19 giugno, 2010

La linea

Accade all'improvviso. Percorriamo una strada consueta e di colpo, come un bandito che aggredisce un viandante nella notte, un ricordo d'infanzia ci ghermisce, schiantandoci a terra. E' una memoria che credevamo sepolta, ma, per un ignoto interstizio, si è insinuata nel presente. Così, il luogo si trasfigura e riprende le sembianze di un tempo lontano, quando, salendo quella scalinata si attutivano un po' alla volta, i rumori del traffico ed il cinguettio dei pettirossi si impigliava tra le fronde della magnolia.

I luoghi sono impregnati di energie, impastati di vita: sprigionano dolci sensazioni simili al profumo che esala da campi di lavanda o gli aspri sentori del muschio. E' così che i luoghi ci appartengono e che noi apparteniamo a loro, come se, strato dopo strato, vi si fossero sedimentati i pensieri, le emozioni le esperienze di chi li attraversa.

E' nel profilo degli alberi e degli edifici che leggiamo le lettere di un alfabeto metafisico. E' in quella linea sinuosa di azzurro tra la chioma della magnolia che scorgiamo la vena del destino: quella linea, inarcata a guisa di domanda, è la fenditura nel silenzio di Dio, la faglia tra terra e cielo, il crepaccio oltre il quale non sappiamo se s'inabissi l'inferno o si slarghi il quieto lago del firmamento.

Quella linea è il fiume in cui scorre la vita e dove s'ingorga la morte. La direzione verso la salvezza o la perdizione? E' il contorno di un disegno infinito di cui vediamo solo un particolare, l'indecifrabile abbozzo di parola che il naufrago, prima di morire, traccia su un tronco di palma. Deve esistere un senso, anche se nascosto, pur se incapsulato negli errori, nel dolore, nella dispersione e nella fine...

Di botto il ricordo dilegua: un po' barcollanti dopo l'assalto del passato, si riprende il cammino.



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