontro ravvicinato”. Nel volume l’autore rievoca la sua avventura ed il rendez vous con un’aliena che lo rese edotto a proposito del significato inerente alla vita umana, in una prospettiva cosmica.

Prealpi lombarde, Rifugio Grassi, a ridosso di Lecco. Vittorio stava compiendo un’escursione, quando vide in cielo una scia ed un oggetto volante che, sorvolato lo spartiacque, scomparve dietro le cime brianzole. Udì poi una deflagrazione, mentre il terreno sotto di lui tremò. Pensando che fosse precipitato un aereo, l’uomo, spinto dalla curiosità, s’inoltrò verso il luogo donde proveniva un bagliore. Giuntovi, egli scorse un enorme ordigno di forma ovale che irradiava una luce molte intensa. Quindi decise di entrare nel velivolo attraverso un portellone che si richiuse subito dopo il suo ingresso. Proseguendo all’interno della nave spaziale, si ritrovò in una sala di comando, dove giaceva, pallida e sofferente, una creatura dai capelli biondi ricadenti sugli omeri.

A questo punto cominciò un dialogo in italiano con la pilota dell’astronave. Ella gli palesò di chiamarsi Arvea e di essere un’Ispettrice dell’Impero galattico. In seguito si intrattenne con l’inatteso ospite su vari temi concernenti le relazioni tra la Terra e gli altri pianeti, le federazioni galattiche, gli extraterrestri e la sorte dell’anima individuale dopo il decesso.

Alcune “rivelazioni” di Arvea meritano particolare attenzione. Ne riportiamo qualche stralcio saliente, tratto dalla conversazione intercorsa con Vittorio Brancatelli.

Vittorio (d’ora in poi V.) “Da dove vieni e chi sei?”

(Arvea, d’ora in avanti A.) “Vengo dal centro della galassia cui appartiene anche questo sistema solare. Esiste un Impero che dirige i sistemi solari ormai da millenni. Io sono una pedina dell’Impero, mi occupo di esplorazioni e supervisiono l’amministrazione nei suoi confini”.

(V) “Perché la Terra è all’oscuro di tutto questo? Perché non vi rivelate e non integrate noi terrestri nel vostro sistema?”

(A) “Vuoi proprio saperlo?” mi scrutava valutandomi. “Non ti piacerà questa mia risposta! Voi terrestri siete integrati nell’Impero [...] La vostra Terra è la prigione dell’Impero!”

Ero confuso: pensavo che ciò che lei diceva potesse esser vero, ma non riuscivo a capire come io e tutta l’umanità potessimo essere prigionieri. Quando eravamo stati deportati e come?

(A) “Devi sapere prima un’altra cosa, che non rientra nelle vostre conoscenze, anche se qualche barlume a volte affiora. Noi – ed includo anche voi terrestri, poiché siete, almeno nella parte essenziale, uguali a tutti gli altri esseri dell’universo – noi, ripeto, non siamo esseri materiali. Siamo degli esseri immateriali! Voi direste, spirituali! Non siamo corpi né siamo costituiti di materia. [...] Noi tutti, siamo esseri eterni ed immortali che vivono fin dall’inizio del tempo.

Nella mia classe sociale siamo soliti, ormai da molto, usare corpi come quelli umani e lo facciamo introducendoci in essi e cambiandoli a piacimento, senza dover morire per questo o avere sensazione di morte. Gli altri, che non hanno e non avranno mai il potere, devono morire per reincarnarsi e sono contenti di dimenticare le esistenze precedenti, in modo da cominciare ogni nuova vita con slanci rinnovati e nuovo vigore.

Per voi terrestri è diverso! Voi, almeno una parte, eravate come me di classe superiore, ma non avete accettato l’Impero, le sue usanze, le sue tradizioni: le avete contestate mettendo in discussione le basi stesse dell’Impero che si fonda su una conoscenza millenaria e sulla fiducia nelle istituzioni. Voi terrestri siete in parte i contestatori scomodi dell’Impero. Le autorità, non potendo più fidarsi di voi né potendo uccidervi, poiché distruggerebbero solo un corpo, vi condannano all’oblio ed all’ignoranza, mischiati coi delinquenti comuni. Questa è la vera morte dell’anima: l’ignoranza! […]

Ladri, assassini, contestatori, sognatori petulanti, attaccabrighe, oppositori politici sono catturati ed uccisi, spogliati del proprio corpo, trattati affinché dimentichino ogni cosa, surgelati e spediti, con apposite navi, sul pianeta Gea, la vostra Terra. Siete iniettati in corpi appena partoriti da donne che saranno le vostre madri. Siete partoriti nel dolore e nell’incertezza. Ciò rappresenta per voi la nascita. Siete così soggetti alle leggi di questo pianeta, alla sua ignorante brutalità, alle malattie, all’invecchiamento ed alla morte.

Voi, però, in quanto esseri spirituali, non potete morire né essere costretti in alcun luogo. Ad ogni morte fisica, che rende libera l’essenza vitale che siete voi stessi, siete ancora catturati con apposite trappole poste intorno alla Terra stessa. Siete processati ancora una volta, condannati e quindi trattati per dimenticare.

Il ciclo si ripete: venite re-iniettati in nuovi corpi appena partoriti. Continuate così a reincarnarvi vita dopo vita, senza che vi sia permesso di ricordare alcunché, senza avere altre conoscenze oltre quelle che riuscite a scoprire con la vostra intelligenza e forse grazie a qualche ricordo che riesce a trapelare, malgrado i trattamenti.

Nessuno ricorda le vite precedenti!”

(V) “La Terra è dunque una prigione! Io sono un deportato! Ecco il grande segreto della Terra. Altro che le religioni, con le loro risposte piene di mistero. Altro che misteri! Non si vuole che noi sappiamo!”

(A) “L’Impero galattico si fonda su gerarchie assegnate ed immutabili in cui gli stessi esseri sono al potere da millenni e difficilmente avvengono cambiamenti. La forma di governo attuale è frutto di esperienze e modifiche avvenute secolo dopo secolo, che hanno affinato e reso sempre più perfetto il meccanismo burocratico e di governo stesso, per cui ogni possibile variante operativa diversa da quella attuale è già stata precedentemente sperimentata.

Gli esseri al potere conoscono tutto ciò che ti ho rivelato. Le masse, invece, sono tenute nell’ignoranza per meglio guidarle e mantenere l’ordine e lo status quo. Ogni tanto qualcuno, più irrequieto o più abile, riesce a ricordare. Vorrebbe modificare qualcosa, si agita, diventa irrefrenabile nel suo intento di cambiare; quando diventa palesemente pericoloso per il sistema, il suo corpo viene ucciso. Il suo essere spirituale è addormentato e catturato, trattato per dimenticare. Imprigionato in un cubetto di ghiaccio, è poi trasportato insieme con altri sul pianeta Gea, la vostra Terra. Sarà scaricato in mare in prossimità di uno dei poli del pianeta: quando il ghiaccio si scioglierà, sarà di nuovo libero. Al risveglio non ricorderà nulla, non riconoscerà neanche il pianeta, non potrà comunicare con alcuno; si lascerà quindi guidare dall’impulso che sente prepotente e cercherà un nuovo corpo per rinascere”.

Come giudicare queste informazioni? Sono le fantasie di un aspirante contattista o se ne può enucleare qualche verità? Oggettivamente l’episodio e la conversazione possiedono alcunché di fumettistico. Tuttavia il riferimento alle anime che sono intrappolate e costrette a riprendere un involucro corporeo lungo un ciclo di innumerevoli esistenze, oltre ad adombrare l’antica dottrina della metempsicosi (o metensomatosi), si allaccia alla supposizione nata nel campo di un’ufologia di frangia, secondo cui, dopo il trapasso, l’essenza spirituale dell’individuo è in qualche modo imprigionata ed obbligata a proseguire in un itinerario ciclico. Rispetto alla credenza orfica, però, non si intravede, nell’ambito delle ricerche xenologiche, per gli esseri psichici una liberazione, garantita agli iniziati da una progressiva crescita e presa di coscienza: la successione delle vite sembrerebbe non avere fine, in una specie di eterno ritorno dell’uguale.

Per quale scopo le anime sono “accalappiate” non è ben delucidato nel libro: si può ipotizzare che la psyché sia usata da creature mortali che, parassitando gli esseri dotati di una natura pneumatica, possono così sopravvivere ed accumulare conoscenze lungo la catena delle varie “reincarnazioni”. E’, più o meno, l’ipotesi malanghiana delle memorie aliene attive. Mutatis mutandis, ricorda pure un celebre aforisma del filosofo gnostico Basilide che scrisse: “L’uomo è un accampamento di demoni”. Il che è grave; ancora più grave perché, non sapendo di esserlo, l’uomo rischia di rimanere alla mercé di esseri che controllano la vita e la morte. Ad libitum?

Fonte: V. Brancatelli, L’aliena. Messaggi dalla galassia – Cronaca di un incontro ravvicinato, 2002

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03 aprile, 2015

Epifania



Un po' come quegli istanti nel cuore della notte, quando ti svegli di colpo da un sonno profondo con la coscienza lancinante, lucidissima di qualche fatto spiacevole: che sei destinato a morire, per esempio”.

Questo scrive George Orwell (pseudonimo di Eric Blair) nel romanzo “Fiorirà l’aspidistra”. L’autore in questa opera, meno nota rispetto ai classici “La fattoria degli animali” e “1984”, ma non meno pregevole, riesce a fotografare con la lucidità che lo contraddistingue uno dei rari momenti epifanici della coscienza umana.

Davvero capita di destarsi nottetempo e di sentirsi sprofondare nell’abisso del nulla, di naufragare nell’oceano della solitudine. Ci domandiamo: che cosa succederà domani? Che cosa sarà di noi tra un anno, cinque, dieci? Il passato, il presente ed il futuro si fondono su un fondale indistinto.

L’identità si sente smarrita sul baratro dell’ignoto ed il buio è solcato da interrogativi cosmici. Il male potrebbe essere irredimibile, i patimenti potrebbero essere inutili e l’assurdo sembra il perno dell’universo. Siamo in bilico tra un caso insensato ed un destino iniquo. Frana la terra sotto i piedi, mentre l’angoscia fagocita la ragione. Intanto un freddo bagliore di numeri rischiara l’oscurità della camera, scandendo la fatalità del Tempo.

E l’alba a dissolvere quelle ombre, anche se qualche fosco velo continua ad aleggiare tutto intorno…

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