[...] Il giardino della villa era il luogo dell’appuntamento. Era quasi mezzogiorno ed il sole intiepidiva appena la giornata invernale la cui luce, simile al fondo aureo di un’icona bizantina, scontornava le siepi di bosso ed i cedri del parco.
Attese l’ospite nel padiglione vicino al quale si trovava un laghetto cinto dai ventagli di papiri. Sull’acqua le ninfee, dai fiori di un rosa pallido, parevano stelle tremule in una notte di pioggia. Un carassio occhieggiò da sotto il pelo dell’acqua.
Da lì la vista poteva spaziare: tra le fronde di un’imponente magnolia, a guisa di impetuose cascate, spumeggiavano cumuli bianchissimi variegati di giallo, quasi fossero sculture crisoelefantine. Tutto taceva: solo con lieve fruscio si staccava qualche foglia dai tigli per adagiarsi, con lente oscillazioni, sul prato. Dall’edera, che invadeva i piedritti, si sprigionava un sentore ombroso. Una lucertola, mimetizzata tra le foglie, strisciò guardinga verso il capitello alla ricerca di tepore.
Si chiese se, anche questa volta, come la precedente, avrebbe aspettato invano l’Anfitrione. Non comprendeva per quale motivo egli desiderasse donare a lui, che non conosceva l’accadico, quel libro: se un erudito, proprio per la sua vasta ma in fondo arida dottrina, avrebbe durato fatica a comprendere il messaggio dell’opera, come poteva cavarne un senso qualsiasi chi ignorava affatto quell’arcaica, obliata lingua? Eppure aveva insistito: avrebbe fugato ogni suo dubbio.
Il cielo pareva un arco da cui pendeva, simile a capelvenere, l’eco verde-azzurra di un’era remota.
Diresse lo sguardo verso il piano nobile della dimora: scorse dietro i vetri di una finestra una figura seduta, avvolta in un plaid; nella sinistra, le dita magre ma affusolate, teneva un orologio da tasca.
Alle spalle avvertì lo scricchiolo della ghiaia: qualcuno si stava avvicinando.
Continua... forse.
Leggi qui la prima parte.
Attese l’ospite nel padiglione vicino al quale si trovava un laghetto cinto dai ventagli di papiri. Sull’acqua le ninfee, dai fiori di un rosa pallido, parevano stelle tremule in una notte di pioggia. Un carassio occhieggiò da sotto il pelo dell’acqua.
Da lì la vista poteva spaziare: tra le fronde di un’imponente magnolia, a guisa di impetuose cascate, spumeggiavano cumuli bianchissimi variegati di giallo, quasi fossero sculture crisoelefantine. Tutto taceva: solo con lieve fruscio si staccava qualche foglia dai tigli per adagiarsi, con lente oscillazioni, sul prato. Dall’edera, che invadeva i piedritti, si sprigionava un sentore ombroso. Una lucertola, mimetizzata tra le foglie, strisciò guardinga verso il capitello alla ricerca di tepore.
Si chiese se, anche questa volta, come la precedente, avrebbe aspettato invano l’Anfitrione. Non comprendeva per quale motivo egli desiderasse donare a lui, che non conosceva l’accadico, quel libro: se un erudito, proprio per la sua vasta ma in fondo arida dottrina, avrebbe durato fatica a comprendere il messaggio dell’opera, come poteva cavarne un senso qualsiasi chi ignorava affatto quell’arcaica, obliata lingua? Eppure aveva insistito: avrebbe fugato ogni suo dubbio.
Il cielo pareva un arco da cui pendeva, simile a capelvenere, l’eco verde-azzurra di un’era remota.
Diresse lo sguardo verso il piano nobile della dimora: scorse dietro i vetri di una finestra una figura seduta, avvolta in un plaid; nella sinistra, le dita magre ma affusolate, teneva un orologio da tasca.
Alle spalle avvertì lo scricchiolo della ghiaia: qualcuno si stava avvicinando.
Continua... forse.
Leggi qui la prima parte.
Nessun commento:
Posta un commento
ATTENZIONE! I commenti sono sottoposti a moderazione prima della loro eventuale pubblicazione.