Singolare che il lungo, tortuoso percorso delle lingue indoeuropee sfoci in I, più che pronome di prima persona, figura araldica.
Osserviamo: il tratto verticale è veramente l'io, l'uomo che si pianta nel reale. E' un uomo-albero con un abbozzo di radici (la linea inferiore) ed uno di chioma (il breve segmento superiore). Profonda verità: l'uomo ha le radici che allignano nella Terra e l'intelligenza che scruta il Cielo. E' anche, come comprese Giovanni Pico della Mirandola, il dilemma tra l'ascensione verso una natura angelica o la caduta nella materialità. Questa esile linea evoca anche la cosciente, grandiosa fragilità che Blaise Pascal riconobbe nella condizione umana.
Così, nell'inglese, lingua ormai imbastardita e dura, a causa soprattutto della perdita della flessione, si isola questa orgogliosa colonnina (a volte troppo: non sarebbe preferibile scrivere il pronome con la minuscola, quando non è al principio di un enunciato?) che spezza lo spazio e, mentre cerca di sfiorare il firmamento, è irrigidita nell'ego, indurita in una concrezione che chiamiamo corpo. Non è certo in questo involucro l'identità né nella mente egocentrica: la vera identità è fluttuante, onda che si mesce ad altra onda, pietra permeabile. I pensieri provenienti dagli orizzonti del cosmo e dai recessi delle anime attraversano possibilità di esistenza che affiorano dal nulla per ritornarvi.
L'io emerge alla nascita, ma solo più tardi diventa ego, il cerchio chiuso in sé stesso, dimentico dell'inebriante. leggero essere in bilico sul non essere. L'identità, nella prima infanzia (sia filogenetica sia ontogenetica) è soggetto ed oggetto insieme, è percezione che percorre le dimensioni invisibili, vertigine tra gioia spaventevole ed insignificante dolore. E' una freccia che, una volta scoccata, colpisce differenti bersagli. Soprattutto è libertà dal Tempo, il padrone arcigno dell'esistenza. Per questo motivo difficilmente qualcuno di noi ricorda gli anni dell'iniziale puerizia: semmai assaporiamo ancora qualche acre sentore, ne sfioriamo superfici scabre o lisce, ma non riusciamo a rievocare per immagini, poiché la vista, senso astratto per eccellenza, era ottenebrata (quanto luminose erano quelle tenebre!) da sensazioni corpose, avvolgenti, umide di terra e calde di sole. Era il tempo dell'unità senza che ci si sentisse uno, della non dualità: la logica e la separazione sono i frutti amari della coscienza di sé, come alterità rispetto ad un mondo da cui siamo stati espulsi. Qui e lì, ieri ed oggi con la propaggine incerta del domani: la vita si di-vide, si esteriorizza e diventa ex-sistenza. La memoria crea l'illusione della persistenza, il carattere si forma scolpito o scheggiato, persino frantumato dagli eventi. Le esperienze si sedimentano per formare un sottile substrato che il futuro dilaverà, porterà via.
Osserviamo la I di I. E' il nostro essere filiforme divorato dallo spazio come in una longilinea scultura di Alberto Giacometti. La risposta è nell'accettazione: sparire non è annullamento, ma passaggio e ritorno al puro essere, al Sé. Non è condanna, ma quiete e liberazione.
Articolo correlato: Zret, T, 2009
Osserviamo: il tratto verticale è veramente l'io, l'uomo che si pianta nel reale. E' un uomo-albero con un abbozzo di radici (la linea inferiore) ed uno di chioma (il breve segmento superiore). Profonda verità: l'uomo ha le radici che allignano nella Terra e l'intelligenza che scruta il Cielo. E' anche, come comprese Giovanni Pico della Mirandola, il dilemma tra l'ascensione verso una natura angelica o la caduta nella materialità. Questa esile linea evoca anche la cosciente, grandiosa fragilità che Blaise Pascal riconobbe nella condizione umana.
Così, nell'inglese, lingua ormai imbastardita e dura, a causa soprattutto della perdita della flessione, si isola questa orgogliosa colonnina (a volte troppo: non sarebbe preferibile scrivere il pronome con la minuscola, quando non è al principio di un enunciato?) che spezza lo spazio e, mentre cerca di sfiorare il firmamento, è irrigidita nell'ego, indurita in una concrezione che chiamiamo corpo. Non è certo in questo involucro l'identità né nella mente egocentrica: la vera identità è fluttuante, onda che si mesce ad altra onda, pietra permeabile. I pensieri provenienti dagli orizzonti del cosmo e dai recessi delle anime attraversano possibilità di esistenza che affiorano dal nulla per ritornarvi.
L'io emerge alla nascita, ma solo più tardi diventa ego, il cerchio chiuso in sé stesso, dimentico dell'inebriante. leggero essere in bilico sul non essere. L'identità, nella prima infanzia (sia filogenetica sia ontogenetica) è soggetto ed oggetto insieme, è percezione che percorre le dimensioni invisibili, vertigine tra gioia spaventevole ed insignificante dolore. E' una freccia che, una volta scoccata, colpisce differenti bersagli. Soprattutto è libertà dal Tempo, il padrone arcigno dell'esistenza. Per questo motivo difficilmente qualcuno di noi ricorda gli anni dell'iniziale puerizia: semmai assaporiamo ancora qualche acre sentore, ne sfioriamo superfici scabre o lisce, ma non riusciamo a rievocare per immagini, poiché la vista, senso astratto per eccellenza, era ottenebrata (quanto luminose erano quelle tenebre!) da sensazioni corpose, avvolgenti, umide di terra e calde di sole. Era il tempo dell'unità senza che ci si sentisse uno, della non dualità: la logica e la separazione sono i frutti amari della coscienza di sé, come alterità rispetto ad un mondo da cui siamo stati espulsi. Qui e lì, ieri ed oggi con la propaggine incerta del domani: la vita si di-vide, si esteriorizza e diventa ex-sistenza. La memoria crea l'illusione della persistenza, il carattere si forma scolpito o scheggiato, persino frantumato dagli eventi. Le esperienze si sedimentano per formare un sottile substrato che il futuro dilaverà, porterà via.
Osserviamo la I di I. E' il nostro essere filiforme divorato dallo spazio come in una longilinea scultura di Alberto Giacometti. La risposta è nell'accettazione: sparire non è annullamento, ma passaggio e ritorno al puro essere, al Sé. Non è condanna, ma quiete e liberazione.
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ho paura di dire una cavolata, ma non c'è qualche affinità con il simbolo della croce? l'incontro tra verticalità che aspira al cielo e stabile orizzontalità, tutto a formare un incredibile equilibrio
RispondiEliminaMatteo, perché no? La croce unisce la Terra al Cielo. Anche la croce a Tau può assumere questo valore. La I è come un io smaterializzato.
RispondiEliminaCiao
condivido assolutamente...l'instabilità dell'attimo dovrà pur avere un fine! sono sempre più convinto che la chiave dell'essere risieda nell'ispirazione...perdona il mio commento di ieri, non intendevo essere pedante o avere la pretesa d'insegnare nulla...eppoi non potrei, sono un perfetto illetterato, al pari di coloro che appaiono magri ma magri non sono affatto, cui la giacca larga occulta la pancetta e i rotoli di ciccia...eppoi il cammino è tutto in salita e uno dovrà dimagrire per forza...la I di io...e la U di uomo? la U non ti pare l'imboccatura d'un pozzo o la forma d'un alambicco?...non dico provetta che mi rattristo
RispondiEliminaNon mi sento tuttavia di svilire completamente il cosidetto 'io empirico'. E' questo infatti una funzione psicologica fondamentale senza cui è impensabile una vita di relazione nella nostra dimensione.
RispondiEliminaE per giunta nemmeno questa Cenerentola che è l'io ordinario ci viene concessa gratuitamente. Molto spesso la sua stabilità - la cosiddetta 'cenestesi' - è da considerarsi una conquista non alla portata di tutti.
Pensiamo ad esempio all'io psicotico ed in particolare all'io disgregato che ritroviamo nella schizofrenia, condizione drammatica che riconosce una frammentazione del medesimo con tutto il disagio e la sofferenza psichica che ciò comporta. Sofferenza almeno in parte alleviata dagli psicofarmaci introdotti negli ultimi decenni.
Non dimentichiamo altresì che senza un io empirico più o meno stabile, più o meno centrato nei problemi dell'esistenza concreta, risulta vano il poter pensare a salti di qualità nella direzione di una palingeneesi della coscienza ordinaria.
Non sto ovviamente tessendo un panegirico di codesta 'folle du logis' e sono ben consapevole che la sua identificazione con l'Avversario risulta corretta, almeno nella misura in cui ci si trovi di fronte ad un io ipertrofico, enfatizzato, a quello condizione insomma che i Greci definivano 'hubris'. Situazione che tanto spesso ritroviamo nell'uomo occidentale odierno immerso nell'apparenza del divenire.
Ma, lo ripeto, l'io è una funzione indispensabile alla stessa stregua della cosiddetta razionalità.
Che poi il vero scopo dell'esistenza consista nel ricomprendere tale funzione nel vasto cerchio del Sè spirituale, beh su questo nessun intelletto sano potrebbe ribattere alcunchè.
Per dirla con Carl Gustav Jung, pensatore spesso prolisso e velleitario ma che tuttavia non mancava di attimi di vera grandezza intellettuale, si deve passare 'dall'anonimità inconscia dell'infanzia all'anonimità conscia rappresentata dalla maturità dello Spirito'.
@ Matteo
RispondiEliminaPersonalmente provo una profonda ambivalenza verso il simbolo della Croce, perchè come ogni simbolo non è univoco e ciascuna soggettività può vederci il riflesso del suo intendimento.
Nella croce vedo le facce di un cubo proiettate su un piano bidimensionale, pertanto mi ricordano la fissità e la stabilità dello Spirito inchiodato alla materia da sempre alchemicamente legata al concetto di quadrato, cubo e numero 4
A tal proposito è suggestivo il dipinto di Dalì denominato Corpus Hypercubus in cui Cristo è sospeso su una croce ipercubica
(it.wikipedia.org/wiki/Corpus_Hypercubus).
E' vero anche però che la Croce Solare o celtica dalle braccia uguali e racchiuse in un cerchio rappresenta per analogia la funzione solare di diffondere omnidirezinalmente i suoi raggi su infiniti piani ortogonali.
Questo impone una riflessione sulla simbologia del Cristo o di qualsiasi Forza archetipalmente legata al Sole che simbolicamente rappresenterebbe un'inconscia e collettiva consapevolezza della possibile purificazione e trasfigurazione della materia atta a diventare perfetto veicolo dello Spirito capace di utilizzare la forma per proiettare ovunque la sua energia creativa.
Pertanto in questo caso la croce rappresenterebbe in effetti il raggiungimento o la tensione verso l'unità fra Cielo e Terra, fra immanente e trascendente, fra spirito e materia, fra Dio e l'uomo
Per analogia si può osservare questa tensione anche nell'impossibilità geometrica definita la quadratura del cerchio.
Tornando alla Croce Solare si può osservare come essa ricordi anche a una ruota dove il centro fisso rappresenterebbe il Sè, l'Essenza, il Primo motore immobile da cui tutto diparte ruotandogli attorno.
Le braccia della Croce non sarebbero altro che i raggi in movimento che allontanandosi dal centro producono ciclicità via via sempre maggiori a cui, secondo la visione orientale, sono inchiodate tutte le creature immerse nel Samsara.
Eppure il vero movimento è spiraliforme e tendente all'infinito perchè la Ruota è in effetti una Svastica di emanazioni che ruotando attorno al proprio centro di fissità produce i sempre nuovi sogni del Sè realizzando l'agognata armonia degli opposti fra movimento e immobilità
@ Paolo concordo
L'Ego è un limite necessario e benefico. E' il custode del Palazzo dalle infinite stanze. Può scegliere di servire il suo Padrone investendo i suoi talenti, cioè conoscendo quanto più possibile di se stesso o può rimanere chiuso dentro a una stanza impaurito da ciò che potrà trovare nelle ali più recondite del palazzo.
L'io è l'intermediario che vigila sulla moltitudine schizofrenica delle proprie istanze psichiche lacerandosi nel gioco della polarità.
Siamo tutti schizofrenici, solo che la misura di una simile lacerazione frutto delle tensioni interne è inversamente proporzionale a due processi: la chiusura e l'accettazione.
Chi si chiude alle dinamiche del profondo attraverso la negazione potrà sicuramente realizzarsi quale funzionale individuo di una società qualsiasi ma sarà solo l'inevitabile riflessione più o meno consapevole del collettivo, nient'altro che una pecora in mezzo al gregge assuefatta a uno psichismo di massa.
Chi si apre rischia perchè è si accorge della natura paradossale e irriducibile della realtà e di essere una barca in mezzo a un oceano dove gigantesche forze archetipali sbattono violente contro i fragili limiti dell'io; come un novello Ulisse, che bada bene come Dante accompagnato da Virgilio è supportato dalla ragione e dall'intelligenza, sarà a volte supportato e servito da energie luminose che lo condurranno verso la meta per poi inevitabilmente essere abbandonato alle gelose forze del Caos che cercheranno di farlo ribaltare.
Il Sè è il faro, la stella polare che chiama l'io a Casa, alla risoluzione degli opposti in una perfetta armonia dei numerosi molteplici contrari.
Ciao
@ Zret rileggendo il tuo articolo sul Tau e l'Ankh mi accorgo di quanto sia risonante con il mio ultimo commento sull'aspetto polare della Croce.
RispondiEliminaMi stupisce sempre l'incredibile capacità dei simboli di riferirsi in maniera vera però non vincolante a più referenti
Grazie
Un grazie a Timor per i bellissimi commenti.
RispondiEliminaSei alquanto astratto e dalla mia condizione ti seguo con un pò di fatica. Comunque grazie.
Chiedo scusa per aver scritto riferendomi all'io - che è di genere maschile - 'la folle du logis'. Avrei dovuto scrivere: 'le fou du logis'. Errore da matita blu. Ma sono soltanto un artigiano e nulla più.
Molto pregnanti i commenti dei vari lettori (Giovanni, Paolo, Timor...)
RispondiEliminaIl testo che ho proposto vuole essere solo una descrizione immaginifica ed estetica (percettiva) sull'I, più che un'argomentazione che, invece, è stata elaborata, in maniera sapiente e da diverse sfaccettature, nelle glosse.
A proposito dell'io mi chiederei: si radica in una sub-stantia? E' mera illusione? Un fascio di sensazioni con una temporanea concretizzazione? Esiste l'anima? Che cos'è? Da quante anime è abitato il corpo?...
Sono quesiti posti in modo un po' grossolano, ma importanti.
Ciao a tutti e grazie.
Questa sera sono proprio ispirato e vorrei condividere le righe che ho scritto con tutti voi.
RispondiEliminaSecondo me l'anima esiste, una frazione di essere da inviare nelle regioni più lontane dall'Essere stesso in maniera che che non restino isolate. L'anima è un soldato dell'Essere, un fante in prima linea.
Adesso copio qui sotto le righe di cui parlavo sopra. Ciao!
Un evento festoso questo declino umano nei modi di fare e soprattutto di comprendere che perde .com e si trasforma in prendere.
Giù le mani pezzenti! Il piatto piange ma sono ricco e mi ci ficco.
A piene mani dalla cornucopia sempre più vuota e giù per il gargarozzo fino a che strozza.
La Grande Festa dei 20 in palestra a scaldare i muscoli e seminar tempesta. Belluini eleganti sorridono durante la rissa.
Spruzzano per bellezza il cielo con candidi veleni che velano l'Astro trasformando la Luce in giallastro.
Gli eserciti sciorinati in mille deserti e un gruppo di templari alla ricerca di una maggiore potenza che se li prenda stretti e se li porti nel nulla di un limite spezzato.
Addio nel vortice dell'ebbrezza che trascina e risucchia l'innocenza.
Appena nato il nuovo disordine ammaestra l'anima spogliandola di significato, ammalia e distoglie gli occhi da ogni forma di verità.
L'umano è spaccato tra coscienza e cecità, si muove ferito non vedendo la morte come libertà, si aggrappa al Nulla per sfuggire al Male quando basterebbe mortificare la Vanità.
Briskola
Denis, non so se l'anima esista. Credo di sì. Se esiste, però, a mio avviso, non è materiale, ma una scintilla di spirituale Luce primigenia proiettata ai confini della notte ed allora la tua metafora dell'anima-fante, in prima fila contro le legioni delle macchine divoratrici, mi convince.
RispondiEliminaInvece l'ego è legato al Male. Difficile stabilirne la funzione per me, ma è in netta contrapposizione con l'anima che aggredisce in continuazione con l'intento di metterla a tacere. Nonostante ego significhi io a volte sembra davvero estraneo all'individuo, sembra in guerra con questo come se lo volesse sopraffare.
RispondiEliminaDenis, forse non aveva torto Basilide quando affermava: "L'uomo è un accampamento di spiriti". Come notava Paolo, l'io empirico è mallevadore di equilibrio, anche se è un fragile equlibrio. Timor osservava che la chiusura è segno di inclusione nel sistema e nel suo schema di (non)pensiero, mentre l'apertura è viaggio ulissiaco.
RispondiEliminaCi attende Itaca?
Ciao e grazie.
RispondiEliminaL'ego lega.
RispondiEliminaoh si! l'ego lega, ma che non sia il collante vischioso su cui la metaforica farfalla luminosa che siamo non vada ad incollarsi le ali e soffocare l'aspirazione del suo salvifico volo...amici? compagni? sicuramente virtuali...stiamo certi che la follia è alle porte...rischiariamo le "nostre sale", che se accolta nell'oscurità non si presenti essa stessa buia ma sia luminosa...che il germoglio dell'anima senza "quest'acqua urente" non si ravviva e appassisce...
RispondiEliminaIl collasso è imminente, e l'uovo non accenna a schiudersi.
RispondiElimina"La follia è alle porte". Sì, ne sono convinto anch'io, Giovanni.
RispondiEliminaCiao