11 gennaio, 2006

Dante era un eretico

Rimango sempre sorpreso, quando leggo che Dante Alighieri è un autore cristiano. Non intendo scrivere un saggio per dimostrare il contrario, ma solo fare qualche riflessione su alcuni aspetti della poesia dantesca con lo scopo di mettere in luce l’eccentricità di Dante rispetto alla Weltanschauung ortodossa.

“Il fiore” è un poemetto didascalico-allegorico composto nella seconda metà del XIII secolo. Consiste in una corona di 232 sonetti che adeguano al volgare italiano le due parti del Roman de la rose, eliminandone le dissertazioni dottrinali per privilegiare gli spunti polemici, con allusioni alle lotte fiorentine tra magnati e popolo grasso. L’autore è un Ser Durante che, già in occasione della prima edizione dell’opera (1881), fu prudentemente identificato col Nostro. L’attribuzione, contestata da molti filologi, è stata riproposta, sulla base di rilievi stilistici, da Contini.

Ora, senza addentrarmi in disquisizioni per esperti, noto che il titolo del poemetto è sintomatico: il Fiore è evidentemente un riferimento alla rose del testo francese. Rose, in inglese ed in francese, è anagramma di eros, amore, da intendersi in senso lato, poiché è la sensualità, ma soprattutto evoca il culto del femminino sacro, cui alludono pure le cattedrali gotiche con le loro decorazioni e strutture simboliche, tra le quali il rosone. Tra l’altro, è stato notato che le chiese gotiche francesi sono disposte in modo da riprodurre il disegno della costellazione della Vergine. Sempre nel segno del simbolismo floreale è, poi, la “candida rosa” del Paradiso. Significati mistici, esoterici, iniziatici si compenetrano nel capolavoro dantesco ai quattro valori illustrati nell’Epistola a Cangrande Della Scala. Il senso ultimo del poema è celato in un labirinto d’immagini astrologiche e numerologiche. Così si spiegano le ricorrenze del tre, del sette, del nove…: i tre regni rispecchiano tre condizioni spirituali, le sette cornici del Purgatorio sono i sette gradi dell’iniziazione, i nove cieli simboleggiano la perfezione.

Come ignorare, inoltre, i messaggi cifrati che rivelano la vicinanza di Dante all’Ordine del Tempio? Del resto la preghiera alla Vergine è pronunciata da San Bernardo di Chiaravalle, l’eccentrico monaco cistercense che dettò la regola dei Templari e secondo il quale Dio è “lunghezza, altezza e profondità”. La stessa orazione è un inno alla dea egizia Iside, Vergine madre nel cui ventre “è germinato questo… fiore”. La visione finale, con i tre cerchi di tre colori diversi, ma della medesima dimensione, è il suggello mistico e geometrico di una concezione fondamentalmente eterodossa, che affonda le sue radici nella cultura araba, nei segreti templari, nell’astrologia, nell’aristotelismo.

Molti dei simboli elaborati dalla tradizione, di cui furono depositari maestri ed illuminati, furono mutuati da sette e correnti posteriori all'Alighieri, ma, in alcuni casi, il loro valore fu stravolto e snaturato. Continuarono e seguitano ad irradiare ancora la loro energia che, però, è diventata negativa, per una sorta d’inversione di polarità. A questo punto, si comprende perché l’approccio superficiale ad uomini di genio, come il “Ghibellin fuggiasco” o come Leonardo da Vinci, prevalga nell’ambito della “cultura” ufficiale. Se si conoscesse il significato di certi emblemi, potremmo più facilmente intuire i contenuti reconditi e spesso sinistri di molte simbologie, che neppure riconosciamo o che riteniamo, scioccamente, ininfluenti.

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