27 febbraio, 2013

The end of the word

“Parola” non è contrario di “silenzio”. La vera parola, mythos, è permeata di silenzio. E’ agli antipodi della chiacchiera, la condizione inane e fatua tanto ben descritta da Martin Heidegger, poiché essa è dono del dio, disegno che intaglia l’idea.

Per avventura il vocabolo mythos condivide con il termine mystes la parte iniziale. Il mystes è l’iniziato, da un verbo “myo” che vale “tacere”, “chiudere la bocca”. Di nuovo la fratellanza tra parola e silenzio.

E’ stata dimenticata la parola fondante. Il mythos si è eclissato. Il linguaggio è scaduto nel brulichio delle ciance.

Il mythos è svaporato e, in vece sua, cagliano parole inutili, triviali, moleste. Chi oggi apprezza il suono delle parole primigenie? Chi oggi ha ancora nell’orecchio l’eco divina di verso recitato da un aedo?

Il suono non si è trasformato in rumore, che è ancora attraversato dal ritmo e persino da linee melodiche, ma nell’assordante nero dell’incomunicabilità.

La parola affondava le radici nell’invasamento del thymòs (anagramma di mythos…) per esalare verso l’iperuranio.

Oggi sproloqui e borborigmi hanno sovrastato i versi intessuti dell’armonia delle sfere.

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2 commenti:

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  2. A volte non ti comprendo, tempo fa, quasi abbracciando una visione crociana, te scrissi che i poemi di Omero null’altro erano se non resoconti di vita quotidiana della casta guerriera-aristocratica della Grecia arcaica e che nulla in essi andava letto se non in termini di nuda cronaca narrativa liricamente espressa, che poi sarebbe come dire che la Divina Commedia non avesse profonde risonanze simboliche criptate nell’allegoria dei versi.

    Adesso leggendo la tua bella riflessione, sento di scriverti che la sostanza mitologica fermentò nell’animo di Omero (o chi per lui) la comprensione di ciò che andava accadendo all’uomo proiettato nella fase conclusiva dell’attuale Ciclo.

    La tradizione rammenta, come attesta Licofrone citato da Eustazio, che Epeo, architetto del Cavallo di Troia, ingaggiasse una lotta nel grembo materno con il suo gemello e, vintolo, sarebbe venuto alla luce prima di lui ed in questo ci vedo un dettaglio non del tutto irrilevante ai fini di una comprensione più profonda dell’allegoria celata dietro l’espediente occorso alla conquista della celeberrima città.
    Il cavallo abbandonato sulla spiaggia è emblema del capovolgimento dei rapporti dell’uomo con il sacro, dell’inganno composto ad arte quale effetto dell’addensamento dei tempi più fosco per l’attuale yuga.

    Tutta l’Odissea riguarda il rapporto dell’uomo – propriamente “moderno” – con le molteplici forze invisibili che ne attentano l’integrità, ed è esemplare l’allegoria dei Proci assedianti Itaca, (Teca dell’io) emblema della nostra interiorità.
    L’ingegner Chiarini ha ben evidenziato la struttura labirintica del poema, costruito sul modello del labirinto cretese. A mio avviso, che parlo solo da esaltato, il tempo stesso, lungi dall’essere uniforme, poiché il tempo è la trama dell’illusione e sostanza mitologica vivente, nella sua accelerazione dovuta al precipitare dell’attuale Ciclo, prende corsa in un una sorta di giro spiraliforme, labirintico appunto, e i labirinti appaiono incisi già nelle sepolture neolitiche come chiara indicazione della modificazione qualitativa della percezione vitale del Cosmo all’approssimarsi di un ulteriore cambio di Era.

    Non a caso sempre nell’Odissea, Penelope chiede al misterioso straniero arrivato a casa sua da dove venga, se da «quercia o da roccia», drys – petra, ossia, a quale tipo di generazione.
    Insomma, se intendiamo tirarci fuori dall’inganno demoniaco globale, non credo vi sia altra via se non quella di operare come operarono i Neoplatonici al tramonto dell’età antica, noi, all’alba di quella sintetica.

    Indagare se stessi attraverso le fonti, perché le fonti scaturiscono da percorsi carsici che legano la durata di più Cicli tra loro ed in esse c’è la chiave interpretativa del nostro enigma. Nelle profondità del mito dobbiamo attingere la nostra acqua di vita, per rinnovare una tensione vitale che oggi è avvilita dalla molteplice contaminazione che sappiamo essere fisica quanto spirituale.
    Non intendo riferirmi ad una attenzione volgare (analitico-concettuale) o a fantasie ondivaghe post-romantiche, dico, insomma, dell’incanto, della sua Grazia (virile) spero questo intendi dire con il tuo post di oggi. A ben considerare solo l’incanto ha valore in tempi così oscuri.
    Senza compassione siamo davvero perduti.

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