Per chi sa osservare il mondo riserva spesso delle inattese meraviglie. Negli interstizi dei marciapiedi, tra le crepe del cemento, in fenditure di muriccioli, fra polverosi selciati, anche nelle cementificate città crescono cespi di piante. Sovente sono graminacee selvatiche che, con i loro ciuffi, si protendono verso un po' di luce ed attendono qualche goccia di pioggia. Sono piante dagli steli sottili, sui cui zampettano le formiche, con infiorescenze dai colori tenui. Questa flora esibisce una bellezza modesta, quasi timida. Le tinte dei petali sono pallide: rosa, celeste, bianco con sfumature ora gialle ora verdi. Il verde dei gambi e dei sepali è sfumato di cinereo. A volte spicca l'oro di un tarassaco o il giallo limone di un'acetosella, ma dimensioni e colori sono di solito dimessi.
Se si avvicina lo sguardo, si scopre un universo fantastico: viticci simili a galassie, semi alati che vorticano, foglie striscianti come piccoli serpenti, getti a somiglianza di zampilli. I pistilli rabbrividiscono al soffio del vento come astri. Una vespa ronza, librandosi tra volte di corimbi, logge di fronde e rosoni di corolle.
Nella novella "Alberi cittadini", Luigi Pirandello, abituato a chinarsi sul mistero della sofferenza umana, non disdegna di riflettere sulla triste sorte che tocca agli alberi ed a queste piccole, ignorate oasi nell'asfalto, quando gli stradini passano a tagliare l'erba cresciuta ai bordi delle carreggiate.
L'autore, rivolgendosi agli alberi che, nelle nostre aride città, costeggiano in meste teorie i viali, con empatia scrive:
"Sotto le case innumerevoli che la schiacciano, sotto le selci calpestate di continuo dagli uomini irrequieti, ella vive, vive e voi sentite con le radici l'ardore di questa sua novella vita che non sa tenersi nascosta e schiuma quasi di tra le selci in tenui fili d'erba. Ah, voi forse, mirando quei verdi ciuffi timidi, concepite la folle speranza che la terra voglia far le vostre vendette, invader la città per riscattarvi; e vedete in sogno quei ciuffi crescere e la via diventare un prato e la città campagna!"
E' barbarie anche questo ronzio di decespugliatori, sferragliamento di cesoie, gemiti di seghe elettriche: erba falciata, chiome diradate, rami mutilati.
Non sorprende la noncuranza per queste torture in un mondo che, attratto da cadaveri tecnologici, è indifferente alla vita.
Se si avvicina lo sguardo, si scopre un universo fantastico: viticci simili a galassie, semi alati che vorticano, foglie striscianti come piccoli serpenti, getti a somiglianza di zampilli. I pistilli rabbrividiscono al soffio del vento come astri. Una vespa ronza, librandosi tra volte di corimbi, logge di fronde e rosoni di corolle.
Nella novella "Alberi cittadini", Luigi Pirandello, abituato a chinarsi sul mistero della sofferenza umana, non disdegna di riflettere sulla triste sorte che tocca agli alberi ed a queste piccole, ignorate oasi nell'asfalto, quando gli stradini passano a tagliare l'erba cresciuta ai bordi delle carreggiate.
L'autore, rivolgendosi agli alberi che, nelle nostre aride città, costeggiano in meste teorie i viali, con empatia scrive:
"Sotto le case innumerevoli che la schiacciano, sotto le selci calpestate di continuo dagli uomini irrequieti, ella vive, vive e voi sentite con le radici l'ardore di questa sua novella vita che non sa tenersi nascosta e schiuma quasi di tra le selci in tenui fili d'erba. Ah, voi forse, mirando quei verdi ciuffi timidi, concepite la folle speranza che la terra voglia far le vostre vendette, invader la città per riscattarvi; e vedete in sogno quei ciuffi crescere e la via diventare un prato e la città campagna!"
E' barbarie anche questo ronzio di decespugliatori, sferragliamento di cesoie, gemiti di seghe elettriche: erba falciata, chiome diradate, rami mutilati.
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Una scienza becera e prezzolabile, una politica liberticida e priva di principi, movimenti ecologisti riduzionisti . ambiente invece di natura, non è solo questione di semantica ma di ermeneutica - ci porta verso la negazione del bello e della vita. Tutto ciò che è elfico al mondo andrebbe rispettato, meglio, tributato un culto invece degli ecoparchi, della gita fuori porta e di Natgeo. La Natura è sacra e camerata dell'uomo. Ma l'uomo è saturo di tossine ideologiche e chimiche.
RispondiEliminaI tuoi pensieri sono alti forse troppo in tempi disperati, caro Zret, ma vivaddio che vi son persone così.
Angelo Ciccarella
Sono parole, gentilissimo Angelo, le tue che si possono solo sottoscrivere. L'inquinamento chimico e quello della coscienza vanno di pari passo sicché oggi vediamo la tabe diffusa dappertutto. Tuttavia alcuni spiragli di luce ancora brillano.
RispondiEliminaCiao e grazie.
La tua bella pagina di prosa descrittiva - che mi ricorda un pò Oscar Wilde - fa capire che non hai mai posseduto nè un orto nè tanto meno un giardino. Sì, è vero: anche certi fiori di campo possiedono un loro fascino discreto ed un pò segreto che sfugge alla mente distratta degli uomini d'oggi.
RispondiEliminaMa ovviamente trattasi pur sempre di eccezioni e nessuno mai si sognerebbe di decantare l'ammirevole forma della spiga del giavone o il delicato ed insignificante fiore della gramigna oppure i fiorellini delle campanule che tanto mi infastidiscono quando si avviluppano attorno alle mie rose.
Tieni conto che la chiave di volta per avere un bel giardino è rappresentata, fra gli altri accorgimenti, da generose potature e da ben aggiustati tagli di sega durante l'inverno.
Hai ragione: può anche sembrare prometeico usare cesoie, tagliaerba, forbici, decespugliatori e quant'altro ma non esistono alternative e se ti piace un bel giardino devi darti ahimè da fare.
Ne sanno qualcosa i miei poveri muscoli da intellettuale. Nessuna poesia nella fatica e nel sudore, nessun brivido intellettuale e diverse ore rubate ad altre occupazioni che mi piacerebbero assai di più.
Di erbacce anche vagamente simpatiche ne strappo a volontà e spesso, quando lo faccio, mi tornano alla mente le frasi di quell'autore spirituale il quale affermava che al momento del giudizio post-mortem la nostra anima sarà accusata da tutti gli esseri senzienti cui il suo possessore ha tolto l'esistenza, persino dagli esili steli d'erba.
Ebbene, me ne assumo sin d'ora tutta la responsabilità.
Italo Calvino, autore che non apprezzo molto, in un testo non disprezzabile contenuto in Palomar nota come, alla fine, l'idea di un prato senza erbacce sia un'idea-limite: quali sono erbacce e quali no?
RispondiEliminaCertamente, Paolo, quanto scrivi è vero ed implicherebbe una riflessione sul rapporto tra natura e cultura, tra natura selvatica e natura antropizzata. Il problema è che nelle nostre tetre città, la potatura è selvaggia ed interventi di manutenzione del verde preludono quasi sempre a sradicamento di alberi ed a mostruose cementificazione di prati e giardini. "Hanno fatto una desolazione e l'hanno chiamata città", si potrebbe concludere parafrasando un celebre apoftegma di Tacito.
Ciao e grazie.