Scrive Blaise Pascal: "Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati dal passato e dall'avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente o, se ci pensiamo, è solo per prenderne lume al fine di predisporre l'avvenire. Il presente non è mai il nostro fine; il passato ed il presente sono i nostri mezzi; solo il futuro è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere e, preparandoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non siamo mai tali." (Pascal, Pensieri)
Lo scienziato e filosofo francese mette a nudo la condizione umana, anticipando le analisi degli esistenzialisti. Egli ci mostra il carattere illusorio del presente, attimo inattingibile, nonché la logorante oscillazione del pensiero tra passato e futuro. Di fronte ad una così lucida constatazione, sembrano sgretolarsi tutte le esortazioni a vivere l'ora. In verità, non si tratta di vivere l'adesso che non esiste, ma di trascendere il tempo, vera condanna per l'uomo, che è come schiacciato da una ruota dentata.
La felicità, dissanguata nel rimpianto o frantumata nell'attesa, è un miraggio, la curva che si avvicina all’infinito all’asintoto, senza mai toccarlo. Le ore si consumano tra la noia e l'inquietudine. Nel vuoto del tedio ribollono i pensieri più tormentosi. Tra le spine del dolore si lacerano le speranze. Perché tutto questo? Perché manca sempre qualcosa: l'appiglio, l'approdo, il senso, il fondamento... Perché avviene questo? Perché l'esistenza non è la vita e l'esistenza è insufficienza.
Lo scienziato e filosofo francese mette a nudo la condizione umana, anticipando le analisi degli esistenzialisti. Egli ci mostra il carattere illusorio del presente, attimo inattingibile, nonché la logorante oscillazione del pensiero tra passato e futuro. Di fronte ad una così lucida constatazione, sembrano sgretolarsi tutte le esortazioni a vivere l'ora. In verità, non si tratta di vivere l'adesso che non esiste, ma di trascendere il tempo, vera condanna per l'uomo, che è come schiacciato da una ruota dentata.
La felicità, dissanguata nel rimpianto o frantumata nell'attesa, è un miraggio, la curva che si avvicina all’infinito all’asintoto, senza mai toccarlo. Le ore si consumano tra la noia e l'inquietudine. Nel vuoto del tedio ribollono i pensieri più tormentosi. Tra le spine del dolore si lacerano le speranze. Perché tutto questo? Perché manca sempre qualcosa: l'appiglio, l'approdo, il senso, il fondamento... Perché avviene questo? Perché l'esistenza non è la vita e l'esistenza è insufficienza.
Ciao Zret, rimango sempre un pò irrigidito quando sferri queste lamate;ed ovviamente lo penso e scrivo in senso positivo.Insufficienza potrebbe coincidere con smarrimento...mi piacerebbe capire da cosa. E' tristemente possibile che, per me come per milioni di esseri umani, capire,usato in questi termini, possa coincidere con "non volere udire".Stai bene. Rob
RispondiEliminaCiao Rob, l'esistenza come "essere gettati" diventa vita, solo se si apre verso il senso e se si sviluppa in una prospettiva che abbraccia gli universi. Pascal ci ammonisce a superare il cerchio del tempo per gettare uno sguardo sull'oceano dell'eterno. Ci riusciremo?
RispondiEliminaCiao e grazie.
Giacomo Leopardi, nello Zibaldone ci raccontava questo:
RispondiEliminaLa maggior parte degli uomini in ultima analisi non ama e non brama di vivere se non per vivere. L'oggetto reale della vita è la vita e lo strascinare con gran fatica su e giù per una medesima strada un carro pesantissimo e vuoto.
Anche Arthur Schopenhauer, aveva un suo pensiero della vita:
La brevità della vita, tanto spesso lamentata, potrebbe forse essere quel che la vita ha di meglio.
Per quello che riguarda il mio pensiero mi sembra di averlo espresso nel post precedente che qui riporto in parte:
"Credo che ogni persona abbia le sue verità, o almeno vuole crederci, siamo così effimeri che a volte non ne vale proprio la pena di affannarci, ci rimane solo la ricerca spasmodica di cosa siamo da dove arriviamo e dove andremo, naturalmente per il tempo che ci è concesso di rimanere qui in questa dimensione.
La vita non la viviamo perché la subiamo, siamo nati per un atto d'amore (dicono) ma in verità se analizziamo attentamente quell'atto, ci rendiamo conto che di quell'atto c'è solo un grosso egoismo legato al piacere e alla paura della morte stessa.
wlady
La ricerca della felicità ti può logorare, se uno si accontenta di ciò che ha, di ciò che gli accade, riesce a vivere sereno, forse non sarà mai veramente felice, ma chi è l'uomo che può definirsi felice? L'unico modo per perseguire la felicità è la katarsi più profonda, che di certo non è alla portata di tutti. Direi che la serenità spirituale ed intellettuale è già un buon obbiettivo, forse più a portata di mano.
RispondiEliminaContentezza, felicità, serenità, beatitudine: questa mi pare la climax, ma sono condizioni (le ultime due in particolar modo) su cui si può solo elucubrare, perché pochissimi sono coloro che hanno esperito quegli stati.
RispondiEliminaIl tetro, lunatico Schopenauer affermò che Seneca commise un errore soatanziale, quando scrisse il De via beata, perché la vita non può essere felice. Concordare? Dissentire? Ognuno risponderà come ritiene opportuno.
Ubi est?
Wlady, hai esposto delle riflessioni piuttosto amare e disincantate: qui non importa condividerle o no, ma dimostrare l'onestà intellettuale nell'evidenziare le contraddizioni dell'esistenza, senza nascondersi dietro infingimenti ed ideologie banalmente compensatorie. E'un'onestà che, come sempre, palesi.
RispondiEliminaCiao e grazie.
"conditio sine qua non", grazia del cielo.
RispondiEliminail tempo;sudiciume,lordura,grasso,gravita della vita, momento,continua specificità dell'essere,neccessaria consolazione,amara e gioiosa consuetudine,piatto prelibato,tavola inbandita, gloria del cielo......
dolce abbandono, perche mi lasciasti..?
mio sposo..,mia sposa..,madre e sorella mia.
mia principessa e mia regina.
...pazzia, follia...!
RispondiEliminaun abbraccio, anto-az.
Pascal aveva ragione e torto al tempo stesso. Nelle considerazioni riportate all'inizio del post, il filosofo francese si duole del fatto che gli esseri umani sono incapaci di vivere... nell'Eterno Presente.
RispondiEliminaAmici, scusate se è poco! Egli aveva individuato forse autonomamente qual'è il problema fondamentale della coscienza dell'uomo: trascendere all'interno di essa i limiti temporali e abolire in tal modo sia il rimpianto del passato che il desiderio di un futuro sempre o quasi sempre immaginato come migliore del presente.
Vivere nell'Eterno Presente vuol dire essere giunti al vertice del processo di palingenesi o metanoia intrapreso dall'asceta.
Chi può dire di essere arrivato a tanto? Forse uno su ogni miliardo di bipedi che calcano il pianeta Terra?
Pascal non avrebbe dovuto esigere una così radicale presa di coscienza da parte dei suoi simili. Il velo di Maya è un dato negativo senz'altro ma riveste al tempo stesso una funzione di utilità per la stragrande maggioranza delle anime.
Forse possiamo considerare tale strumento creato dalla coscienza come uno schermo ovvero come una rete di protezione nei confronti di una conoscenza che sarebbe devastante se non mortale per chi non ha le carte in regola, vale a dire la giusta preparazione per affrontarla.
Mi sovviene a tal proposito l'esempio di Cambise che volle a tutti costi ricevere l'Iniziazione dai sacerdoti di Osiride. Fu accontentato ma poi fuggì pazzo nel deserto per colà morire.
Anto-az, nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae fuit.
RispondiEliminaPaolo, è per quello che i miti sulla conoscenza sono spesso miti di morte.
Ciao e grazie.