20 agosto, 2011

Anima

“Anima” è un racconto di Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea De Chirico. Savinio, fratello di Giorgio De Chirico, il noto artista, fu anch’egli valente pittore, oltre che drammaturgo e musicista nonché indefesso indagatore della realtà sotto le più disparate epifanie.

In “Anima”, storia apparsa nel 1942 sul quotidiano “La Stampa”, raccolta poi, in versione riveduta ed ampliata, assieme ad altri dodici testi, nel volume “Tutta la vita" del 1946, il protagonista, Nìvulo “è dato alla luce da una madre cinquantenne, trentadue anni dopo che morisse, prima di venire al mondo, un (potenziale) primogenito. Tra colui e Nìvulo qualcosa è accaduto, se una sera il secondo ha udito una voce: 'Nìvulo, io sono tuo fratello'. Smagliante trattamento del tema del doppio – proprio a partire da questo accorato appello – 'Anima' avvince e, se possiamo usare questi verbi, addolora, affascina, prostra.”(G. Davico Bonino)

L’evocativo e leggiadro nome del protagonista, Nìvulo, esprime la sua condizione di essere umbratile, chiuso in una solitudine impermeabile sino all’epilogo dove la tragedia si stempera nell’immagine della città, “deserta come un plastico”, eppure abitata da innumerabili presenze. Persino nell’accento sdrucciolo, che si ritrae all’inizio del suo nome, è l’indole ritrosa del bimbo, poi adolescente ed adulto, nel cui silenzio echeggia la voce dell’altro sé stesso, un doppio incompiuto, prigioniero nel limbo che precede la vita. Il Doppelganger dipinto da Savinio trascende i cliché narrativi per inarcare la narrazione in volute solipsistiche, per comunicare l’incomunicabilità fra il protagonista ed i genitori disperati, persino tra Nìvulo ed il suo alter ego.

Se l’esistenza dell’altro è solo abbozzata, lo è pure la vita di Nìvulo: la somma delle due parti non genera un’unità, forse poiché l’unità è astrazione. L’io è diviso, frammentato e polimorfo: invano un corpo lo cinge e lo situa qui ed ora. La coscienza è esule nel mondo: la sua condizione assomiglia al destino di un fiore reciso che, nel vaso in cui è stato collocato, spande nel crepuscolo la sua fragranza, nostalgia d’infinito.

Nell’età della scienza e del disincanto, il mistero dell’anima è stato dissipato, come esile cirro dissolto dal vento. Savinio lo sa. In un articolo intitolato “La nostra anima”, pubblicato sul “Corriere dell’informazione”, il 13 maggio 1946, l’autore annota con dolente ironia: “Ora anche i fantasmi hanno trovato la loro spiegazione fisica, questi lembi dell’energia che era raccolta a comporre un corpo, ancora non si sono dispersi del tutto… Soltanto ora possiamo parlare di anima, guardandoci negli occhi e senza arrossire.”

Nella mirabile pittura dei personaggi, il logico genitore, e la malinconica madre, impotenti interlocutori dei (quasi) due muti figli, a formare un quadrangolo incompleto, nella delicatezza dello stile, sono i pregi di un racconto lirico, le cui dense ombre sono appena rischiarate dal suono fugace della parola “anima”.

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

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