L’esteriorità dello sguardo annulla la visione interiore.
Singolare oggetto lo specchio, al centro di tante fiabe e leggende: non è tanto lo specchio ad essere inquietante, quanto l'immagine che esso restituisce, perché l'immagine riflessa non è né un referente né un'icona, un segno che presenta una certa somiglianza con il denotatum. Appunto questo statuto ambiguo impedisce che essa sia collocata vuoi nel settore astratto della linguistica vuoi nell'ambito concreto della "realtà". Resta dunque in bilico tra due dimensioni, in una terra di nessuno.
Poco influisce come l’effigie sia riverberata, con le coordinate invertite, perché è la sua natura incerta, sfuggente a renderla abnorme. Corrispondente all'oggetto, ma privo della tridimensionalità, il riflesso si riduce ad una proiezione meccanica e passiva, in cui non interviene la creazione che è sempre scelta. In questo senso, si distingue pure dalla fotografia che nel taglio, nella selezione del soggetto, nell’inquadratura, palesa attenzione ed intenzione.
Per motivi quindi spec-iosi, nella tradizione il vampiro non può vedere il suo volto allo specchio, poiché -si ripete- il vampiro non possiede l'anima, ma questo doppio nulla c'entra con l'anima, essenza invisibile: è invece una duplicazione del fenomeno raggelato, nei suo contorni nitidi e taglienti, sulla superficie argentea, uniforme. Ecco da dove deriva il carattere sottilmente sinistro degli specchi: dalla loro, per così dire, funzione riproduttiva svuotata di senso e di sensorialità (texture, odore, sapore), affine ad un'imitazione della res, assai più piatta della mimesi artistica che riproduce la cosa, a sua volta pallida imitazione dell'idea, secondo l'interpretazione platonica.
E' quindi un processo di riduzione, mentre per il gioco degli specchi, la situazione ingannevole in cui è difficile orientarsi e stabilire le giuste proporzioni di eventi e circostanze, è sufficiente una sola superficie. Qual è l'inganno? La ripetizione inerte della realtà, con la garanzia dell'esistenza offerta dal rassicurante, ma falso doppio innanzi a noi, con sembianze che cambiano giorno dopo giorno, ma quasi impercettibilmente, con un'agnizione che è un non riconoscersi nelle apparenze caduche, oltre le quali si annida l'identità senza identificazione. E’ questo interrogativo sull’essere “risolto” semplicemente con una fotocopia che rende lo specchio intollerabile.
Michelangelo Pistoletto, per trascendere il carattere amorfo del riflesso, lo abbina ad una fotografia assai più viva della rappresentazione rispecchiata con effetti di trompe l'oeil e di scarto-identificazione tra figura effigiata e figura riflessa.
Lo specchio è un po’ nel gesto del demiurgo che, incapace di comprendere la bellezza del non detto, dell'increato, meccanicamente riprende il modello e lo pro-ietta nello spazio-tempo: così si genera la perfetta, ma fallace corrispondenza biunivoca tra una piatta, (s)morta icona bidimensionale e le infinite, scintillanti sfaccettature dell'essere.
Sullo specchio, riflessione di T.B.
Ci sono persone la cui sola immagine reale è quella riflessa dallo specchio.
Ci sono persone alle quali soltanto uno specchio ricambia il sorriso.
Ci sono persone che traggono la consapevolezza dell'esistere solo vedendosi riflesse nello specchio.
Ci sono persone che, quando sono colme di lacrime e sofferenza trovano consolazione quando dallo specchio si alza su di loro l'unico sguardo partecipe.
Ci sono persone che, quando nessuno ascolta e tutti tacciono, allo specchio domandano e dallo specchio ricevono risposte.
Il solo muro che non sia barriera è lo specchio, dentro il quale chi sa guardare può vedere tutti i mondi possibili.
Chi può dire che la realtà non dimori dietro uno specchio?
Chi può dire che nell'immagine riflessa non si celi la verità?
Colui che non ama lo specchio teme ciò che vi può vedere.
Sussistono un'infinità di ragioni per amare gli specchi e altrettante per detestarli: l'insieme delle due infinità è l'infinita proiezione di ogni riflesso. Da questa trae origine lo sgomento, che per essere sostenibile viene percepito come avversione e diffidenza: ma si può diffidare dell'infinito o, come Alice, meglio compiere il passo che condurrà oltre la soglia?
Che cosa nasconde l'infinito? Alice vi ha trovato favole e incubi, e noi?
Singolare oggetto lo specchio, al centro di tante fiabe e leggende: non è tanto lo specchio ad essere inquietante, quanto l'immagine che esso restituisce, perché l'immagine riflessa non è né un referente né un'icona, un segno che presenta una certa somiglianza con il denotatum. Appunto questo statuto ambiguo impedisce che essa sia collocata vuoi nel settore astratto della linguistica vuoi nell'ambito concreto della "realtà". Resta dunque in bilico tra due dimensioni, in una terra di nessuno.
Poco influisce come l’effigie sia riverberata, con le coordinate invertite, perché è la sua natura incerta, sfuggente a renderla abnorme. Corrispondente all'oggetto, ma privo della tridimensionalità, il riflesso si riduce ad una proiezione meccanica e passiva, in cui non interviene la creazione che è sempre scelta. In questo senso, si distingue pure dalla fotografia che nel taglio, nella selezione del soggetto, nell’inquadratura, palesa attenzione ed intenzione.
Per motivi quindi spec-iosi, nella tradizione il vampiro non può vedere il suo volto allo specchio, poiché -si ripete- il vampiro non possiede l'anima, ma questo doppio nulla c'entra con l'anima, essenza invisibile: è invece una duplicazione del fenomeno raggelato, nei suo contorni nitidi e taglienti, sulla superficie argentea, uniforme. Ecco da dove deriva il carattere sottilmente sinistro degli specchi: dalla loro, per così dire, funzione riproduttiva svuotata di senso e di sensorialità (texture, odore, sapore), affine ad un'imitazione della res, assai più piatta della mimesi artistica che riproduce la cosa, a sua volta pallida imitazione dell'idea, secondo l'interpretazione platonica.
E' quindi un processo di riduzione, mentre per il gioco degli specchi, la situazione ingannevole in cui è difficile orientarsi e stabilire le giuste proporzioni di eventi e circostanze, è sufficiente una sola superficie. Qual è l'inganno? La ripetizione inerte della realtà, con la garanzia dell'esistenza offerta dal rassicurante, ma falso doppio innanzi a noi, con sembianze che cambiano giorno dopo giorno, ma quasi impercettibilmente, con un'agnizione che è un non riconoscersi nelle apparenze caduche, oltre le quali si annida l'identità senza identificazione. E’ questo interrogativo sull’essere “risolto” semplicemente con una fotocopia che rende lo specchio intollerabile.
Michelangelo Pistoletto, per trascendere il carattere amorfo del riflesso, lo abbina ad una fotografia assai più viva della rappresentazione rispecchiata con effetti di trompe l'oeil e di scarto-identificazione tra figura effigiata e figura riflessa.
Lo specchio è un po’ nel gesto del demiurgo che, incapace di comprendere la bellezza del non detto, dell'increato, meccanicamente riprende il modello e lo pro-ietta nello spazio-tempo: così si genera la perfetta, ma fallace corrispondenza biunivoca tra una piatta, (s)morta icona bidimensionale e le infinite, scintillanti sfaccettature dell'essere.
Sullo specchio, riflessione di T.B.
Ci sono persone la cui sola immagine reale è quella riflessa dallo specchio.
Ci sono persone alle quali soltanto uno specchio ricambia il sorriso.
Ci sono persone che traggono la consapevolezza dell'esistere solo vedendosi riflesse nello specchio.
Ci sono persone che, quando sono colme di lacrime e sofferenza trovano consolazione quando dallo specchio si alza su di loro l'unico sguardo partecipe.
Ci sono persone che, quando nessuno ascolta e tutti tacciono, allo specchio domandano e dallo specchio ricevono risposte.
Il solo muro che non sia barriera è lo specchio, dentro il quale chi sa guardare può vedere tutti i mondi possibili.
Chi può dire che la realtà non dimori dietro uno specchio?
Chi può dire che nell'immagine riflessa non si celi la verità?
Colui che non ama lo specchio teme ciò che vi può vedere.
Sussistono un'infinità di ragioni per amare gli specchi e altrettante per detestarli: l'insieme delle due infinità è l'infinita proiezione di ogni riflesso. Da questa trae origine lo sgomento, che per essere sostenibile viene percepito come avversione e diffidenza: ma si può diffidare dell'infinito o, come Alice, meglio compiere il passo che condurrà oltre la soglia?
Che cosa nasconde l'infinito? Alice vi ha trovato favole e incubi, e noi?
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Pubblico un commento di Maria che ringrazio.
RispondiEliminaLo specchio che non c' era...
Mi fai ricordare un momento particolare in cui l'assenza dello specchio esteriore portava ad un rafforzarsi della visione interiore – un momento importante di pochi mesi fa.
Ero a casa di amici, una casa che doveva essere pronta per ospitarci, me, mio figlio ed altre persone. E stato una forma di raduno o specchio della vita passata di quel amico . Non so perché l'ha voluto – sembrava uno di quei momenti che si presentano in punti di morte, quando tutto ti passa davanti..... Non sapeva nemmeno lui bene bene il perché.
Sarà che la sua vità si trova in un momento di grande svolta.
Era una casa con tante camere - riempite in quell' occasione con tante persone che si alternavano. Dieci giorni di incontri – con facce da riscoprire perché invecchiate – per me da scoprire semplicemente perché nuove – e attraverso di loro amplificare quello che significa il mio amico per me.
Benjamin aveva annunciato uno spazio ristrutturato ed accogliente per ospitarci – ma così non è stato. Idraulici e muratori accompagnavano il soggiorno e le camere avevano un arredamento spartano - adatto alle persone in visita che erano di passaggio. Un materasso per terra – per qualcuno un letto più strutturato – e per me in surplus una vecchia scrivania con sedia.
E NIENTE SPECCHI!
Esperienza davvero particolare nel osservare gli altri – uomini con la difficoltà di farsi la barba e donne con il trucco mattutino.
Mio figlio non aveva problemi – ha smesso di preoccuparsi della pettinatura.
In me ho osservato una rapida trasformazione.
Mi ricordavo alla mia infanzia. Non c'erano specchi in casa . C'era uno appeso in alto in alto giusto raggiungibile ai miei .Era sopra il lavandino di cucina e serviva soltanto a mia padre per non tagliarsi con la lametta del rasoio. Il bagno non c'era. Altri tempi.
Ero tornata all'essenziale.
NON MI GUARDAVO alzandomi la mattina. MI SENTIVO.
Scendevo la scala e mi trovavo tutti i giorni a colazione con una dozzina di persone che non conoscevo. Ne io ne loro potevano darsi quella piccola aggiustatina che ti fa sentire meglio o peggio prima di aprire le persiane. E la situazione spingeva a farsi vedere nel migliore dei modi – tutti erano là per rappresentare quello spicchio della grande mela che era la vita del mio amico.
Mancava il grande complice che più delle volte diventa grande criticone per trovare rassicurazione sul mio aspetto esteriore - oppure il contrario. E allora?
MI SENTIVO.
Mi sedevo a tavola – guardavo gli altri e SENTIVO me stessa. Il sentire era il punto di il riferimento importante. E sentivo che l'incontro mancato con lo specchio NON mi riduceva ad un riflesso e mi permetteva di rimanere ancorata dentro di me e partire da lì. E stavo bene.
Mi sentivo diventare leggera, più vera e mi rendevo fortemente conto della conseguenza del vivere senza senza specchio e con grande stupore.
Entravo dentro di me – sentivo giorno dopo giorno di più die ESSERE – di rinunciare sempre di più a conferme sbirciando un' attimo in una vetrina . E in conseguenza di questo spostamento di percezione non “aiutata” dal definirmi attraverso un' apparenza mi vedevo più libera anche nella manifestazione del mio essere .
Sono una donna e nella nostra società vuol' dire qualcosa.
Non mi trucco, non ho un rapporto esagerato con il mondo degli specchi e non me lo porto dietro nel borsellino. Però lo sguardo appena aperti gli occhi in questo grande fratello che mi misura influenza in modo non indifferente i primi pensieri.
Due settimane senza questo strumento che mi invita a definirmi attraverso borse sotto gli occhi e rughe che avanzano ho scoperto un senso di libertà nuova. La presenza dello specchio ha un significato nuovo – ed è invito di andare oltre .
Mi ha particolarmente toccato questa tua riflessione perché questa la mia recente esperienza trova uno specchio nel tuo racconto. Ti ringrazio! E ti saluto Maria
Per Maria: notevole, semplice e profondo.
RispondiEliminaInserito da Timor sul blog di Parvatim.
RispondiElimina“Chi guarda in uno specchio d’acqua, inizialmente vede la propria immagine. Chi guarda se stesso, rischia di incontrare se stesso. Lo specchio non lusinga, mostra diligentemente ciò che riflette, cioè quella faccia che non mostriamo mai al mondo perché la nascondiamo dietro il personaggio, la maschera dell’attore. Questa è la prima prova di coraggio nel percorso interiore. Una prova che basta a spaventare la maggior parte delle persone, perché l’incontro con se stessi appartiene a quelle cose spiacevoli che si evitano fino a quando si può proiettare il negativo sull’ambiente.”
Carl Gustav Jung