10 aprile, 2007

La luce dell'oscurità

Il presente testo è tratto dal saggio inedito Le tenebre del mito.



Persefone è la dea degli Inferi e la consorte di Ade. È figlia di Zeus e di Demetra, almeno secondo la versione più diffusa. Un’altra tradizione la vede come figlia di Zeus e di Stige, la ninfa del fiume infernale. La leggenda principale di Persefone è la storia del suo rapimento per opera di Ade, che la rapì mentre ella stava cogliendo dei fiori, insieme con alcune ninfe, nella pianura di Enna. Demetra, disperata, cercò la diletta figlia in ogni dove, ma invano. Alla fine il padre degli dei ordinò ad Ade di restituire Persefone alla madre, ma ciò non era possibile, perché la giovane aveva rotto il digiuno mentre era nell’oltretomba. Per disattenzione oppure tentata da Plutone, aveva mangiato un chicco di melagrana. Questo bastava per legarla in eterno agli Inferi. Per alleviare la condanna, Zeus stabilì che Persefone avrebbe diviso il proprio tempo tra il mondo sotterraneo e quello terreno. La proporzione degli autori varia secondo i mitografi: un terzo dell’anno o metà dell’anno.

Persefone è soltanto una delle numerose manifestazioni di un archetipo, l’adombramento di un’energia primordiale, selenica, il riflesso di una luce fredda ma fecondatrice. Non è difficile comprendere come molti mali del nostro mondo siano scaturiti non dal vaso di Pandora, ma dalla scatola cranica, in particolar modo dall’emisfero sinistro, quello della logica e del calcolo. La razionalità, con la sua luce accecante, ha per sempre cancellato la penombra e le tenebre dove splendeva la rugiada delle stelle. La razionalità, culminata nella dittatura della scienza che tutto scinde, misura e quantifica, ha piantato il suo tetro vessillo nel deserto del mondo. Questa è la vittoria sull’intuizione, la creatività, il sentimento, sulle energie femminili, negate, demonizzate, relegate nell’abisso, nell’Ade. Da Lilith a Maria Maddalena, dalle Vergini nere alle “streghe” del Rinascimento e dell’età moderna, da Iside alla Vergine dantesca, è tutta una storia ora di condanne (Maria Maddalena diventa una prostituta) ora di fraintendimenti (La Vergine dantesca diviene la Madre di Dio).

Eppure alla sacra sorgente dello yin si sono abbeverati tutti gli iniziati in cerca della vera conoscenza, che è ricomposizione degli opposti, armonia tra principi complementari, anelito verso la perduta unità, l’androgino. (...)

Il mito di Persefone credo sia, come tante altre storie primordiali, una riflessione sulla conoscenza: la fanciulla, dopo essere stata rapita da Ade, gusta il chicco di una melagrana. Il colore rubino del grano evoca l’éros, il frutto simboleggia la sapienza che è amor ed anche mors, ma la morte di un vecchio, logoro io, prima della rinascita. Per questo motivo Persefone, dopo aver mangiato il chicco, non può tornare sulla Terra: la sapienza esoterica non è adatta ai profani. Essa ama recessi brumosi (si pensi ai Misteri di Eleusi), poiché è distrutta dalla logica quadrata e dura, come una luce arida prosciuga una polla. Il destino di Persefone, nonostante le apparenze del mito, non è ferale: ella, attraversando gli Inferi, diventandone la regina, può poi risorgere come dea della triplicità, (le tre stagioni dell’anno per i popoli antichi). (...)

La sua è una luce riflessa, pallida, pudica che, invece, di colpire e scolpire le cose, ne sfuma i contorni, li accarezza, li modella. È la luce permeata di oscurità, velata di mistici silenzi. È la condizione ideale per l’introspezione, lo sguardo che si perde oltre i confini del visibile e scruta altre dimensioni.

In un celebre quadro Dante Gabriel Rossetti ritrae la dea: i suoi occhi sono malinconici, ma la malinconia è la compagna della profondità e della sensibilità. Sullo sfondo l’artista dipinge una ghirlanda d’edera: l’edera è tenacia e memoria, tratti della conoscenza. Le foglie verde scuro sembrano un richiamo all’oltremondo ed all’inconscio. Ella tiene nella sinistra il frutto fatale: il pomo, comprensione e morte. (1) Si consideri Avalon, il regno occidentale in cui nascevano gli alberi dai frutti azzurri, colore dell’acqua, della notte. Avalon, apfel, apple, mela… Viene in mente Apollo, il dio iperboreo della distruzione (apòllumi in greco vale “distruggere”) e della profezia. Chi avrà l’ardimento per cogliere il frutto, gustato il quale un intero mondo fittizio-reale, va in frantumi e si disvela una regione dove il tempo e lo spazio, carceri terribili, non sono più neppure un lontano ricordo?


(1) Di questo dipinto Dante Gabrile Rossetti dice: “E’ rappresentata in un oscuro corridoio… L’incensiere le è accanto, come attributo di divinità. Il ramo d’edera sullo sfondo può essere inteso come simbolo della memoria che avvince" (da una lettera a W.A.Turner).

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