31 dicembre, 2015

Profezie o programmi?



In questi ultimi tempi sto leggendo alcuni libri i cui autori sviluppano ipotesi interpretative coincidenti con quelle formulate da chi scrive. Sono congetture ventilate anche in anni non recenti, quando il quadro della situazione era ancora sfocato, eppure si sono rivelate quasi sempre esatte. Dalle riflessioni su Roma antica alla dittatura globale, dagli Arconti alle interferenze non terrestri, dall’etere alla biogeoingegneria clandestina, dal Cristianesimo alla storia dei Merovingi etc. è tutto un pullulare di conferme, convergenze, sovrapposizioni. [1]

Vediamo un esempio. Nel corposo saggio intitolato “Il sangue degli Illuminati” (titolo volutamente anfibologico), Diego Marin e Stefania Marin scrivono a proposito dell’oracolo di Siwa, sacerdote che aveva preconizzato ad Alessandro Magno la sua morte prematura avvenuta nel 323 a.C., quando il Macedone aveva 33 anni ("come" il Messia) dopo 13 anni di regno (come Mosè): “Le profezie sono programmi che si realizzano, perché qualcuno, provvisto di uomini e mezzi, ne costruisce le cause a tavolino. Forse il vaticinio su Alessandro appartiene a questa categoria?

Pare proprio sia così: le predizioni si adempiono sovente poiché persone altolocate si adoperano affinché esse si avverino. Il volgo, oggi come un tempo, si lascia incantare dai presagi e con la sua inerzia, il suo fatalismo lascia piena libertà d’azione ai congiurati che possono dunque più facilmente attuare i loro piani criminali, senza neanche incontrare una pur debole resistenza tra la popolazione.

Ci chiediamo se anche le profezie dell’Apocalisse, il libretto attribuito all’apostolo Giovanni, ma compilato probabilmente dallo gnostico Cerinto di Efeso, siano dei progetti di cui le sedicenti élites curano il compimento o se tali previsioni esulino dal novero dei piani orchestrati dagli Ottenebrati.

E’ arduo rispondere: possiamo solo constatare che, vuoi si tratti di divinazioni vere e proprie vuoi di idee escogitate e poi eseguite, pare restino pochi margini ai popoli per un agire autonomo.

“Costruire le cause a tavolino”: sì, si congegnano i pretesti. Non solo, si studiano le mosse, prevenendo le contromosse e le reazioni. Si ricavano dalle reazioni della massa le “risoluzioni” pensate ab origine, secondo la nota dialettica para-hegeliana problema-reazione-“risoluzione”. Ci si impicca con la corda che noi stessi abbiamo pagato… profumatamente.

[1] Se sarà possibile, ci si soffermerà su alcune di queste corrispondenze.

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