Pubblico un pregevole articolo del Professor Francesco Lamendola. Il lavoro, trascelto nell'amplissimo e cospicuo novero dei suoi studi, inerisce alla teoria dei colori elaborata da Johann Wolfgang Goethe. L'autore, nell'illustrare il tema, sottolinea la dicotomia tra la scienza accademica e la conoscenza poetica di cui fu interprete l'inclito intellettuale tedesco. La piega che ha preso la ricerca scientifica è alla radice di molti mali che affliggono l'umanità: vi soggiace una razionalità profondamente irrazionale il cui apogeo è la follia battezzata "operazione scie chimiche". A proposito di colori, non è fortuito se, in questi ultimi lustri, siamo stati privati dell'azzurro, la frequenza (per usare un termine settoriale) che non solo è sintonizzata con il D.N.A., la macromolecola della vita, ma che è pure la tinta spirituale per eccellenza. Sul "colore" e sul "cielo", lessemi che hanno la medesima radice, si potrebbe indugiare a lungo, risaltandone le caratteristiche fisiche, accanto ai significati simbolici ed esoterici. Il discorso a proposito dei valori cromatici ci porta ad interrogarci sull'occhio: davvero questo meraviglioso organo è solo il frutto di un'evoluzione casuale o non è forse la manifestazione di un misterioso disegno? Spesso ci chiediamo perché non avvengano miracoli: eppure spalancare gli occhi ed ammirare la tavolozza dell'arcobaleno è un miracolo. Purtroppo non tutti possono vedersi compiere questo prodigio...
Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) è stato giustamente definito come l’ultimo genio rinascimentale: non solo grande poeta, ma pittore, scienziato, pensatore. Un lato dei suoi interessi culturali e scientifici, che gli illuministi, i positivisti e i loro attuali eredi non gli hanno mai potuto perdonare, è quello rivolto al mistero e al soprannaturale; fra le altre cose, egli si accostò con sincero interesse alle dottrine mistiche di Emanuel Swedenborg, dileggiato – invece - da filosofi come Kant: segno di una indipendenza di giudizio e di una apertura sul reale a trecentosessanta gradi, insofferente di ogni moda e di ogni pregiudizio.
Goethe fu anche autore di opere scientifiche, che già ai suoi tempi incontrarono perplessità e incomprensioni e che, a tutt’oggi, rimangono pressoché ignorate dal grande pubblico, se non come documenti di una personalità indubbiamente ricchissima, ma in certo qual modo anacronistica; solo i suoi biografi si sono presi la briga di studiarle, a parte dagli antroposofi che, sulle orme di Rudolf Steiner, ne hanno fatto una componente essenziale delle loro concezioni cosmologiche, psicologiche e pedagogiche.
Gli interessi scientifici di Goethe andavano dalla botanica, alla mineralogia, alla fisica; ma è nel campo dell’ottica che egli diede il meglio di sé, scrivendo, in polemica contro Newton, quella «Teoria dei colori» («Zur Farbenleher»), che, pubblicata a Tubinga nel 1810, avrebbe dovuto consacrare, nelle sue intenzioni, un nuovo modo di intendere non solo l’ottica e la fisica, ma la scienza in generale; e che, invece, non scosse affatto l’establishment scientifico del tempo, né, tanto meno, come si è detto, quello a noi contemporaneo.
In che cosa consiste la novità della concezione scientifica di Goethe? Nel fatto che, in opposizione al modello dominante della cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo, per essa il compito della conoscenza non è quello di conquistare e soggiogare la natura ai voleri dell’uomo (secondo la famigerata formula baconiana «sapere è potere»), bensì di ascoltarla amorevolmente, di porsi in sintonia con essa e di ritrovare, attraverso la meditazione su di essa, la via perduta dell’unità con tutte le cose (e qui traspare un certo influsso non solo delle teorie di Swedenborg, ma anche del panteismo di Spinoza).
La polemica antinewtoniana sulla natura della luce e dei colori non è che un caso esemplare di questa nuova concezione goethiana delle finalità e della stessa essenza del sapere scientifico: perché, per Goethe, il colore non è semplicemente una manifestazione della luce, che l’osservatore riceva passivamente, ma anche un'elaborazione dell’occhio e, quindi, della mente. Fenomeno attivo e non solo passivo, di cui entrano a far parte la psicologia, la simbologia, la spiritualità; ed è quasi inutile evidenziare come in tale concezione vi sia, «in nuce», anche l’approccio cromoterapico alla malattia, non a caso esso pure bandito dal filone principale della scienza accademica contemporanea.
L'articolo continua qui.
Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) è stato giustamente definito come l’ultimo genio rinascimentale: non solo grande poeta, ma pittore, scienziato, pensatore. Un lato dei suoi interessi culturali e scientifici, che gli illuministi, i positivisti e i loro attuali eredi non gli hanno mai potuto perdonare, è quello rivolto al mistero e al soprannaturale; fra le altre cose, egli si accostò con sincero interesse alle dottrine mistiche di Emanuel Swedenborg, dileggiato – invece - da filosofi come Kant: segno di una indipendenza di giudizio e di una apertura sul reale a trecentosessanta gradi, insofferente di ogni moda e di ogni pregiudizio.
Goethe fu anche autore di opere scientifiche, che già ai suoi tempi incontrarono perplessità e incomprensioni e che, a tutt’oggi, rimangono pressoché ignorate dal grande pubblico, se non come documenti di una personalità indubbiamente ricchissima, ma in certo qual modo anacronistica; solo i suoi biografi si sono presi la briga di studiarle, a parte dagli antroposofi che, sulle orme di Rudolf Steiner, ne hanno fatto una componente essenziale delle loro concezioni cosmologiche, psicologiche e pedagogiche.
Gli interessi scientifici di Goethe andavano dalla botanica, alla mineralogia, alla fisica; ma è nel campo dell’ottica che egli diede il meglio di sé, scrivendo, in polemica contro Newton, quella «Teoria dei colori» («Zur Farbenleher»), che, pubblicata a Tubinga nel 1810, avrebbe dovuto consacrare, nelle sue intenzioni, un nuovo modo di intendere non solo l’ottica e la fisica, ma la scienza in generale; e che, invece, non scosse affatto l’establishment scientifico del tempo, né, tanto meno, come si è detto, quello a noi contemporaneo.
In che cosa consiste la novità della concezione scientifica di Goethe? Nel fatto che, in opposizione al modello dominante della cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo, per essa il compito della conoscenza non è quello di conquistare e soggiogare la natura ai voleri dell’uomo (secondo la famigerata formula baconiana «sapere è potere»), bensì di ascoltarla amorevolmente, di porsi in sintonia con essa e di ritrovare, attraverso la meditazione su di essa, la via perduta dell’unità con tutte le cose (e qui traspare un certo influsso non solo delle teorie di Swedenborg, ma anche del panteismo di Spinoza).
La polemica antinewtoniana sulla natura della luce e dei colori non è che un caso esemplare di questa nuova concezione goethiana delle finalità e della stessa essenza del sapere scientifico: perché, per Goethe, il colore non è semplicemente una manifestazione della luce, che l’osservatore riceva passivamente, ma anche un'elaborazione dell’occhio e, quindi, della mente. Fenomeno attivo e non solo passivo, di cui entrano a far parte la psicologia, la simbologia, la spiritualità; ed è quasi inutile evidenziare come in tale concezione vi sia, «in nuce», anche l’approccio cromoterapico alla malattia, non a caso esso pure bandito dal filone principale della scienza accademica contemporanea.
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Fu certamente un grande uomo di spessore, amava la libertà al di sopra di ogni cosa; pur essendo un cattolico protestante non ha mai frequentato la chiesa, diceva di non essere abbastanza ipocrite per seguirla, e credo che se avessero potuto lo avrebbero messo al rogo, come L'ultimo grande uomo della storia Giordano Bruno.
RispondiEliminaGli anni più belli della sua vita li trascorse in Italia in piena Libertà, felice nello spirito e nel corpo, si sentiva molto vicino alla mentalità Italiana, al suo carattere ed il retaggio di una civiltà antica.
Parlando di "Libertà" in quei due anni passati in Italia portò a termine una opera grandiosa come "L'Efigenia in Tauride" , scritta tutta in prosa, questa opera ancora oggi viene definita "il vangelo del moderno umanesimo".
Posso definire Goethe come personaggio estroverso e introverso allo stesso tempo, fuori da tutti gli schemi conosciuti, non si faceva problemi di borghesia, difatti ha sposato una fioraia "Christiane Vulpius", e fu attaccato ferocemente da tutta la borghesia, trattato freddamente da tutti i suoi conterranei, anche il suo racconto "Elegie Romane" ebbe delle critiche feroci.
Solo un grande amico come Friedrich Schiller riuscì a risollevarlo dalla prostrazione e dalla disperazione che si era trovato; da allora in poi si dedicò prettamente alla letteratura fino alla sua morte che avvenne nel 1832, ed ancora oggi si parla delle sua ultime parole: "Mehr Licht" ("Più luce").
Un grande anticipatore della linguistica evolutiva, è stato un passepartout dall'Illuminismo al Romanticismo.
wlady
Wlady, alla tua preziosa postilla su Goethe, aggiungerei che il genio tedesco fu testimone pure di fenomeni che potremmo definire fortiani. Egli, con curiosità ed apertura mentale, cercò di esplorarne origini e caratteristiche.
RispondiEliminaMehr Licht... Vedo più luce(?).
Ciao e grazie.
che bell'articolo! complimenti, e grazie di averlo pubblicato!
RispondiEliminaCiao Alpha Canis Majoris, grazie delle belle parole che giro al Professor Lamendola, i cui articoli si possono leggere soprattutto su Ariannaeditrice e su Edicolaweb.
RispondiEliminaA presto.
grazie al Professor Lamendola, ma anche grazie a te per avercelo proposto, anche agli Scriba hanno i loro meriti...
RispondiEliminaInsomma una reazione, quella di Goethe, alla marcia ormai trionfante della concezione esclusivamente quantitativa dell'esistenza.
RispondiEliminaMa forse abbiamo dinnanzi un'opera non poi così intellettualmente dirompente come molti vorrebbero farci credere. Mi sembra invece che in essa Goethe abbia profuso una pletora di ovvietà tratte dalla comune esperienza di tutti i giorni, dal comune buon senso dell'uomo non ancora fagocitato dalla 'civiltà' industriale.
O forse in quegli anni c'era proprio bisogno di riaffermare con vigore quanto persino un ignorante mentalmente sano in altri tempi sarebbe stato capace di comprendere senza fare grandi sforzi?
Riguardo poi all'affermazione secondo cui 'sapere è potere' mi permetto di rammentare la sua origine ermetico-alchemica. Chi 'sa' veramente e non nozionisticamente in effetti è uno che 'può'. E quegli è il Saggio, il realizzato giunto al termine della Via sapienziale. 'Scire est posse'.
Chiaramente l'aforisma è stato inteso erroneamente dagli ignoranti che l'hanno collocato in una prospettiva esclusivamente profana.
Quanto a Newton non bisogna dimenticare - a differenza dell'empirista Galileo -, la sua diuturna dedizione al laboratorio ermetico ed alla pratica alchemica. A dispetto di quello che molti credono, Isaac Newton non era un profano e la sua opera è da considerarsi come uno degli estremi sussulti di una concezione tradizionale e pertanto qualitativa della Scienza prima della 'débacle' definitiva della medesima che sarebbe seguita di lì a breve.
Hai perfettamente ragione, Paolo. Newton si occupò con grande tenacia e fervore di alchimia e di esegesi biblica, anche se il suo nome è oggi legato alla cosiddetta legge della gravitazione universale.
RispondiEliminaCiao e grazie.