Che cosa sono i ricordi? Sono catene sia perché ci incatenano al passato sia perché sono concatenati.
Le memorie s’incollano agli oggetti, ai visi, ad altre memorie a tal punto che, se esse non ci legassero, saremmo finalmente liberi, saremmo finalmente vivi, ma, come a ragione constata Fernando Pessoa, a proposito della felicità incastrata nell’attimo inafferrabile, lo stesso vale per la libertà e la vita: ambedue sono inglobate nell’istante sfuggente, ambedue sono oltre sé stesse. [1]
Così esistiamo, ma non possiamo vivere, a causa delle rimembranze, lunghe ombre proiettate sull’adesso. Senza i ricordi e le loro seducenti controfigure, le speranze, saremmo ancora noi stessi, avremmo un’identità? Forse no. Dunque è l’identità che ci imprigiona.
Intanto il passato tutto trascina via, tutto fagocita, simile al buio notturno che inghiotte colori, suoni, forme, pensieri. Il presente, non appena lo si sfiora, è già passato ed il futuro è solo un'immagine riflessa sullo specchio del tempo. Il tempo profana il tempio dell’essere, mentre cadiamo nell’ignoto, aggrappandoci alle fragili sporgenze dei ricordi.
Non si può vivere di ricordi: infatti ne moriamo.
[1] Scrive l’autore portoghese: “La felicità è fuori dalla felicità. Non esiste felicità, se non con consapevolezza, ma la consapevolezza della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere che si sta attraversando la felicità e che si dovrà subito lasciarla. Sapere è uccidere, nella felicità come in tutto”.
Le memorie s’incollano agli oggetti, ai visi, ad altre memorie a tal punto che, se esse non ci legassero, saremmo finalmente liberi, saremmo finalmente vivi, ma, come a ragione constata Fernando Pessoa, a proposito della felicità incastrata nell’attimo inafferrabile, lo stesso vale per la libertà e la vita: ambedue sono inglobate nell’istante sfuggente, ambedue sono oltre sé stesse. [1]
Così esistiamo, ma non possiamo vivere, a causa delle rimembranze, lunghe ombre proiettate sull’adesso. Senza i ricordi e le loro seducenti controfigure, le speranze, saremmo ancora noi stessi, avremmo un’identità? Forse no. Dunque è l’identità che ci imprigiona.
Intanto il passato tutto trascina via, tutto fagocita, simile al buio notturno che inghiotte colori, suoni, forme, pensieri. Il presente, non appena lo si sfiora, è già passato ed il futuro è solo un'immagine riflessa sullo specchio del tempo. Il tempo profana il tempio dell’essere, mentre cadiamo nell’ignoto, aggrappandoci alle fragili sporgenze dei ricordi.
Non si può vivere di ricordi: infatti ne moriamo.
[1] Scrive l’autore portoghese: “La felicità è fuori dalla felicità. Non esiste felicità, se non con consapevolezza, ma la consapevolezza della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere che si sta attraversando la felicità e che si dovrà subito lasciarla. Sapere è uccidere, nella felicità come in tutto”.
Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati
Si Zret, è l’identità che ci imprigiona, tant’è che Karl Renz ci illumina dicendoci “Finché credi che vi siano altri, vivi nell'inferno!”. E forse il paradiso è più vicino di quanto pensiamo, nascosto tra gli anfratti dei pensieri, al di là delle quattro leggi di associazione delle idee, nello spazio tempo tra un pensiero e l’altro…
RispondiEliminaInfatti William Blake scrive che "la felicità è nello spazio tra due attimi". Certo è ben poca cosa, anche se forse è vero quanto è scritto nel Vangelo di Giuda Tommaso: "Solleva la pietra ed io sono là".
EliminaCiao