José Miguel Garcia è un teologo(?) nato a Madrid nel 1951 ed è esponente della scuola di Madrid. Di recente ha pubblicato un testo intitolato La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli, in cui parte dall’assunto che deve esistere un archetipo aramaico dei quattro Vangeli canonici, di cui questi sono soltanto approssimative ed incongruenti traduzioni. L’autore, infatti, reputa che, sebbene il testo dei libretti sia giunto a noi in greco, "il modo di pensare e di esprimersi che vi si percepisce è in grande misura semitico".
Che nei Vangeli affiori qua e là un substrato aramaico è possibile, ma ciò non giustifica la convinzione del biblista secondo cui un fantomatico originale semitico è la fonte (Quelle) di tutt’è quattro i libercoli, tra l’altro sorvolando sulla linea che separa i Sinottici dal Quarto Vangelo. In realtà, non occorre confutare le tesi espresse dal Garcia, poiché le sue sono soltanto fantasticherie lambiccate, arzigogoli ridicoli.
Il libro, benché abbia valore esegetico pari a zero o quasi, come riconosciuto anche da studiosi cattolici, deve essere comunque letto, perché, a tratti, esilarante. “Dopo lunghe ed accurate ricerche”, come ripete lo scrittore ad ogni piè sospinto (in che cosa consistano queste meticolose ricerche non è lecito sapere), Garcia estrae dal suo cilindro nuove illuminanti traduzioni di cui vorrei proporre qualche breve ma spassoso saggio: Ecco concepirai nel tuo ventre e darai alla luce come figlio e chiamerai Gesù uno che è anziano (?) ed è chiamato Figlio dell’Altissimo; Non per me, bensì per te, donna, è giunta opportuna la mia ora; Fai entrare nel popolo la visione di Dio nella Scrittura; Ed esse se ne andarono, stringendosi (le une alle altre), dal sepolcro, perché erano in preda a tremore e stupore e non dissero niente a nessuno senza che fossero considerate fuori di testa. (Qui fuori di testa mi sembra Garcia)
Tra un delirio e l’altro, tra una forzatura e l’altra, colui ricostruisce un vangelo perfetto, lineare, privo completamente di contraddizioni, incongruenze, oscurità, come se i Vangeli non fossero il risultato di un plurisecolare processo di redazioni, revisioni, censure, interpolazioni, aggiustamenti… Insomma scopriamo che un agiografo aramaico scrisse con il computer il testo, lo salvò su un supporto adeguato fino a quando Garcia ha trovato il disco ancora intatto, durante una delle sue vacanze in Palestina. Che si scrivano delle scempiaggini è possibile, ma che una casa editrice decida di pubblicare un’accozzaglia di sciocchezze come La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli, è sorprendente.
Forse, però, non è poi così sbalorditivo: il “saggio” di Garcia si spiega con un intento di normalizzazione. L’autore, con goffa scaltrezza, grazie alla sua “ricostruzione” di un ipotetico, immaginario originale aramaico, dipana la biografia di Gesù, dal concepimento rigorosamente verginale alla Resurrezione, snocciolando tutti i dogmi cattolici posteriori di secoli al periodo in cui si diffusero la comunità ebionita e quella, concorrente ed eretica, degli Ellenisti. Con qualche trucco degno del mago Casanova, Garcia crede di confermare quel coacervo assurdo di credenze e di pregiudizi che sono il fondamento della dottrina cattodiabolica: in questo modo i fratelli di sangue del Messia diventano discepoli, con buona pace delle più che certe acquisizioni linguistiche; il dogma della Trinità è già enunciato dall’evangelista che vergava il catechismo, sotto dettatura di papa Natzinger etc.
L’autore ricorda Daniele da Volterra, detto il Braghettone, che ricevette l’incarico dal papa di coprire con verecondi veli le pudenda delle figure dipinte da Michelangelo nella Sistina.
È un’operazione infida ed integralista di chi, ostentando le sue, in tale ambito, inutili conoscenze delle lingue semitiche, storicizza, anzi crede di storicizzare, un mito, il mito di Gesù che quasi certamente non esistette (semmai esistettero due Messia, ma assai differenti dal Cristo imbalsamato dalla teologia cristiana). È un’operazione in cui, dietro una mal dissimulata spagnolesca albagia (io so l’aramaico e voi no), si nota il fine diabolico di propalare menzogne come se fossero verità, per giunta palmari verità. Tra l’altro, la ricchezza di un testo spesso risiede nelle sue articolazioni anche contraddittorie: invece il biblista riduce il Vangelo ad una piatta cronaca, scritta da un gazzettiere del I secolo d.C., seguendo la formula anglosassone delle cinque W, con cui tutto quadra banalmente. In questo modo quei versetti da cui ancora, nonostante il lavorìo censorio di Padri della Chiesa ed apologeti, promana un significato spirituale e simbolico, sono depauperati ed isteriliti. Come pensare, però, che un arido filosofo scolastico, con la sua anodina filologia, avverta il fascino delle conoscenze esoteriche?
Infine questo libro che, trascurate le parti tediose, è più divertente di quello con le barzellette di Totti, rivela l’infinita miseria di questi meschini tauteologi che ignorano quanto sia più denso, profondo, significativo un mito, capace di plasmare la realtà, a guisa di una forma pensiero, rispetto alla loro “storia”(1) raccontata solo per legittimare il potere di una Chiesa fondata sull’imbroglio, la corruzione e la violenza. Non è un caso se Socci, araldo della menzogna, ha espresso giudizi entusiastici rispetto a tale ricerca. Le bugie sono sempre molto più tranquillizzanti della verità.
(1) E’ il caso di dire che i tauteologi raccontano delle… storie.
Che nei Vangeli affiori qua e là un substrato aramaico è possibile, ma ciò non giustifica la convinzione del biblista secondo cui un fantomatico originale semitico è la fonte (Quelle) di tutt’è quattro i libercoli, tra l’altro sorvolando sulla linea che separa i Sinottici dal Quarto Vangelo. In realtà, non occorre confutare le tesi espresse dal Garcia, poiché le sue sono soltanto fantasticherie lambiccate, arzigogoli ridicoli.
Il libro, benché abbia valore esegetico pari a zero o quasi, come riconosciuto anche da studiosi cattolici, deve essere comunque letto, perché, a tratti, esilarante. “Dopo lunghe ed accurate ricerche”, come ripete lo scrittore ad ogni piè sospinto (in che cosa consistano queste meticolose ricerche non è lecito sapere), Garcia estrae dal suo cilindro nuove illuminanti traduzioni di cui vorrei proporre qualche breve ma spassoso saggio: Ecco concepirai nel tuo ventre e darai alla luce come figlio e chiamerai Gesù uno che è anziano (?) ed è chiamato Figlio dell’Altissimo; Non per me, bensì per te, donna, è giunta opportuna la mia ora; Fai entrare nel popolo la visione di Dio nella Scrittura; Ed esse se ne andarono, stringendosi (le une alle altre), dal sepolcro, perché erano in preda a tremore e stupore e non dissero niente a nessuno senza che fossero considerate fuori di testa. (Qui fuori di testa mi sembra Garcia)
Tra un delirio e l’altro, tra una forzatura e l’altra, colui ricostruisce un vangelo perfetto, lineare, privo completamente di contraddizioni, incongruenze, oscurità, come se i Vangeli non fossero il risultato di un plurisecolare processo di redazioni, revisioni, censure, interpolazioni, aggiustamenti… Insomma scopriamo che un agiografo aramaico scrisse con il computer il testo, lo salvò su un supporto adeguato fino a quando Garcia ha trovato il disco ancora intatto, durante una delle sue vacanze in Palestina. Che si scrivano delle scempiaggini è possibile, ma che una casa editrice decida di pubblicare un’accozzaglia di sciocchezze come La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli, è sorprendente.
Forse, però, non è poi così sbalorditivo: il “saggio” di Garcia si spiega con un intento di normalizzazione. L’autore, con goffa scaltrezza, grazie alla sua “ricostruzione” di un ipotetico, immaginario originale aramaico, dipana la biografia di Gesù, dal concepimento rigorosamente verginale alla Resurrezione, snocciolando tutti i dogmi cattolici posteriori di secoli al periodo in cui si diffusero la comunità ebionita e quella, concorrente ed eretica, degli Ellenisti. Con qualche trucco degno del mago Casanova, Garcia crede di confermare quel coacervo assurdo di credenze e di pregiudizi che sono il fondamento della dottrina cattodiabolica: in questo modo i fratelli di sangue del Messia diventano discepoli, con buona pace delle più che certe acquisizioni linguistiche; il dogma della Trinità è già enunciato dall’evangelista che vergava il catechismo, sotto dettatura di papa Natzinger etc.
L’autore ricorda Daniele da Volterra, detto il Braghettone, che ricevette l’incarico dal papa di coprire con verecondi veli le pudenda delle figure dipinte da Michelangelo nella Sistina.
È un’operazione infida ed integralista di chi, ostentando le sue, in tale ambito, inutili conoscenze delle lingue semitiche, storicizza, anzi crede di storicizzare, un mito, il mito di Gesù che quasi certamente non esistette (semmai esistettero due Messia, ma assai differenti dal Cristo imbalsamato dalla teologia cristiana). È un’operazione in cui, dietro una mal dissimulata spagnolesca albagia (io so l’aramaico e voi no), si nota il fine diabolico di propalare menzogne come se fossero verità, per giunta palmari verità. Tra l’altro, la ricchezza di un testo spesso risiede nelle sue articolazioni anche contraddittorie: invece il biblista riduce il Vangelo ad una piatta cronaca, scritta da un gazzettiere del I secolo d.C., seguendo la formula anglosassone delle cinque W, con cui tutto quadra banalmente. In questo modo quei versetti da cui ancora, nonostante il lavorìo censorio di Padri della Chiesa ed apologeti, promana un significato spirituale e simbolico, sono depauperati ed isteriliti. Come pensare, però, che un arido filosofo scolastico, con la sua anodina filologia, avverta il fascino delle conoscenze esoteriche?
Infine questo libro che, trascurate le parti tediose, è più divertente di quello con le barzellette di Totti, rivela l’infinita miseria di questi meschini tauteologi che ignorano quanto sia più denso, profondo, significativo un mito, capace di plasmare la realtà, a guisa di una forma pensiero, rispetto alla loro “storia”(1) raccontata solo per legittimare il potere di una Chiesa fondata sull’imbroglio, la corruzione e la violenza. Non è un caso se Socci, araldo della menzogna, ha espresso giudizi entusiastici rispetto a tale ricerca. Le bugie sono sempre molto più tranquillizzanti della verità.
(1) E’ il caso di dire che i tauteologi raccontano delle… storie.
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Sempre bellisimi post ciao buone vacanze
RispondiEliminaGrazie Agostino, Buona Pasquetta anche a te!
RispondiEliminaGiova certamente ai chierci scellerati ed avidi di denaro. Hai mangiato l'agnello di marzapane, spero. :) Ciao!
RispondiEliminaLa questione dell'origine aramaica dei Vangeli è stata dibattuta più e più volte nel corso degli ultimi duecento anni. Qua e là, sopratttutto in Marco, troviamo brevi espressioni aramaiche. Ma, come noto, una rondine non fa primavera. Le argomentazioni portate avanti da qulache studioso-vedi ad es. Jean Carmignac - hanno sicuramente un discreto valore (Carmignac voleva dimostrare a tutti i costi l'origine semita dei testi) ma ci rivelano al massimo che gli autori dei Vangeli erano di razza ebraica. Tuttavia le analisi linguistiche non lasciano adito a dubbi: i Vangeli vennero scritti in Greco probabilmente da Giudei della Diaspora, Giudei che pensano in Greco e i cui modi di espressione sembrano tradire qua e là tracce di sintassi semita. Tutto lì.
RispondiEliminaPoco, troppo poco per dedurne che essi erano o degli Apostoli o dei seguaci degli stessi.
Piuttosto ci è concesso inferire che il Cristianesimo in quanto tale nacque come culto misterico fra i Giudei della Dispersione. Quello che sorprende massimamente è l'estremo polimorfismo che nelle prime generazioni cristiane viene attribuito alla figura di Gesù: In pratica ogni ogni gruppo all'interno del 'Mystery Cult' conia un Gesù diverso da quello degli altri gruppi. Come dire: ognuno elabora un'immagine del Salvatore diversa dagli altri e secondo i propri gusti e le proprie credenze. Tanto per fare un rapido esempio si passa dalla cristologia adozionista di Marco - stadio più arcaico? - alla cristologia dell'Unigenito preesistente di Giovanni. Com'era possibile che ciò accadesse se si presume che gli insegnamenti provenivano da una unica fonte? Marco, supposto erede di Pietro, ha capito in un modo e Giovanni ha intuito in un altro? E matteo e Tommaso in altri ancora? Mmmmh
Ciò posto, non traggo beninteso alcuna conclusione. Che ognuno si regoli come meglio crede senza però mai dimenticare che il Nuovo Testamento rimane senz'ombra di dubbio il più grande enigma che si sia affacciato sulla scena della storia della letteratura universale.
Di un libro come quello che tu citi, Zret, non se ne sentiva affatto il bisogno.L'argomento è tremendemante serio e non va affrontato da ciarlatani come il Garcia.
Sottoscrivo in toto. Ciao e grazie!
RispondiEliminaFriedrich Nietzsche.........
RispondiEliminaChiamo cristianesimo la sola grande maledizione, la sola enorme perversione interiore: il solo grande istinto di rivincita per il quale nessun mezzo è troppo velenoso, clandestino, sotterraneo e meschino. Lo chiamo macchia immortale dell'umanità
aalmtqNietzsche considerò il "cristianesimo" una parodia ed un tradimento dell'insegnamento del Messia. Egli identificò il ruolo funesto delle gerarchie niceno-cattoliche e ne denunciò la corruttela. Ciao
RispondiEliminaComunque c'è da notare che i cristiani siriaci, di lingua aramaica, usano la Peshitta (ovvero la Bibbia in lingua siriaca) e credono che sia la versione della Bibbia più vicina all'originale in quanto si ritiene che i libri del NT fossero originariamente scritti in aramaico. Beninteso, l'aramaico di Gesù e il siriaco sono due versioni diverse di aramaico, però appartengono comunque ad una stessa lingua. Nel NT, gli scrittori dei libri erano di ambiente semitico, e il testo greco è spesso una trasposizione dall'ebraico e dall'aramaico, mostrando chiaramente che coloro che lo scrissero non erano di madrelingua greca. Ora, magari questo libro sbaglierà, e magari veramente l'originale era in greco, però se questo fosse vero (anzi, sarebbe vero in ogni caso), che essi abbiano avuto una non buona conoscenza del greco.
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