Siamo proiettati verso il futuro o chini sul passato: in questo modo non viviamo il presente. Emblematica di questa tensione spasmodica verso tempi migliori, è l'attesa del 2012, anno edenico che fa da pendant alla perduta età dell'oro.
In un capitolo non scevro di spunti, tratto dal saggio La civiltà contro l'uomo, Michele Vignodelli, [1] evidenzia l'alienazione dell'individuo che, incapace di vivere hic et nunc, si costruisce paradisi artificiali in tempi sempre di là da venire o irrevocabilmente smarriti. L'autore distingue tra la concezione-percezione del tempo come dimensione acronica, densa di esperienze e di vita, dalla concezione-percezione del tempo lineare, caratteristica dell'Ebraismo, del Cristianesimo, dell'Illuminismo e del Marxismo. Questi orientamenti culturali, pur differenti, definiscono un'immaginaria linea evolutiva suggellata da un fine desiderabile: sia l'avvento del Regno di Dio o l'apocatastasi o il trionfo della Ragione o la creazione di una società giusta e libera.
E' evidente il carattere in gran parte utopico di queste "visioni", volte a risarcire l’uomo di una condizione dolorosa ed imperfetta, promettendogli il Paradiso sulla Terra o in Cielo. L'analisi di Vignodelli è, in linea di massima, una rivisitazione di alcuni fondamenti nietzchiani. Il pensatore tedesco, infatti, era ostile alle religioni ed alle ideologie che consolano ed illudono l'individuo, facendo balenare il luccichio di future, ineffabili gioie, ma condannandolo all'angoscia, alla schiavitù etica ed all'inautenticità in questa vita. E' il luccichio di un monile di bigiotteria e non di una parure di diamanti. Tuttavia anche Nietszche, incapace di reperire nell'istante eterno il senso di un cosmo insensato, vagheggiava l'avvento dell'Oltreuomo.
La valorizzazione del presente, del tutto irrealizzabile per l'uomo contemporaneo (occidentale e non solo), ormai stritolato dalla ruota dentata del tempo, si rivela, alla fine, una forma di annichilimento. Se, infatti, si desidera vivere senza più l'assillo dei minuti, delle ore, degli anni che segmentano l'arco del Da-sein, è necessario immergersi nell'incoscienza in cui popoli preistorici e protostorici erano avvolti, un po' come gli animali che soffrono meno (?) dell'uomo perché non sanno di essere. E' evidente che la coscienza porta con sé il sentimento del tempo, a somiglianza di un asino costretto a girare attorno alla mola. Il senso del tempo porta dietro di sé il dolore, come ombra di un oggetto che nessuna tenebra può cancellare. Il ricordo del passato è sofferenza, l'attesa di un futuro migliore è sofferenza e logoramento: resta solo il presente che, pur nella sua infinitesimale piccolezza, è riempito di tanti e tali mali che la risoluzione non è vivere l'ora, ma tendere il più possibile verso l'oblio.
Che cos'è dunque questa celebrazione del presente senza tempo, se non un anelito ad un essere che confina con il non-essere, un ritorno al tranquillo nulla da cui, insieme con la consapevolezza di sé, sono affiorati il tormento e l'illusione-prigione del tempo?
Poiché gli opposti si toccano la magnifica epoca futura è dipinta sovente con gli stessi colori rutilanti e con le medesime linee armoniose con cui si tratteggiava la primigenia età dell'oro. Anche gli Aborigeni australiani favoleggiano di una mitica età del sogno, antecedente alla storia umana, durante la quale tutto era divino. Fino a pochi decenni fa, gli Aborigeni del Nuovissimo continente riuscivano a vivere in modo sereno, senza timore del futuro di cui non avevano alcuna nozione: ne era prova il fatto che il sistema verbale di questa etnia non contemplava alcuna scansione cronologica e che, quando un cacciatore catturava una preda, dopo essersi saziato, lasciava succulenti bocconi ai dinco, senza preoccuparsi di conservare qualche pezzo di carne per l'indomani. Non era imprevidenza, ma mancanza di cognizione dell'avvenire.
Come un velo, un velo avvolgente e protettivo, dovette essere visto il tempo dai popoli antichi. Le categorie temporali distinguevano tra azione puntuale ed azione durativa, conferendo al vissuto la qualità dell'istante assaporato o lo spessore della continuità. Solo, con il passare del... tempo, cominciarono ad essere codificate forme verbali come il futuro, schemi linguistici destinati a puntellare la Weltanschauung del Futuro perfetto, sempre imminente e sempre rinviato, come la Parousia.
La Rivelazione pare sempre prossima: l'oggi diviene una preparazione ad un mondo nuovo, l'oggi è la tortura che fortifica in vista del sollievo finale, quando si sarà "felici", guardando con distaccato orrore ad un passato orribile. In realtà questa promessa è chimerica: il futuro sarà solo un altro fuoco di paglia. I riti di iniziazione sono finiti. Accantonato anche il sogno di una vita intensa nel presente, rimane solo il sonno senza sogni.
[1] Non concordo con molte idee di Vignodelli, simili a quelle di Galimberti, ma qui alcune sue riflessioni si attagliano al discorso.
In un capitolo non scevro di spunti, tratto dal saggio La civiltà contro l'uomo, Michele Vignodelli, [1] evidenzia l'alienazione dell'individuo che, incapace di vivere hic et nunc, si costruisce paradisi artificiali in tempi sempre di là da venire o irrevocabilmente smarriti. L'autore distingue tra la concezione-percezione del tempo come dimensione acronica, densa di esperienze e di vita, dalla concezione-percezione del tempo lineare, caratteristica dell'Ebraismo, del Cristianesimo, dell'Illuminismo e del Marxismo. Questi orientamenti culturali, pur differenti, definiscono un'immaginaria linea evolutiva suggellata da un fine desiderabile: sia l'avvento del Regno di Dio o l'apocatastasi o il trionfo della Ragione o la creazione di una società giusta e libera.
E' evidente il carattere in gran parte utopico di queste "visioni", volte a risarcire l’uomo di una condizione dolorosa ed imperfetta, promettendogli il Paradiso sulla Terra o in Cielo. L'analisi di Vignodelli è, in linea di massima, una rivisitazione di alcuni fondamenti nietzchiani. Il pensatore tedesco, infatti, era ostile alle religioni ed alle ideologie che consolano ed illudono l'individuo, facendo balenare il luccichio di future, ineffabili gioie, ma condannandolo all'angoscia, alla schiavitù etica ed all'inautenticità in questa vita. E' il luccichio di un monile di bigiotteria e non di una parure di diamanti. Tuttavia anche Nietszche, incapace di reperire nell'istante eterno il senso di un cosmo insensato, vagheggiava l'avvento dell'Oltreuomo.
La valorizzazione del presente, del tutto irrealizzabile per l'uomo contemporaneo (occidentale e non solo), ormai stritolato dalla ruota dentata del tempo, si rivela, alla fine, una forma di annichilimento. Se, infatti, si desidera vivere senza più l'assillo dei minuti, delle ore, degli anni che segmentano l'arco del Da-sein, è necessario immergersi nell'incoscienza in cui popoli preistorici e protostorici erano avvolti, un po' come gli animali che soffrono meno (?) dell'uomo perché non sanno di essere. E' evidente che la coscienza porta con sé il sentimento del tempo, a somiglianza di un asino costretto a girare attorno alla mola. Il senso del tempo porta dietro di sé il dolore, come ombra di un oggetto che nessuna tenebra può cancellare. Il ricordo del passato è sofferenza, l'attesa di un futuro migliore è sofferenza e logoramento: resta solo il presente che, pur nella sua infinitesimale piccolezza, è riempito di tanti e tali mali che la risoluzione non è vivere l'ora, ma tendere il più possibile verso l'oblio.
Che cos'è dunque questa celebrazione del presente senza tempo, se non un anelito ad un essere che confina con il non-essere, un ritorno al tranquillo nulla da cui, insieme con la consapevolezza di sé, sono affiorati il tormento e l'illusione-prigione del tempo?
Poiché gli opposti si toccano la magnifica epoca futura è dipinta sovente con gli stessi colori rutilanti e con le medesime linee armoniose con cui si tratteggiava la primigenia età dell'oro. Anche gli Aborigeni australiani favoleggiano di una mitica età del sogno, antecedente alla storia umana, durante la quale tutto era divino. Fino a pochi decenni fa, gli Aborigeni del Nuovissimo continente riuscivano a vivere in modo sereno, senza timore del futuro di cui non avevano alcuna nozione: ne era prova il fatto che il sistema verbale di questa etnia non contemplava alcuna scansione cronologica e che, quando un cacciatore catturava una preda, dopo essersi saziato, lasciava succulenti bocconi ai dinco, senza preoccuparsi di conservare qualche pezzo di carne per l'indomani. Non era imprevidenza, ma mancanza di cognizione dell'avvenire.
Come un velo, un velo avvolgente e protettivo, dovette essere visto il tempo dai popoli antichi. Le categorie temporali distinguevano tra azione puntuale ed azione durativa, conferendo al vissuto la qualità dell'istante assaporato o lo spessore della continuità. Solo, con il passare del... tempo, cominciarono ad essere codificate forme verbali come il futuro, schemi linguistici destinati a puntellare la Weltanschauung del Futuro perfetto, sempre imminente e sempre rinviato, come la Parousia.
La Rivelazione pare sempre prossima: l'oggi diviene una preparazione ad un mondo nuovo, l'oggi è la tortura che fortifica in vista del sollievo finale, quando si sarà "felici", guardando con distaccato orrore ad un passato orribile. In realtà questa promessa è chimerica: il futuro sarà solo un altro fuoco di paglia. I riti di iniziazione sono finiti. Accantonato anche il sogno di una vita intensa nel presente, rimane solo il sonno senza sogni.
[1] Non concordo con molte idee di Vignodelli, simili a quelle di Galimberti, ma qui alcune sue riflessioni si attagliano al discorso.
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Zret ancora non lo vedi completamente ma stiamo diventando come dipinti di arcobaleno.
RispondiEliminaAttimi di godimento e di amore nascono da ogni nostro respiro e camminare. Ogni momento è una celebrazione e un'offerta all'Assoluto e agli infiniti cosmi fuori e dentro di noi.
Anche la paura,l'ansia e la tristezza si trasformano e possono essere digeriti attraverso la Presenza e la Forza dell'Amore.
Sii Presente amando ogni attimo e vedrai Dio all'opera.
Il velo si sta sollevando ed è un piacere infinito aver portato certe valige pesanti in seno all'Eternità
Un abbraccio
Timor, da quanto scrivi, si nota che sei persona evoluta e spirituale.
RispondiEliminaCerto che questi bagagli sono molto ponderosi...
Un abbraccio.
zret hai ragione.
RispondiEliminaNoi siamo in una epoca storica in cui cerchiamo di riscrivere il passato e di scrivere il futuro; la verita sta per esserci svelata. facendo questo noi facciamo fatica a vivere il presente ma come si fa a viverlo se non sai il passato, il passato ci serve per fare il futuro.
Sono sicuro che un giorno ci renderemo conto che questo presente che non siamo riusciti a vivere completamente ci sarà servito.
Questa è la mia opinione.
Enkidu, il passato potrebbe essere il nostro futuro e non dimenticherei che il tempo è solo uno schema mentale estraneo all'essenza.
RispondiEliminaCiao
Mi pare che l'aspirazione ad un mondo perfetto e ideale rientri nel funzionamento stesso della psiche umana. Scomodando le teorie di Jung potremmo affermare che tale tendenza rappresenta uno degli archetipi che regolano la nostra vita ineriore.
RispondiEliminaSe così non fosse non ritroveremmo lo stesso motivo mitico in persone che conferiscono a tale archetipo connotati religiosi ma anche in persone che lo rivestono di caratteristiche del tutto immanenti quali i marxisti e gli atei in genere.
Non bisogna però confondere, come mi pare tu stia facendo, popoli che vivono sì in una dimensione mitica prossima al sogno - ricordi appunto gli aborigeni dell'Australia - ma che si identificano al tempo stesso con razze decadute, schegge di mondi esplosi e affondati nell'Oceano in epoche remote. Rischi così di commettere lo stesso errore che fece l'antropologo Malinowsky - poi copiato da Wilhelm Reich - nel descrivere ed idealizzare le tribù dei Trobriandesi del Pacifico meridionale. Ribadisco: razze incommensurabilmente più sane di tutti i popoli civilizzati attuali ma ben lungi dal rappresentare l'uomo ideale, pienamente reintegrato nelle sue prerogative spirituali.
Il tuo bell'articolo suona poi quasi come una confessione, uno sfogo. E mi sembra di perecepire anche una sottile contraddizione in ciò che scrivi in questa occasione come in tante altre e cioè che il tuo animo si trova in bilico fra il bisogno di un sollievo, di una consolazione per la grama condizione umana nella quale siamo tutti immersi e al tempo stesso il rifiuto istintivo di questa eventualità.
Forse l'atteggiamento più consigliabile consiste nel non radicalizzare troppo l'aspirazione incontenibile, irrefrenabile a trovare a tutti i costi dei significati, nella speranza sempre frustrata di accedere alla Trascendenza. Una soluzione agli eterni problemi della condizione umana esiste secondo quanto ci hanno testimoniato coloro che hanno trasceso appunto le limitazioni della creatura finita, ma non è in nostro potere fruirne a piacimento.
Ho cercato di privilegiare una riflessione sulla percezione-concezione del tempo, senza idealizzare etnie "primitive".
RispondiEliminaCertamente l'anelito alla perfezione ed alla trascendenza è consustanziale alla natura umana sotto il profilo filogenetico, come dimostrato anche da un ateo come Nietzsche. Credo che tale aspirazione possa trovare un suo coronamento.
Alcune contraddizioni attraversano la riflessione, ma sono nato sotto il segno della contraddizione.
Ciao e grazie.
Vivere il momento,morire al passato,non proiettare alcun futuro.
RispondiEliminaIl tempo è la nostra percezione del movimento vitale.C'è un tempo interiore e un tempo esteriore.Tutto stà accadendo ora!
Ciao!
Claudiux, "Il tempo è l'immagine mobile dell'eternità", diceva Platone. Forse è una delle definizioni più calzanti.
RispondiEliminaCiao
e l'eternità è un'immagine immobile del tempo, ci avevi mai pensato?
RispondiEliminaL'eternità è simile al non-tempo, ma per noi è veramente difficile anche solo concepirla.
RispondiEliminaCome fai a dire che l'eternità è simile al nostro tempo?
RispondiEliminaNon puoi e non potrai mai saperlo...
Ciao
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è cosi forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
RispondiEliminaSecondo voi è davvero possibile un ritorno all'arcaico? All'innocenza animale dei popoli primitivi, o ad un eden senza tempo? Io credo di no..
Cosa succederebbe se l'angelo di Benjamin si voltasse?
Un amichevole saluto Zret, ti leggo sempre con piacere..
RispondiElimina:)
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