28 ottobre, 2013

Metamorfosi e radici del Nichilismo

Il basamento di roccia della realtà è l’irrealtà: l’universo è irrazionale perché è costruito non semplicemente sulle sabbie mobili, ma su ciò che non è. (P.K. Dick)



Per nichilismo si intende una dottrina filosofica che nega la consistenza di qualsiasi valore e l’esistenza di qualsiasi verità. Il nichilismo, però, è un’ipoteca che grava su molti orientamenti di pensiero. Così forse nessuna concezione è del tutto immune dal nichilismo inteso come negazione del presente e svilimento di ciò che è.

Che cos’è il materialismo, se non una forma di nichilismo, visto che esso, escludendo Dio, esclude il senso? L’universo e la vita sono solo un concorso di circostanze casuali. Se gli atei-materialisti fossero coerenti ed accorti, rigetterebbero l’evoluzionismo che rischia di introdurre una finalità nella natura. Il mondo degli Epicurei è un ammasso privo di logica e di direzione.

Le religioni sono nichiliste, poiché prospettano un futuro o una dimensione in cui l’iniquità e l’insufficienza attuale sono risarcite, sublimate. L’hic et nunc non hanno valore, se non in una prospettiva che trascende il tempo per proiettarsi nell’eterno, nell’infinito. Caso estremo di nichilismo è il Buddhismo delle origini (theravada) che concepisce il nirvana come estinzione, nulla.

Insomma, la felicità ed il significato sono sempre altrove. L’esistenza è svuotata, calunniata, disprezzata: l’ascetismo è odio per il mondo.

I sistemi dualistici (gnostici) sono nichilisti, come lo spiritualismo, giacché collocano la perfezione e l’armonia in una sfera antitetica al corrotto ed obbrobrioso universo ilico. Il contemptus mundi, ossessione di certe correnti medievali, incarna questa tetra ma forse plausibile visione.

Il nichilismo si annida anche dove non ci attenderemmo di trovarlo: non sono forse nichiliste tutte le ideologie che celebrano il progresso? Comunismo, Darwinismo sociale, Transumanesimo… collocano in un’età a venire che tende ad allontanarsi quanto più ci si avvicina ad essa, la società perfetta, finalmente emancipata dai contrasti, dai limiti e dalle lacerazioni del presente.

L’utopia politica e scientifica è un asintoto, ma anche il non-luogo dell’incubo mascherato da sogno millenaristico, di un millenarismo dove lo spirito laico è venato di uno slancio mistico diabolico.

Nietzsche condanna il nichilismo cristiano, con la sua mortificante morale e l’astio per il piacere, la gioia, la bellezza, ma, quando il filosofo tedesco vagheggia l’oltreuomo, constata il desolante nulla dell’adesso per additare un avvenire che non verrà mai.

Pure i laudatores temporis acti, gli estimatori del passato, della Tradizione, coloro che gemono “O tempora, o mores!” sono nichilisti. Essi rimpiangono un’epoca antica illuminata da virtù e saggezza, un’età che forse non è mai esistita, almeno nei colori e nelle forme con cui è sognata.

Innumerevoli sono i filosofi lato sensu nichilisti e lo siamo tutti noi, quando deprezziamo l’ora o per rifugiarci nel lost paradise del passato o per tuffarci nel miraggio di un mirabile futuro. Entrambi sono illusioni, fragili cristalli di brina che si sgretolano appena sfiorati. Vero è che il monito “carpe diem”, mal tradotto con “cogli l’attimo” diventa atrocemente ironico, se la vita è ininterrotta successione di attimi infernali, invivibili. Che cosa dovremmo afferrare?

Forse l’unico pensatore (o uno dei pochi) che ha il coraggio di essere nichilista sino in fondo e di dichiararlo, senza idealizzare regni inesistenti ed inconsistenti, il genio che “dà nulla al nulla” è Giacomo Leopardi. Egli rifugge dalla mitizzazione, dalle facili consolazioni e vede il nulla, il non-senso, l’assurdo dove si trovano effettivamente: in ogni luogo, in ogni tempo.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

26 ottobre, 2013

Skull school

Nulla è più storto del diritto.



Sempre più spesso si addita l’esempio della Cina. I Cinesi sono esaltati per la loro efficienza ed alacrità. La "Repubblica popolare" è una superpotenza mondiale ai primi posti in parecchi settori dell’economia. Soprattutto si elogiano gli studenti del Celeste Impero che dimostrano capacità fuori dal comune: sono tenaci, infaticabili, assai versati nelle discipline scientifiche... Molti analisti ritengono che in un futuro non lontano la Cina sarà il vivaio di ricercatori nei campi più avveniristici, ad alto contenuto tecnologico.

Senza misconoscere alcune qualità degli allievi cinesi, bisogna, però, chiedersi che senso abbia un tipo di insegnamento che forma solo dei tecnici, anzi degli automi produttivi. Certo, sono adatti alla nostra società ipertecnologica, prossima ad una mutazione sotto il segno del Transumanesimo. Nondimeno il vero sapere è altra cosa.

Il discorso investe la scuola tout court: restano poche oasi culturali destinate ad essere fagocitate dalla sabbia rovente dell’ignoranza telematica. Il sistema (mai parola fu più idonea) “educativo” sforna dei diligenti esecutori, degli schiavi contenti di esserlo, dei sudditi che si credono liberi, perché hanno partecipato al progetto sulla “legalità” o sulla “cittadinanza attiva”.

Gli istituti scolastici attualmente sono il tempio dell’ipocrisia: quando sopravvive qualche interesse culturale è come un filo d’erba soffocato dal cemento.

Lucio Mastronardi è autore di un racconto ironico ed amaro intitolato “La sigaretta”. Il protagonista è un maestro che cerca in modo ossessivo di ottenere la stima dei superiori. Nei locali dell’istituto – come è ovvio – è vietato fumare, ma il docente è abituato a trasgredire finché un giorno, entrata all’improvviso la preside nell’aula, egli in fretta e furia nasconde il mozzicone in una tasca che si brucia. Il figlio, che è un suo scolaro, racconta con sadico compiacimento l’episodio alla mamma ed alla nonna. Le donne ne traggono motivo per umiliare l’insegnante.

Servilismo, adulazione, insincerità nei rapporti umani sono i disvalori che regnano negli ambienti di lavoro. Mastronardi dipinge un milieu soffocante dove la proibizione di fumare è la testimonianza più luminosa di un’istituzione che è “palestra di virtù”. Demonizziamo il tabagismo, ma che ci avvelenino con mille altre pozioni! “Virtù”... dolciastro termine deamicisiano, quanto mai adatto a rendere quell’atmosfera appiccicosa che si respira nei “licei” di oggi, invasi da slogan, da reboanti ma vuote iniziative sulla tolleranza, il multiculturalismo, la tutela dell’ambiente (sic)... Aria fritta! Fumo per gli allocchi! E’ un paese di tristi balocchi: appena varcata la soglia dell’edificio scolastico si è risucchiati nel mondo dove la tanto glorificata legalità è ridotta ad un diritto storto come un ramo secco.

Gli obiettivi che dovrebbe prefiggersi l’educazione sono la capacità di pensare, l’abitudine ad osservare, specialmente la creatività. Sono tutte mete che trovano poco o punto spazio nelle scuole attuali. Pazienza: ciò che è essenziale – ci ricorda Oscar Wilde - non si apprende quasi mai sui banchi e l”istruzione” è destinata ad essere spazzata via insieme con il ciarpame di questo sistema decrepito e fatiscente.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

23 ottobre, 2013

Schegge sul sacro (III)


Qui Schegge sul sacro (II)

Il senso del mondo dev’essere fuori di esso. (L. Wittgenstein)

Sappiamo che la storia del Cristianesimo è molto diversa da quella che ci è sempre stata raccontata. I Messia, con ogni probabilità, erano due: entrambi esprimevano una mentalità tipica del mondo ebraico. Sappiamo che fu Shaul-Paolo (chiunque si celi dietro questo nome) a creare la religione cristiana col tempo cristallizzatasi nelle chiese istituzionali, tombe della spiritualità.

Nonostante ciò, il racconto cristiano è un mito, nel senso alto del termine. E’ mito come narrazione archetipica, storia che racchiude in sé il dramma cosmico. E’ una vicenda che, trascendendo la storia, si situa nel mondo del simbolo. Per questa ragione le saghe che raccontano di dei che s’incarnano, soffrono, muoiono e risorgono si diramano pressoché ad ogni latitudine.

Che cos’è dunque questo mito? Di quali simboli si nutre? E’ un evento che sembra descrivere la caduta (che sia volontaria o imprevista qui poco importa) dello Spirito nel tempo e nella materia ed il suo anelito a ritornare nella pienezza (il Pleroma degli Gnostici) primigenia. Dunque con Cristo siamo noi che vestiamo un involucro materiale, soffriamo e moriamo con lo scopo di risorgere, di ritornare a casa.

Sarebbe stato possibile percorrere un’altra strada, meno disagevole e dolorosa? Nessuno può saperlo… Ormai siamo qui, in questo mondo. “Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele e, al tempo stesso, di una divina bellezza”. (Carl Gustav Jung) Come il mondo portiamo tutto il peso della contraddizione: siamo esseri ancipiti, prigionieri liberi, vittime di noi stessi, schegge che, pur illuminando la notte, la strappano.

Che cos’è la caduta? E’ anche il sorgere della coscienza, una catastrofe di proporzioni inimmaginabili, soprattutto quando essa si solidifica nel pensiero logico-discorsivo. Nietzsche denuncia questo declino. Egli vede nello spirito apollineo la luce accecante della ragione quadrata che fagocita il roseo chiarore dell’aurora.

Il sacro è aurorale, è una coscienza liminale, soffusa con le ultime ombre della notte mescolate ai primi barlumi dell’alba. E’ una coscienza immersa in una sorta di dormiveglia, in uno stato in cui i pensieri evaporano nel sogno. E’ una coscienza nascente, forse quella dei popoli arcaici che si immergevano, sino ad identificarvisi, nella natura, nel suo flusso vitale. Essi riuscivano a sublimare l’atrocità dell’esistere nell’arte, nel canto, nella poesia. La vita, linfa sacra, scorreva in ogni dove: nelle pietre, negli alberi, negli animali, nel vento, nelle stelle… Gli uomini erano esseri naturali e, quanto più obliavano sé stessi, erano sé stessi.

Oggi siamo inchiodati alla mente e crocifissi all’esistenza. Il simbolo della Croce evoca una tragedia universale che si ripete nella storia e nel singolo. E’ la tragedia della luce imprigionata nelle tenebre, anche della luce contraffatta. E’ la tragedia di chi sulla croce non ha neppure più la forza per sollevare il capo verso il cielo.

[1] La tensione apocalittica del Cristianesimo primitivo si esaurì presto ed oggi pochi si protendono verso una redenzione che, nella sua prossimità, pare confinata in un’immensa lontananza.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

19 ottobre, 2013

Stillicidio

Quousque tandem?

Il potere non corrompe: il potere è corruzione.



La situazione diventa sempre più intollerabile, giorno dopo giorno. Non sono tanto le criminali decisioni dei governi tutti ad esasperarci, misure cui siamo purtroppo avvezzi, quanto la viscosa ipocrisia con cui il potere ammanta ogni suo atto. Questa disgustosa doppiezza è amplificata dai media di regime, in particolare dalla televisione di Stato. La televisione – si sa – è la quintessenza della menzogna e, quando essa enfatizza certi eventi (non di rado sono accadimenti inventati), sentiamo puzza di bruciato.

Combinazione (come no...) le esequie negate a Priebke sono concomitanti con il tentativo parlamentare di perseguire il "reato d’opinione", introducendo, ope legis, il delitto di negazionismo (qui inteso come disconoscimento del cosiddetto “olocausto” e non come adesione alla balzana “teoria della condensazione”). Tutta questa gazzarra serve a stordire l’opinione pubblica, ad annebbiarne le menti, ad esacerbare gli animi. Giustamente si condannano le atrocità perpetrate dall’ex capitano tedesco che obbedì ad ordini precisi, ma si cancellano con un colpo di spugna le scelleratezze del sistema di ieri, di oggi, di domani, soprattutto dei "buoni", gli Alleati, i Salvatori.

Virgilio insegna “Parce sepulto” (Eneide, III, 41), ossia “Sii indulgente con chi è morto”. Anche il Tasso (Gerusalemme liberata, XIII, 39) scrive: “Non dee co’ morti guerra aver chi vive”, mentre l'autore Vincenzo Monti conia un verso che è passato in proverbio: “Oltre il rogo non vive ira nemica”. (In morte di Ugo Basville). Esecriamo Priebke, ma perché non siamo altrettanto implacabili con Bush senior e Jr, colpevoli di aver massacrato oltre 600.000 Irakeni? Quando i Bush moriranno, assisteremo a simili manifestazioni di barbarie, all’impedimento dei funerali o, piuttosto, saranno celebrati come gli statisti che beneficaromo la nazione ed il mondo, come gli intrepidi eroi che combatterono contro il “terrorismo islamico”? E’ naturale che l’esempio dei ribaldi Bush è solo uno fra i numerosi che si potrebbero proporre.

Fino a quando dovremo tollerare i soprusi compiuti dagli usurai internazionali, dai militari, dai mercanti di morte? Fino a quando dovremo ascoltare le bugie di pennivendoli vigliacchi ed ignoranti? Fino a quando dovremo sorbirci le zuccherose prediche di papa Imbroglio? Fino a quando dovremo leggere le volgari mistificazioni dei negazionisti?

E’ un'agonia: sarebbe preferibile il fendente netto della ghigliottina al lento supplizio che ci lascia semivivi, tramortiti.

Il sistema è malvagio e corrotto sino al midollo. Non si può in nessun modo riformare: esso va rovesciato, sradicato dalle fondamenta e ridotto in polvere.

E’ uno stillicidio: il tracollo dell’economia e lo sfacelo della società, ideato dalle luride élites, stanno flagellando quasi tutto il pianeta e la sua popolazione. E’ uno sconquasso universale che è destinato a creare le condizioni, i presupposti per il “mondo nuovo”. Più ancora del crollo produttivo con la deindustrializzazione e lo sterminio della piccola e media imprenditoria, inquieta la rovina ambientale provocata dalla biogeoingegneria assassina e dalle radiazioni nucleari di Fukushima. La natura sta languendo, rantola tra l’indifferenza di un’umanità snaturata. E’ proprio questo motivo di profondissimo disagio: essere assediati da una moltitudine di larve abuliche. Come Diogene, ci aggiriamo per le strade cercando l’uomo, ma la nostra lanterna è in frantumi...

Siamo alla mercé di gentaglia, di infami che non hanno neanche venduto l’anima al Diavolo, semplicemente perché non l’hanno.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

17 ottobre, 2013

Sira e Sirio

Gli U’wa sono un’etnia americana i cui superstiti vivono in Colombia. Orgogliosi della loro veneranda tradizione, gli U’wa tentano di difendere il loro territorio e la loro cultura dall’uomo bianco che essi chiamano “riowa”. Rapaci e spregiudicate compagnie petrolifere, con l’avallo del governo colombiano, mirano a costruire pozzi per l’estrazione del greggio nella regione abitata dagli U’wa. E’ una triste vicenda che purtroppo si ripete spesso: multinazionali che mirano al profitto distruggono gli ecosistemi, mentre i nativi tentano di preservare la propria identità dall’aggressione e dallo snaturamento che la “civiltà occidentale” reca con sé.

È curioso che questa tribù pre-colombiana veneri il Creatore con il nome di Sira. Leggiamo nella carta del popolo U’wa.

La legge del nostro popolo si differenzia da quella dei bianchi, perché la legge del ‘riowa’ (bianco) viene dagli uomini e sta scritta su un foglio di carta, mentre la legge del nostro popolo viene da Sira (Dio). Fu Sira (Dio) che la dettò e la scrisse nel cuore dei nostri sapienti Werjayas (sciamani). Il rispetto verso i viventi ed i non viventi, ciò che si conosce e quello che non si conosce, appartiene alla nostra legge: la nostra missione nel mondo è quella di raccontarla, cantarla e metterla in pratica per sostenere l’equilibrio dell’universo. La nostra legge U’wa sostiene il mondo. La nostra legge è antica quanto la stessa terra. La nostra cultura si è organizzata seguendo il modello della creazione, per questo la nostra legge della terra e la terra stessa sono una cosa sola. La nostra legge non morirà”.

E’ possibile che il nome Sira sia in qualche modo legato alla pristina radice che significa “luminoso”, da cui il termine Sirio che identifica l’astro (in realtà un sistema ternario) più fulgido del firmamento? [1] “Sira” potrebbe significare “radioso”, essendo la luce in senso lato attributo divino. D’altronde nelle lingue indoeuropee la base deiwo rappresenta la più antica denominazione della divinità ed è collegata con la nozione di luce. Tale morfema si conserva nelle aree più marginali, come nel sanscrito deva, nel lituano diévas, ma è pure rintracciabile nel latino deus (con la variante divus) e nell’inglese devil, con palese scivolamento semantico.

L’analisi linguistica ci conduce a cercare addentellati tra Sirio, i numi ancestrali, enigmatiche provenienze sideree. Ci porta dai miti antichi con eroi che attraversano il cielo e la terra sino al Medioevo: nel Sacro Corano, infatti, reperiamo un misterioso versetto della sura n. 53, nota come An-Najm النّجْم, “la Stella”. Il versetto recita: “Egli (Allah) è il Signore di Sirio”.

Vero è che gli U’wa vivono in una plaga assai distante dal Medio Oriente dove i culti stellari incentrati su Sirio erano assai diffusi (si pensi agli Egizi, ma pure ai Dogon ed alle loro sorprendenti conoscenze astronomiche). Tuttavia l’ipotesi secondo cui le culture del passato ebbero un’origine comune è plausibile: ciò motiva le profonde somiglianze tra popoli tra loro discosti nel tempo e nello spazio. D’altronde le narrazioni magico - religiose manifestano una straordinaria persistenza: anche se cambiano dei particolari, anche se si agglutinano nuovi racconti ed esegesi, la sostanza della Tradizione resta ed è trasmessa lungo le generazioni. Così saremmo propensi a vedere nel Creatore degli U”wa una divinità originata da un’unica sorgente cui attinsero molte genti del passato.

A proposito di dei e di etimologie, vorremmo concludere questo breve articolo, soffermandoci sulla controversa etimologia dell’ebraico Eloha-Elohim. A nostro avviso, ha ragione il Professor Mauro Biglino che traduce Elohim con “splendenti” e non chi lo rende con “legislatori”. Infatti è parola confrontabile con il greco “helios”, sole, da un ceppo linguistico che designa probabilmente di nuovo la luce.

Insomma, la luce è divina, comunque sia definita nelle varie lingue.

Ringrazio l’amico Corrado Penna per la preziosa segnalazione.

[1] Il vocabolo Sirio contiene una radice “svar” che vale “scintillante”.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

14 ottobre, 2013

Controcorrente

Sono numerosi gli articoli in cui si afferma che gli uomini possono creare il presente ed il futuro, riprendere le redini della vita e della storia. E’ sufficiente usufruire dell’immaginazione positiva, valorizzare il potere dell’intenzione attingendo al campo quantico che è l’inconscio collettivo. Parole a vanvera o questi studi contengono un briciolo di verità? Sono studi di taglio per lo più consolatorio ed esortativo (“Sorridi e la vita ti sorriderà”) in cui qualche idea scientifica e filosofica è piegata per suffragare la tesi secondo cui tutto dipende dall’intenzione.

Senza disconoscere le prodigiose risorse della Coscienza, ci sembra che spesso si vendano illusioni. In primo luogo l’equazione tra campo quantico ed inconscio collettivo è, per lo meno, discutibile. Sono proprio i fisici quantistici ad ammettere che il microscosmo è enigmatico, indecifrabile. Sono proprio gli psicologi seri ad ammettere che l’inconscio collettivo è una dimensione sfuggente, sfingea. Tuttavia qualcuno non solo è sicuro di conoscerne tutti i segreti, ma persino identifica le due “realtà”. E’ vero: l’inconscio usa un linguaggio che non è quello ordinario. Esso si esprime per immagini e per emblemi, per mezzo di segni alogici. Allora per tale ragione non si comprende in che modo il soggetto (l’io empirico) possa dominarlo, anziché almeno in una certa misura esserne guidato.

Nessuno sa di preciso che cosa sia l’inconscio (meglio sarebbe definirlo “transconscio”, ossia sfera della psiche che trascende l’individuo), ma, stando alle interpretazioni correnti, esso è il direttore dell’orchestra, non l’orchestrale. Postulare l’esistenza dell’inconscio significa limitare ulteriormente, se non annichilire, l’ambito della libertà umana, giacché impulsi inconsapevoli, archetipi, energie incontrollate (libido) agiscono su un io che è in gran parte ignaro del magma ribollente sotto la soglia della coscienza. [1]

Può l’immaginazione creativa, può il pensiero positivo invertire la direzione della sorte ed imbrigliare le energie sotterranee di modo che esse cambino radicalmente le cose? Non possiamo escluderlo, ma finora non si hanno testimonianze significative e chiare di tale influsso. Le ipotesi sono molteplici, numerosi gli esperimenti; manca ancora un modello teorico in grado di spiegare in che modo la Coscienza possa incidere sugli eventi.

Un campo in cui l’azione dell’inconscio è considerata notevole è quello delle patologie: alcuni ricercatori affermano che parecchie affezioni trovano la loro “causa” in conflitti e traumi di cui il paziente non è conscio o perché sono sepolti in strati profondi della psiche o in quanto addirittura risalgono a genitori ed avi da cui certe “ferite” sono state ereditate. Se è veramente così, il cerchio del libero arbitrio risulta ulteriormente ridotto, mentre la speranza di guarire sarebbe riposta nella possibilità di enucleare il rimosso e di desublimarlo. Purtroppo è difficile che si riesca ad individuare la vera radice dell’affezione per estirparla.

Se davvero la fantasia creativa e la “legge dell’attrazione" sono efficaci, se attingono al cosiddetto campo quantico, esse forse prescindono, a nostro avviso, dal numero e dalla cosiddetta “massa critica”, essendo non-locali e non quantitative. Teoricamente sarebbe sufficiente l’immaginazione eidetica di una sola coscienza per plasmare una vita rinnovellata ed addirittura per creare un altro universo emancipato dal male. Se ciò non accade (finora non è accaduto… speriamo avvenga in un futuro prossimo), significa che qualcosa non quadra. Significa che alcuni, anche se in buona fede, ci stanno additando dei miraggi. Purtroppo la realtà pare diversa, più ostica e dura.

Ci doliamo se, con questa breve riflessione, abbiamo dissipato dei sogni. Andiamo controcorrente, anche quando tale condotta potrebbe suscitare disincanto. E’ preferibile, però, una piccola, concreta certezza ad una grande illusione.

[1] Potrebbe coincidere con l’akasha della tradizione orientale.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

12 ottobre, 2013

Ominose omissioni

Molte persone si chiedono quali siano i criteri per distinguere la vera informazione dalla disinformazione mascherata. Non è facile rispondere: non esistono metodi semplici e sempre efficaci per discernere. Tuttavia è possibile indicare delle tracce che permettono di separare il grano dal loglio. In genere, i depistatori camuffati rivelano il 95 per cento di verità intrecciato al 5 per cento di menzogne in modo da rendere ai lettori arduo, se non impossibile, orientarsi. Esagerazioni si aggrovigliano a ridimensionamenti. Paradossalmente la tendenza a ridimensionare è spesso più insidiosa di certe affermazioni che, pur sembrando iperboliche, contengono, invece, un fondo di verità.

I divulgatori contraffatti sono traditi anche dal linguaggio: abusano di termini ed espressioni come “cospirazionismo”, “teoria del complotto”, “complottisti” etc. Sono parole e diciture ghettizzanti nonché erronee. Lo evidenzia, ad esempio, Roberto Quaglia nel suo saggio “Il mito dell’11 settembre”. Il libro non è solo una ricostruzione meticolosa dei fatti occorsi a New York, Washington e Pennsylvania quel fatidico giorno, ma anche un’analisi sociologica di valore inestimabile. Eppure, dopo aver compiuto la sua acutissima disamina semantica, confinando il vocabolo “teoria” nell’ambito che gli è proprio, quello dei modelli scientifici, l’autore adotta il lessico malato della disinformazione. Ciò induce a formulare due ipotesi: o la patologia del linguaggio è endemica e cronica o certuni optano per un vocabolario che penetra a tal punto nella prassi linguistica e nel modo di pensare da rendere quasi del tutto inutile la diffusione di versioni non ufficiali.

Nondimeno l’argomento più forte che permette di inchiodare i gatekeepers è un altro: essi omettono di trattare certi temi o li affrontano in modo superficiale. La pietra di paragone, come è ovvio, è la biogeoingegneria clandestina: chi adduce motivazioni più o meno grottesche per ignorare o annacquare il genocidio globale, è senza dubbio un “guardiano del cancello”. Anche tra i ricercatori sul 9 11 si annovera chi appartiene ai negazionisti delle scie chimiche.

Un’altra omissione sintomatica è quella relativa al Vaticano: trascurare il ruolo della Chiesa di Roma nelle trame mondialiste o addirittura innalzarla a baluardo contro gli “Illuminati” è chiaro indizio di depistaggio.

Pure l’insistenza ossessiva sul potere dei banchieri e su questioni finanziarie è segnale inquietante: si pensi alla produzione nota come Zeitgeist o al Thrive movement, entrambi espressioni del sistema che fingono di contrapporsi al sistema. Gli usurai internazionali sono molto influenti, ma non sono al vertice della piramide. Le luride élites detengono da tempo il controllo delle risorse del pianeta: esse perseverano con la biogeoingegneria illegale e con mille altri delitti per perseguire scopi differenti dalla mera egemonia economica.

In generale i falsi informatori minimizzano o fingono di non vedere questioni in grado di sovvertire la visione consolidata del mondo, accontentandosi di fare il solletico all’establishment. Tralasciando tutti coloro che pontificano sui mali del capitalismo, sul riscaldamento globale causato dal biossido di carbonio, sui “politici“ corrotti... , è nel variegato universo dell’informazione “libera” che si annidano i maggiori pericoli.

Qui troveremo chi, pur ostentando atteggiamenti anti-sionisti, non rilancia i dossier di Gianni Lannes sulla strage di Ustica. Sono ricerche che indicano proprio in Israele il responsabile della carneficina... (Illustre Marco Preve, ha un altro appiglio per muovere accuse di “antisemitismo”). [1]

Qui troveremo chi, come Adam Kadmon, pur denunciando qualche misfatto governativo, difende le istituzioni in quanto tali: esse proteggono i cittadini, sono benevole, soccorrevoli. Se, in qualche caso una scheggia impazzita del potere causa un po’ di danni, il sistema in sé è buono. E’ vero il contrario: gli stati sono incarnazione della violenza e della corruzione, con qualche lodevole eccezione al loro interno.

Qui troveremo chi, come Giulietto Chiesa, si getta nelle braccia della Russia, inscenando una contrapposizione per lo più fittizia tra i Russi (buoni) e gli Statunitensi alias Ammerikani (cattivi).

Qui troveremo chi asserisce che esiste un Nuovo ordine mondiale positivo cui, presto o tardi, daremo il nostro consenso.

Qui troveremo chi farnetica di fantomatiche federazioni galattiche che salveranno il pianeta, ammonendo e punendo non gli infernali governi, ma i comuni abitanti “brutti, sporchi e cattivi”.

Questi dunque sono alcuni parametri per identificare la pseudo - informazione. Con un po’ di fiuto se ne potranno identificare altri. L’indagine continua...

[1] Corre l’obbligo precisare che altri giornalisti freelance, pur individuando in Israele l’autore dell’abbattimento del DC9, non concordano con Lannes per quanto attiene ad alcune circostanze.


Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

09 ottobre, 2013

L’assurda razionalità del Tutto

Il reale è irrazionale e l’irrazionale è reale… purtroppo.

Gli atei ed i razionalisti affermano che il male non esiste. Hanno perfettamente ragione, se si analizza la realtà solo attraverso strumenti razionali. E’ singolare che gli spiritualisti ed i materialisti, pur agli antipodi, concordino su tale punto, adducendo diverse motivazioni: il mysterium iniquitatis non sussiste. Logici e matematici pensano che il mondo possa essere compreso per mezzo della logica. Essa dimostra che il male non è nelle cose, ma nelle interpretazioni. Peccato che l’universo non sia logico, essendo autocontraddittorio.

Certo, il bene ed il male sono categorie umane, valori che gli uomini attribuiscono agli enti. La Natura di per sé non è (o pare?) né malvagia né benevola: essa è quella che è. Siamo noi a vedere in un terremoto il male e in un tramonto dai colori rutilanti il bene. Il ghepardo che caccia e divora la gazzella non è malvagio: è nella sua natura predare degli erbivori di cui si ciba.

Tuttavia il male ed il bene non risiedono tanto in un’esegesi antropocentrica e negli influssi deleteri o benefici che gli eventi esercitano su ognuno di noi. Il male è anche nella mancanza di senso, nell’irrazionalità dell’essere. Qual è lo scopo di tutto questo? Che fine hanno il cosmo, l’esistenza, il dolore? La domanda metafisica per miscredenti e scienziati razionalisti è priva di significato. Essi si richiamano a tutti quei filosofi antichi e moderni che hanno constatato la verità effettuale, ponendo dinanzi all’uomo lo spettacolo di un universo la cui unica giustificazione è nell’assenza di ogni giustificazione.

Spesso gli irreligiosi celebrano Lucrezio che nel “De rerum natura” distrugge le illusioni umane: la chimera dell’immortalità, della Provvidenza, di un premio per i giusti e di una punizione per i reprobi... La Natura è indifferente alla condizione delle sue creature, siano piante, animali, uomini. I cicli cosmici sono una perenne aggregazione e disgregazione di atomi. Dopo la morte si sprofonda nel nulla, lo stesso nulla da cui si proviene.

Eppure Lucrezio sembra a tratti ribellarsi a questa raggelante visione o, meglio, denunciarne l’assurda razionalità. Se il poema si apre con l’inno a Venere, immagine della vita e dell’energia, si conclude con la drammatica descrizione della “pestilenza” che dilagò ad Atene durante la prima fase della Guerra del Peloponneso. La morte e la distruzione paiono abitare nel cuore dell’universo, essere il sigillo di una realtà votata all’insignificanza, al disfacimento.

E’ appunto nella gratuità, nel gioco assurdo del caso che si incarna il male. E’ veramente così? Non lo sappiamo. E’ indubbio che spesso così ci sembra. Per questo motivo il poeta e romanziere Marino Moretti può suggellare una sua accorata e bellissima lirica con il verso: “Così parve la vita, senza scopo”.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

07 ottobre, 2013

Scritto nelle stelle

Alef

E’ noto che l’alfabeto, invenzione attribuita ai Cananei (progenitori, tra gli altri, dei Fenici), cui i Filistei per primi, non i Greci, aggiunsero le vocali, è composto da grafemi, segni indicanti un suono. La scrittura fenicia, risalente alla prima metà del I millennio a.C. consta di 22 consonanti. I Fenici sostituirono agli ideogrammi dei simboli fonetici puri, con la loro conseguente riduzione ad un numero esiguo. Per questo carattere pratico il sistema fenicio si diffuse tra i popoli circonvicini e diede origine a vari alfabeti, quasi tutti esclusivamente consonantici, ossia con le vocali sottintese nella grafia. Era un sistema funzionale alla trascrizione delle lingue semitiche. Quando l’alfabeto fenicio passò ai Greci (tra il XII e l’VIII sec. a.C.) fu necessario scrivere le vocali che nelle parole indoeuropee rivestono la stessa importanza delle consonanti.

Nella scrittura fenicia ogni grafema rende un oggetto stilizzato. Ad esempio, la prima lettera, la A, delinea la testa di un bue (o toro). Sarebbe, però, un errore vedervi soltanto la raffigurazione dell’animale, poiché l’alfabeto è in primo luogo un diagramma degli Archetipi universali.

“La Tradizione esoterica afferma che esistette un alfabeto primordiale i cui segni e suoni erano la diretta manifestazione del potere della Parola di Dio. Gli alfabeti contemporanei ne sono la derivazione: alcuni mantengono maggiormente le potenti vibrazioni originarie (alfabeti definiti sacri o magici), laddove altri le hanno in gran parte perdute, essendo spuri. L'esoterismo musulmano identifica nei segni dell'alfabeto il corpo di Dio e similmente la cultura indù attribuisce a ciascuna lettera alfabetica una parte del corpo di Saraswati, la manifestazione femminile, Shakti, di Brahma.

Il numero che identifica la manifestazione divina attraverso gli Archetipi presenti nelle lettere dell'alfabeto è il 22, sebbene, per riduzione o ampliamento, possa diventare 16, 20, 21, 24. Carattere mistico avevano pure la scrittura dei Celti (alfabeto ogamico) e le rune germaniche. L’alfabeto ebraico è composto di 22 segni che racchiudono ancora oggi un grande influsso sacro ed esoterico”.[1]

Il chimico Corrado Malanga correla i 22 grafemi dell’alfabeto ebraico ai 21 amminoacidi. La corrispondenza numerica tra le lettere e gli amminoacidi si ottiene aggiungendo alla ventesima e prima macromolecola l’immagine del D.N.A. adombrata dall’alef.

Accennato al valore segreto dell’alfabeto, secondo cui ciascun grafema-fonema non riproduce degli oggetti, ma alcune funzioni, ci concentriamo sul primo Archetipo, la A, per provare ad intravederne la filigrana astronomica.

Un alfabeto stellare

In un corposo ed istruttivo studio, Massimo Barbetta, prendendo le mosse da un’analisi della pellicola “Contact”, per la regia di Robert Zemeckis, osserva che la A potrebbe essere un glifo cosmico, l’immagine araldica della costellazione del Toro. L’autore ipotizza che i miti, le tradizioni, i termini, i simboli che evocano il Toro, con i gruppi stellari delle Pleiadi e delle Iadi, nonché l’astro Aldebaran, possano essere l’eredità iconica di visitatori provenienti dagli spazi siderali. Un filo sottile e quasi invisibile legherebbe le culture primordiali della Terra a retaggi successivi (si pensi al Nazionalsocialismo iniziatico). Alcuni significati occulti sarebbero stati criptati nel romanzo “Contact” di Carl Sagan, figura di scienziato che, dietro parvenze accademiche, celava conoscenze ed interessi eterodossi. L’opera è stata poi trasposta con alcune modifiche nell’omonima produzione cinematografica con protagonista Jodie Foster.

La congettura di Barbetta è suggestiva, ma soprattutto è suffragata da una notevole mole di indizi raccolti in un campo molto vasto che spazia dalla Linguistica all’Archeologia, dalla Storia dell’arte all’Ufologia. La sua ricostruzione si discosta dalle spiegazioni accademiche come l’esegesi dello scienziato Giuseppe Sermonti che, in un suo celebre saggio, “investiga l’origine zodiacale degli alfabeti semitici, basandosi sulla comparazione formale, simbolica e sequenziale con gli antichissimi segni di raffigurazione delle costellazioni (databili a oltre 20.000 anni dal presente) e le lettere della nostra famiglia alfabetica, testimoniate già intorno al III millennio a.C.

L’ordine costante (A, B, C etc.) e la forma stessa delle lettere, che in versioni diversificate vediamo ripetersi in tutti gli alfabeti della nostra civiltà, dal sinaitico, al lineare B, al greco, all’etrusco, al latino, non sarebbero dunque del tutto convenzionali, ma avrebbero una radice rovesciata, che rivolgendosi verso l’alto affonderebbe nel cielo. L’alfabeto non sarebbe che un’immagine derivata delle forme delle costellazioni.

Sebbene la corrispondenza formale e sequenziale fra i segni alfabetici e le costellazioni sia effettivamente impressionante, l’idea genera sconcerto. Che cosa può mai esserci in effetti di più arbitrario, dunque variabile, delle forme che gli uomini hanno immaginato unendo dei puntini luminosi nel cielo stellato? Eppure, quelle ‘forme immaginate’ hanno una costanza plurimillenaria. Con uno studio di grande fascino, avvalendosi di contributi pressoché dimenticati di studiosi come Marcel Badouin, Sermonti ricostruisce la misteriosa antichità delle configurazioni del nostro zodiaco, ipotizzandone un’origine paleolitica.

Di più, egli è riuscito a trovare un terzo elemento di paragone, una logica di collegamento extra-formale tra le due classi di segni e cioè una dinamica astronomica dei miti più antichi della nostra civiltà. Le stesse radici semantiche che sovrintendono alle narrazioni antiche, non sarebbero che illustrazioni dei movimenti dei cieli, come aveva intuito il grande Giorgio De Santillana. Esse ci aiutano a comprendere l’ordine ed i sottogruppi (corrispondenti a cicli mitici) delle nostre lettere”.

E’ possibile conciliare l’ipotesi xenologica, ventilata da Barbetta, con l’approccio antropologico-archeoastronomico di Sermonti? Crediamo di sì. Fatto sta che a torto si ritengono i nomi ed i valori degli scintillanti disegni siderei del tutto fortuiti, come il risultato di immaginifici nomenclatori. I popoli antichi videro in quella particolare costellazione un toro, ma avrebbero potuto scorgervi una forca o un vaso? No! Quella particolare costellazione, per motivi che non ci sono ancora del tutto perspicui, è la sorgente di un’energia cosmica, è un incipit universale, come il toro è l’animale legato ai primordi dell’agricoltura, alle civiltà gilaniche ed a miti ancestrali taurini (si pensi alla saga del Minotauro cretese). Senza dubbio anche i cicli precessionali, che includono valori dello zodiaco, giocano il loro ruolo in questo fantasmagorico libro le cui pagine coincidono con il cielo e le lettere con le stelle.

[1] Alef o Alep – bue, toro, è l’unione, la duplicità che si trasforma in unità. E’ un radunare più elementi in modo da ridurli ad una cosa sola. Indica il Padre, l’energia divina, la potenza creatrice primigenia.

Fonti:

M. Barbetta, Contact, le informazioni criptate del film tra simbolismi e messaggi subliminali, 2009

Enciclopedia dell’antichità classica, Milano, 2000, sv. alfabeto, Fenici

G. Garbini, I Filistei, gli antagonisti di Israele, Milano, 1997

M. Pincherle, Archetipi, le chiavi dell’universo

S. Serafini, Oltre il massone Darwin, la libera scienza di Giuseppe Sermonti


Ringrazio l'amico e collaboratore G. per la segnalazione da cui ho tratto spunto per l'articolo.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

05 ottobre, 2013

L'indoeuropeo vive ancora


Le lingue indoeuropee sono una famiglia di idiomi con caratteri analoghi che hanno portato gli studiosi a postulare la derivazione da un’unica fonte originaria, definita appunto “indoeuropeo” o “indogermanico”. Oggi per lo più è concepito come un grappolo di parlate con tratti originari affini cui si aggiunsero elementi acquisiti lungo un processo di contatti preistorici o protostorici tra lingue anche diverse, contatti avvenuti in un’area Caucaso, Urali, Germania e Scandinavia.

Nel XIX secolo alcuni glottologi, confrontando le lingue antiche, notarono delle somiglianze tali da spingerli ad ipotizzare l’esistenza di un sistema linguistico indoeuropeo da cui si diramarono altri “codici”.

Il linguista tedesco August Schleicher (1821-1868), raccogliendo antichi lessemi indogermanici, compose una favola, “La pecora ed i cavalli”. La sua ricostruzione permette di individuare delle persistenze nelle radici, nonostante il proto-indoeuropeo risalga a circa 6000 anni addietro.

Ecco la favola.

"Avis, jasmin varnā na ā ast, dadarka akvams, tam, vāgham garum vaghantam, tam, bhāram magham, tam, manum āku bharantam. Avis akvabhjams ā vavakat: kard aghnutai mai vidanti manum akvams agantam. Akvāsas ā vavakant: krudhi avai, kard aghnutai vividvant-svas: manus patis varnām avisāms karnauti svabhjam gharmam vastram avibhjams ka varnā na asti. Tat kukruvants avis agram ā bhugat".

Di seguito la traduzione:

"Una pecora tosata vide dei cavalli, uno dei quali tirava un pesante carro, un altro portava un grande carico e un altro trasportava un uomo. La pecora disse ai cavalli: 'Mi piange il cuore, vedendo come l’uomo tratta i cavalli'. I cavalli le dissero: 'Ascolta, pecora: per noi è penoso vedere che l’uomo, nostro signore, si fa un vestito con la lana delle pecore, mentre le pecore restano senza lana'. Dopo aver sentito ciò, la pecora se ne fuggì nei campi".

Si notino alcuni vocaboli: avis, "pecora" rammenta il latino ovis e l’inglese ewe, dalla base OWI, attestata nelle aree indiana, baltica, slava, germanica e celtica. Il lessico degli animali annovera EKWOS, "cavallo": la correlazione con il latino equus è evidente, ma la radice, pur con mutamenti strutturali e fonetici, è diffusa in tutte le regioni indoeuropee. Notevoli è il vocabolo kard, "cuore" (basi KERD-GHERD): è parola antichissima, con le normali alternanze del morfema ed eventuali ampliamenti ed aspirazioni. Citiamo il greco kardia, il latino cor, l’inglese heart, il tedesco Herz.

Un altro termine interessante è man, uomo, dalla radice MEN con il significato di "pensare", "ricordare". L’uomo dunque è (o dovrebbe essere) l’essere dotato di intelletto e di memoria: si sottolinea nell’ambito culturale indogermanico una specifica qualità umana, mentre altri idiomi pristini valorizzano aspetti differenti.

Ad esempio, il sumero adapa e l’ebraico adam contengono una radice designante il colore rosso ed il suolo. Adapa dovrebbe, però, significare più che la creatura plasmata con l’argilla rossa, l’essere modellato sulla Terra. L’etimologia è comunque controversa, come controversi sono i rapporti ed i legami genetici tra il sumero, che è ritenuta una fra le lingue ancestrali del pianeta, ed il gruppo indoeuropeo, sistemi con divergenze costitutive e di Weltanschauung.

In qualche caso il substrato lessicale è sumero: verbigrazia, il greco ghe, "terra", dipende dal sumero ki; il latino urbs, "città", rimonta al vocabolo mesopotamico ur. Gli influssi sono a volte quasi invisibili, a causa di slittamenti semantici difficili da motivare: il vocabolo indoeuropeo tersa, "terra" (lat. terra, inglese Earth etc.) veicola il significato di “secco, asciutto”, ma dovrebbe discendere dal sumero eridu, letteralmente “causa costruita lontano”.

Da un punto di vista sintattico, è palese la presenza di declinazioni (manus, manum) e l’uso di forme verbali di perfectum, indicanti un’azione conclusa e collocate di solito alla fine degli enunciati (es. bhugat). Altri verbi denotano strutture participiali (kukruvants).

Resta ancora molto da esplorare: occorrono tempo, tenacia ed intuito per approfondire e forse per astrarre altre correlazioni, probabilmente astronomiche…

Articolo correlato: La madre di tutte le lingue del mondo, 2013

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

02 ottobre, 2013

Schegge sul sacro (II)


Qui Schegge sul sacro(I)

Che non ci sia niente di peggiore del mondo non si deve dimostrare. (M. Sgalambro)

Che cos’è il sacro? Potrebbe essere coesistenza di bene e male? Si domanda Gustav Meyrink nel romanzo “Il domenicano bianco”: “Forse che, come suprema verità e suprema paradosso, Satana e Dio, il Distruttore ed il Costruttore sono una sola e medesima cosa?

La tradizione vedica esprime un concetto simile, quando evoca gli dei Shiva e Visnù. Shiva, come signore del tempo, presiede all'incessante movimento di creazione-annientamento-rigenerazione, il cui ritmo è scandito dalla sua danza cosmica. Visnù è il dio della conservazione, benevolo e misericordioso.

Per lo più incompreso, Schelling, scavando per cercare le radici del male, si dovette arrendere: il buio splende nell’Assoluto, non meno della Luce.

Coomaraswamy crede che Dio sia una vittima volontaria. Egli paradossalmente si è dispiegato nell’ignoranza e nella divisione. Le nostre tenebre sono le sue tenebre. Il bacio di Dio è bacio d’amore e morte.

Forse per queste ragioni al cospetto del sacro i popoli antichi – penso in particolar modo agli Etruschi - avvertivano un brivido di orrore religioso.

Oggi la fede è confinata nei santini, nelle preghiere bofonchiate dalle beghine, orazioni devote ma purtroppo inutili. La vera esperienza del sacro è molto diversa: accecante e distruttiva. Essa si ritorce contro chi la brama. Il sacro ha due volti, è bifronte.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare