20 agosto, 2009

Ironia

L'esistenza (quella empirica, ordinaria) è confinata in questo spazio angusto tra la nascita e la morte e dobbiamo ammettere che, per quanto ci affanniamo, sono pochissime le risposte sovente provvisorie che troviamo. Non credo a chi afferma di non essersi mai posto quesiti fondamentali nel corso della sua vita: davvero mai si è posto il problema di quale sia il senso e di che cosa ci attenda dopo la morte? Anche gli agnostici, se non sono dei perfetti bruti, un giorno o l'altro si troveranno al cospetto della Sfinge. Vero è che la Sfinge resta muta ed imperscrutabile, ma è nella natura umana la ricerca. Qualcuno, cercando, scoprirà un disegno superiore, per giunta un ordine provvidenziale; qualcun altro concluderà che il creato e la vita sono frutto del caso. Per quanto mi riguarda, penso che una logica debba essere sottesa alla "storia" dell'universo dall'origine sino al suo fine (uso questo termine in modo ambivalente), ma sono lontano dalle posizioni di chi pretende di spiegare l'intera realtà, magari ricorrendo a formule matematiche o esibendo la bellezza delle geometrie naturali.

Siamo seri: non si tratta di essere pessimisti o disfattisti. Credo, però, che, se un uomo di cultura tentasse di dimostrare ad un clochard semiassiderato, affamato e febbricitante, che la "vita è meravigliosa", poiché in ogni dove si può rintracciare la serie di Fibonacci, lo sventurato lo prenderebbe a botte ed a ragione. E' un po' come se un povero che non mangia da giorni fosse invitato da un ricco anfitrione nella sua principesca villa. Invece di offrire un pasto all'indigente, l'ospite compiaciuto gli mostra preziosi affreschi che adornano le pareti e le volte della magione. Nel biblico Libro di Giobbe, Dio, di fronte all’atroce esperienza del dolore, è soltanto capace di additare allo sventurato Giobbe le sue magnifiche invenzioni: “Che delusione –chiosa Claudel– l’Architetto orgoglioso ci porta su e giù per le sue costruzioni”.

Nessuna teodicea potrà essere del tutto esauriente e credibile: resta una penombra, in cui, come fremiti di una tenda scossa dal vento, si agitano dubbi ed inquietudini. Per questo motivo rifuggo dalla verità preconfezionate e dalle fedi tetragone, pur senza rigettare a priori interpretazioni, fossero pure eccentriche. Anzi le letture eterodosse spesso si accostano maggiormente al cuore delle questioni essenziali, a somiglianza di dardi che colpiscono il bersaglio, nonostante o grazie ad una traiettoria un po' irregolare. Si confida in una palingenesi, ma dobbiamo essere talmente umili da non escludere la possibilità che alcune speranze siano illusorie.

In fondo, la condizione umana è ironica: infatti l'uomo interroga fingendo di non sapere.[1] L'essere umano finge di non sapere che difficilmente troverà delle risposte soddisfacenti, eppure caparbio continua la sua estenuante queste. L'ironia è anche romantica, intesa come coscienza del divario tra reale ed ideale. L'ideale, simile ad una stella radiosa ma inattingibile, splende nel firmamento della Verità. Quanti astri, però, che ammiriamo nella notte, sono già spenti! Così, dobbiamo accontentarci di fioche ombre, di echi esangui, provenienti da abissi siderali.

La realtà sfugge a qualsiasi tentativo di definizione. Giochiamo a nascondino con il mondo che ora si appiatta ora si affaccia da dietro una cantonata. E' un gioco a volte divertente, talora sfiancante e crudele. Eraclìto l'oscuro aveva colto il carattere ambiguo, faceto e ludico del Tempo, quando scrisse: "Il tempo è un fanciullo che gioca spostando i dadi".

Questo suo aforisma si potrebbe applicare pure all'universo ed a Dio, un fanciullo che costruisce fantastici castelli di sabbia sulla riva del silenzio.


[1] Il termine "ironia" discende dal verbo greco "eiro" che significa anche "interrogare, fingendo di non sapere".



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