L'invenzione della fotografia nel 1839, per opera di Daguerre e di Niepce, causò una crisi ed una revisione dello statuto della pittura, considerata, sovente a torto, un'arte volta a riprodurre il mondo naturale e gli eventi storici, in modo più o meno fedele o trasfigurante. Come ogni ritrovato tecnologico, la fotografia è, però, soprattutto all'origine di un cambiamento nella concezione e nella percezione che l'uomo ha di sé stesso, si tratti anche soltanto della percezione della propria immagine.
Prima della fotografia esisteva solo la ritrattistica, privilegio di regnanti, aristocratici e borghesi che, un po' per vanità, un po' perché consci del valore testimoniale e storico della propria fisionomia, erano rappresentati ora da artisti insigni ora da abili artigiani. Il ritratto elevava in una dimensione astratta ed atemporale la caducità del momento, persino l'eventuale indegnità del soggetto, attraverso la meticolosa stesura delle campiture, il gesto sapiente (dalla mente al pennello) con cui prendevano forma profili, ombreggiature, riflessi, rughe, pori, vene... Non era il flash fotografico, improvviso e casuale come fiamma che brucia la capocchia di un cerino.
La fotografia offrì a moltissime persone l'opportunità di fissare il proprio volto su carta, di cogliere l'istante immutabile ed effimero in cui l'espressione del viso e la luce degli occhi sono consegnati alla memoria visiva ed ai nipoti. Non solo, le fattezze ed il colore dei capelli, insieme con gli abiti indossati, denotano l'età, strappando al cinema ininterrotto del tempo, un fotogramma. Il dagherrotipo, simile ad un immobile specchio d'acqua, riflette l'immagine esterna e talvolta lascia affiorare l'ombra evanescente dell'anima.
Comunque la si consideri, l'istantanea dà l'illusione che il tempo si possa fermare e che qualcosa possa essere sottratto al panta rei. Fotografia è, letteralmente, "il disegno della luce", ma spesso è la luce che acceca, la radiazione elettromagnetica che offusca la luce vera, scavando, col bianco e nero o con i colori tecnologici, l'incisione inautentica delle cose e delle fisionomie.
In realtà, queste raccolte fotografiche in cui si squadernano inquadrature del film della vita, dove a stento riconosciamo in sembianze raggelate nell'immobilità del passato, del presente già trascorso, noi stessi e la nostra vera identità, sono altrettante sequenze di una lenta, inavvertita morte.
E' per questo motivo che, quando si fotografa un soggetto, si suole dire che è stato immortalato. Immortalare: mai verbo fu più adatto.
Prima della fotografia esisteva solo la ritrattistica, privilegio di regnanti, aristocratici e borghesi che, un po' per vanità, un po' perché consci del valore testimoniale e storico della propria fisionomia, erano rappresentati ora da artisti insigni ora da abili artigiani. Il ritratto elevava in una dimensione astratta ed atemporale la caducità del momento, persino l'eventuale indegnità del soggetto, attraverso la meticolosa stesura delle campiture, il gesto sapiente (dalla mente al pennello) con cui prendevano forma profili, ombreggiature, riflessi, rughe, pori, vene... Non era il flash fotografico, improvviso e casuale come fiamma che brucia la capocchia di un cerino.
La fotografia offrì a moltissime persone l'opportunità di fissare il proprio volto su carta, di cogliere l'istante immutabile ed effimero in cui l'espressione del viso e la luce degli occhi sono consegnati alla memoria visiva ed ai nipoti. Non solo, le fattezze ed il colore dei capelli, insieme con gli abiti indossati, denotano l'età, strappando al cinema ininterrotto del tempo, un fotogramma. Il dagherrotipo, simile ad un immobile specchio d'acqua, riflette l'immagine esterna e talvolta lascia affiorare l'ombra evanescente dell'anima.
Comunque la si consideri, l'istantanea dà l'illusione che il tempo si possa fermare e che qualcosa possa essere sottratto al panta rei. Fotografia è, letteralmente, "il disegno della luce", ma spesso è la luce che acceca, la radiazione elettromagnetica che offusca la luce vera, scavando, col bianco e nero o con i colori tecnologici, l'incisione inautentica delle cose e delle fisionomie.
In realtà, queste raccolte fotografiche in cui si squadernano inquadrature del film della vita, dove a stento riconosciamo in sembianze raggelate nell'immobilità del passato, del presente già trascorso, noi stessi e la nostra vera identità, sono altrettante sequenze di una lenta, inavvertita morte.
E' per questo motivo che, quando si fotografa un soggetto, si suole dire che è stato immortalato. Immortalare: mai verbo fu più adatto.
Zret, bellissima riflessione, mi ha fatto tornare indietro nel tempo...
RispondiEliminaOggi invece molte foto vengono utilizzate per scopi più spiccioli. Marketing, spionaggio e controllo. Immagini per colpire e soggiogare le menti.
Perdonami la divagazione :D
Un abbraccio
Ciao amico, hai ragione: oggi il mondo delle immagini è dominato da intenti inconfessabili, attraversato da messaggi occulti. Le immagini sono potenti e molte persone sono deboli, vulnerabili.
RispondiEliminaCiao e grazie
Zret volevo lasciarti un saluto, purtroppo ho un prob con skype dunque immaginerai da solo spero di poter risolvere al più presto.
RispondiEliminaUn abbraccio e buona fortuna per tutto.
Ciao Jay, spero che tu risolva presto il problema. Grazie del tuo gradito saluto.
RispondiEliminaCiao!
A chi interessasse ci sarà un meeting virtuale tramite IRC (Internet Relay Chat) tra tutti i vari "cercatori" martedì 22 aprile 2008, 21.20
RispondiEliminaDate comunicazione della vostra presenza nei commenti del sito
http://beyond-2012.blogspot.com/
Donnie.
la fotografia: l'unico mezzo per fermare il tempo.. l'ho sempre pensato anch'io.
RispondiEliminaal di là del tempo e dello spazio.. immortalare.. quale verbo può essere più adatto !