Quasi tutti gli esegeti, anzi compilatori di manuali, quando indugiano sulla “morte di Dio” in Nietzsche si affrettano a precisare che per “morte di Dio” si deve intendere il tramonto definitivo dei valori tradizionali. Che cosa pensi il filosofo tedesco di Dio fluttua in una zona di penombra tra il rimosso e l’implicito.
Quanti si avventano contro Nietzsche vedendo in lui chi ha calpestato il Cristianesimo! [1] A differenza, però, dei materialisti e del loro ateismo trionfante, Nietzsche più che negare programmaticamente Dio, constata con sgomento l’abisso (Abgrund), ossia l’irrazionalità del reale e della vita. Non è irragionevole consentire con lui, se affondiamo la sonda nell’esperienza umana e nel cosmo.
No: Dio non è morto, ma muore ogni qual volta si avverte di scivolare nel nulla del non-senso. Così, a volte rinasce in un‘epifania (miraggio?), in un’intuizione, in uno spiraglio. Non si tratta di credere, ma di sentire e talora ci si accorge di non sentire niente. “There must be something else”. Sì, ma che cosa e dove?
Non sono certe esperienze, pur cruciali, a dichiarare il granitico silenzio del trascendente. Non sono neppure le sofferenze più atroci ed assurde e neppure è l’ingiustizia che pianta il suo nero vessillo nel cuore del mondo ad annunciare il nulla oltre le apparenze, ma il garbuglio inestricabile degli eventi, il nodo irrisolto delle cose e dei rapporti umani, persino l’effimera ed immotivata felicità che ci sorprende inermi, vulnerabili.
La miscredenza nietzschiana, con cui si inaugura la perplessità incredula del nostro tempo, non coincide con la negazione ingenua e rassicurante del Positivismo, piuttosto è il ripiegamento nostalgico verso l’epoca degli dei, la fredda contemplazione di una luce crepuscolare destinata a perdersi nelle tenebre.
Poiché non sappiamo rassegnarci, la speranza rinasce e muore senza tregua come onda sulla battigia.
In un paesaggio arido, complice il dominio della tecnica, ci siamo accomiatati dagli dei. In questo deserto il vento non porta né profumi né voci, ma solo l’eco inutile della nostra ombra.
[1] Anche solo una scorsa del volumetto ci rivela che Nietzsche non è contro il Messia, ma contro la Chiesa.
Quanti si avventano contro Nietzsche vedendo in lui chi ha calpestato il Cristianesimo! [1] A differenza, però, dei materialisti e del loro ateismo trionfante, Nietzsche più che negare programmaticamente Dio, constata con sgomento l’abisso (Abgrund), ossia l’irrazionalità del reale e della vita. Non è irragionevole consentire con lui, se affondiamo la sonda nell’esperienza umana e nel cosmo.
No: Dio non è morto, ma muore ogni qual volta si avverte di scivolare nel nulla del non-senso. Così, a volte rinasce in un‘epifania (miraggio?), in un’intuizione, in uno spiraglio. Non si tratta di credere, ma di sentire e talora ci si accorge di non sentire niente. “There must be something else”. Sì, ma che cosa e dove?
Non sono certe esperienze, pur cruciali, a dichiarare il granitico silenzio del trascendente. Non sono neppure le sofferenze più atroci ed assurde e neppure è l’ingiustizia che pianta il suo nero vessillo nel cuore del mondo ad annunciare il nulla oltre le apparenze, ma il garbuglio inestricabile degli eventi, il nodo irrisolto delle cose e dei rapporti umani, persino l’effimera ed immotivata felicità che ci sorprende inermi, vulnerabili.
La miscredenza nietzschiana, con cui si inaugura la perplessità incredula del nostro tempo, non coincide con la negazione ingenua e rassicurante del Positivismo, piuttosto è il ripiegamento nostalgico verso l’epoca degli dei, la fredda contemplazione di una luce crepuscolare destinata a perdersi nelle tenebre.
Poiché non sappiamo rassegnarci, la speranza rinasce e muore senza tregua come onda sulla battigia.
In un paesaggio arido, complice il dominio della tecnica, ci siamo accomiatati dagli dei. In questo deserto il vento non porta né profumi né voci, ma solo l’eco inutile della nostra ombra.
[1] Anche solo una scorsa del volumetto ci rivela che Nietzsche non è contro il Messia, ma contro la Chiesa.
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