09 dicembre, 2009

"Il Maestro e Margherita": una questione di prospettiva

"Il maestro e Margherita" è il celebre romanzo di Mikhail Bulgakov (Kiev, 1891 - Mosca, 1940) cui l'autore dedicò gli anni dal 1929 alla morte. Pubblicata postuma nel 1966, l'opera si presta a numerose chiavi di lettura su cui i critici hanno a lungo disquisito, ma l'aspetto che mi pare più significativo è l'inusuale angolazione da cui sono osservate le vicende ed il mondo. Veramente, cambiando la prospettiva, muta anche la percezione del reale. La protagonista del romanzo è l'avvenente Margherita che, dopo essersi spalmata con un unguento portentoso, diventa una strega: la sua dimensione è il cielo notturno, allagato dal chiarore del plenilunio, screziata con il fogliame lacrimoso dei tigli. Anche le macrosequenze dedicate a Pilato ed alla sua tormentata esistenza si qualificano nella vertiginosa verticalità del firmamento in cui il sole cocente dardeggia schegge accecanti e dove rotola cupo il tuono tra drappi di nere nubi. In una faticosa anabasi sembrano dipanarsi le peripezie del Maestro, lo scrittore, il cui talento è misconosciuto dai critici ottusi e conformisti dell'establishment.

La risoluzione dei suoi problemi si trova nella morte: la morte come vittoria ed ancora prospettiva distanziante rispetto all'ima terra. Ascesa ed ascesi. "Oh numi, numi! Com'è triste la terra di sera! Come sono misteriose le nebbie sopra le paludi! Chi ha vagato in queste nebbie, chi ha molto sofferto prima di morire, chi ha volato sopra la terra, portando su di sé un impari peso, lo sa. Lo sa chi è stanco e senza rimpianto abbandona le nebbie della terra, le sue piccole paludi, i fiumi e si consegna con cuore leggero nelle mani della morte, sapendo che solo lei può dargli pace." Qui le brume e le paludi evocano le stagnanti convenzioni della società profana.

Le pagine più dense sono le descrizioni dei voli (reali e fantastici), intesi come trasgressione, fuga e tragitto finale verso la pace e la luce. Le parti più emozionanti sono percorse dal brivido dell'altezza: si pensi all'inquadratura di Pilato che, nella sua grandiosa solitudine, sogna il colloquio con il Nazareno. Si instaura una dialettica tra l'alto, la sfera della trascendenza tramata di selenici arabeschi, ed il basso, il luogo dove prevalgono le bassezze umane. Non è tanto, però, antitesi tra Bene e male, poiché è in un'umida cantina che vivono la loro dolente e romantica storia d'amore il maestro e Margherita, quanto la consapevolezza che la vita umana è insufficiente se priva di tensioni ideali, di slanci.

D'altronde anche i personaggi malefici (in verità "gastaldi di Dio"), ossia Woland ed i suoi stralunati accoliti, non sono estranei all'altezza, benché il loro carattere negativo (ma di una negatività non assoluta, più picaresca che miltoniana) si coaguli nelle tenebre morse da fulmini serpentiformi.

Sono così queste sequenze turbinose e, per così dire, "a piombo" che riscattano i capitoli corali e caotici, affollati di macchiette e di aneddoti, ambientati nella grigia Mosca sotto Stalin. Sono unità che stridono un po' con la tragedia di Pilato e l'elegia del Maestro, veri attori di un dramma che si consuma nell'attesa della fine.

'Ascolta il silenzio - diceva Margherita al maestro e la sabbia frusciava sotto i suoi piedi nudi - ascolta ed inebriati di ciò che in vita non ti è mai stato concesso, la quiete. Guarda là, davanti a te, l'eterna dimora che ti è stata concessa in premio. Io già scorgo una finestra a trifora e la vite che s'involge e sale fino al tetto. Ecco la tua casa, per l'eternità...'

"Così diceva Margherita, camminando con il maestro verso il loro rifugio eterno ed al maestro sembrava che le parole scorressero come scorreva e mormorava il ruscello che si erano lasciati alle spalle e la memoria del maestro, la inquieta, martoriata memoria cominciò a spegnersi."

Nella conclusione si spegne anche lo spirito di rivalsa. L'epilogo può essere finalmente l'inizio... della vita.



APOCALISSI ALIENE: il libro

5 commenti:

  1. Tutto sta a vedere se la morte fisica sia in grado di risolvere qualcosa oppure no. Trattasi forse di un pregiudizio assai comune presente sotto certi aspetti nella cultura popolare e del quale poi si sono appropriati gli spiritisti ed i neo-spiritualisti.

    Ma se uno è prigioniero del mentale in questo mondo, non mi stupirei se lo fosse anche nelle dimensioni oltre il velo. E allora dove sta la vittoria su questo vero e proprio drago che ci ha imbrigliati da tempo immemorabile togliendoci la libertà dello Spirito?
    Purtroppo non so rispondere.

    E dunque se, nonostante una vita più o meno lunga spesa su questa Terra, non si sia concluso un bel nulla da un punto di vista spirituale, in definitiva a che cosa è servita tale esistenza?
    Non saprei.Parlo ovviamente come uno che ha sempre cercato di sintonizzarsi sulla Via, ma la stragrande maggioranza nemmeno sa che esiste una Via.

    Può darsi che i problemi vengano rimandati di poco o anche di molto ma, così dicendo, mi sto ispirando al mio buon senso.

    Non è però detto che il mio od il tuo buon senso siano in armonia o riflettano quello che in realtà è il Dharma universale.

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  2. Paolo, se si perde la speranza che la morte sia una risoluzione, è veramente grama. Nondimeno, è possibile che la fine dell'esistenza fisica significhi soltanto la prosecuzione del samsara in altri piani di esistenza o in altri involucri.

    Tutto sommato, le concezioni di Epicuro sono consolanti, benché ci si ponga i seguenti quesiti: perché si nasce e perché si vive, se poi si sprofonda nel nulla? Le risposte soffiano nel vento.

    E' evidente che Bulgakov volle offrire un appiglio tutto letterario, fittizio. La letteratura non è la realtà, ma aiuta a sopportarla.

    Ciao e grazie.

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  3. "..ascolta ed inebriati di ciò che in vita non ti è mai stato concesso, la quiete. Guarda là, davanti a te, l'eterna dimora che ti è stata concessa in premio."

    La letteratura non è la realtà, ma aiuta a sopportarla.

    Sì, Zret...

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  4. Su questo argomento ci sarebbe molto da dire ... ma senza spingersi molto in filosofie sulla vita e sul bardo della morte, è giusto e doveroso soffermarsi su alcune riflessioni, ad esempio su quella che ha menzionato Paolo: "ma la stragrande maggioranza nemmeno sa che esiste una Via".

    In questo contesto vorrei aggiungere, che non solo vi è chi non si pone l'esistenza di una via, ma è davanti ai nostri occhi ormai non più capaci di vedere, che alcune umanità sofferenti conoscano solo la tribulazione del freddo e della fame, della sete, e poco sanno di filosofia, teosofia, religione, antropologia, conoscono solo il primo principio della vita stessa che è quello della sopravvivenza, la ricerca della cosa più semplice per tutti gli esseri viventi, che è la quella di procurarsi del cibo e dell'acqua e di proteggersi dalle intemperie e dalle calamità che la natura versa inesorabilmente su di loro.

    Riconoscendo tutto questo all'ottanta percento del mondo dei viventi più "sfortunati", la domanda sul bardo della vita e della morte, fa fatica a salire in quel venti percento del mondo occidentale ed opulento; credo che una giusta riflessione sia d'obbligo, sia sulla religiosità ipocrita, e spiritualità anelata.

    Dice "Brihad Aranyaka Upanishad": Colui che lascia questo mondo senza conoscere il suo Sé interiore ha condotto una vita senza significato, non ha vissuto affatto la sua vita.

    Chi può veramente dire di aver vissuto una vita con significato? E .. ancora chi veramente conosce il suo Sé? Senza prima avere provato la compassione per tutti gli esserei viventi?

    Chiudere gli occhi ... risvegliare in tutti noi un altro potere di visione, credo sia un diritto di nascita per tutti, ma che ben pochi usano.

    Con stima e simpatia, wlady

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  5. Wlady, giustamente sottolinei le riflessioni di Paolo sulla Via. Che cos'è il Sé interiore, se non una scintilla divina? Ma in quanti risplende, per quanto ottenebrata da spessi drappi di materialità, questa favilla? Siamo certi che tutti gli uomini sono uguali?
    Benissimo fai ad evidenziare che occorre la com-passione per tutti gli esseri viventi, ma i bodhisattava sono pochissimi e, al massimo, nel nostro mondo materialista e spoglio, troviamo religioni antropocentriche ed egoiche.

    Sono lieto, Cleonice, che tu abbia isolato questa frase: "La letteratura non è la realtà, ma aiuta a sopportarla". E' più importante dell'intero articolo.

    Grazie ad entrambi.

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