L’ipocrisia del potere si misura nella distanza abissale tra le dichiarazioni e le cattive, anzi pessime intenzioni.
Sarebbe scorretto negarlo: il potere sta vincendo la partita e non solo attraverso la coercizione e la frode che sono le sue colonne, ma ottenendo in modo subdolo il consenso dei cittadini. Lo Stato oggi è in ogni dove: le sue colonie si chiamano coscienze. Distrutte le barriere dei pochi diritti rimasti, gli apparati si sono installati nelle menti. Esse non pensano più in modo autonomo: ripetono le mistificazioni dell’establishment. Esse non pensano più. Tutto ciò in modo inconsapevole.
Esiste ancora un’ancora per non naufragare nell’”oceano della stupidità”? Esiste ancora un antidoto contro il conformismo imperante? L’unico contravveleno è la cultura. La cultura oggi più che mai deve essere provocatoria, rivoluzionaria. Deve manifestare la discontinuità rispetto all’ideologia dominante. Contro le concezioni stataliste sarà pungolo il pensiero di tutti quegli autori che denunciano l’ipocrisia delle classi dirigenti. Contro il perbenismo piccolo-borghese gioverà una lingua artigliata che gratta via la patina della retorica.
Il panorama è desolante: le nuove generazioni sono sovente indottrinate da generazioni di indottrinati, tiranneggiate da schiavi. E’ naturale che chi manifesta capacità critiche è ostracizzato ed esposto al pubblico ludibrio, ma è lo scotto da pagare per essere liberi, per essere sé stessi.
La cultura è boomerang: è facile trovare un filosofo, un artista, imbalsamati dal potere in una visione normalizzante (ad esempio, Hegel e Manzoni), che manifestano nella loro Weltanschauung o poetica spigoli acuminati.
Oggigiorno è soprattutto il sapere umanistico-letterario a preservare un’energia, una vis polemica, visto che le discipline scientifiche sono quasi sempre degradate a squallido scientismo. Bisogna riappropriarsi di tutte quelle voci dissonanti, delle intelligenze dissidenti per sovvertire le idee consolidate, per destabilizzare il sistema. E’ necessario valorizzare, nella texture degli autori, il solco più icastico, la linea più scavata.
La cultura è choc: filosofi ed artisti veri si situano rispetto a chi li ha preceduti in una posizione di ripresa ed innovazione, di continuità e rivoluzione, ma è il momento innovativo a prevalere. Nella denuncia e nella critica delle strutture governative occorre privilegiare la pars destruens, sottoporre l’antagonista ad un attacco concentrico, incessante, smascherare l’ignoranza ammantata di saccenteria.
E’ impossibile qualsiasi compromesso o accordo con l’organizzazione statale. Annientare il sistema – non importa quanto tempo e fatica richiederà tale impresa - significa riportarlo alla sua essenza: un niente che vuole controllare tutto.
Sarebbe scorretto negarlo: il potere sta vincendo la partita e non solo attraverso la coercizione e la frode che sono le sue colonne, ma ottenendo in modo subdolo il consenso dei cittadini. Lo Stato oggi è in ogni dove: le sue colonie si chiamano coscienze. Distrutte le barriere dei pochi diritti rimasti, gli apparati si sono installati nelle menti. Esse non pensano più in modo autonomo: ripetono le mistificazioni dell’establishment. Esse non pensano più. Tutto ciò in modo inconsapevole.
Esiste ancora un’ancora per non naufragare nell’”oceano della stupidità”? Esiste ancora un antidoto contro il conformismo imperante? L’unico contravveleno è la cultura. La cultura oggi più che mai deve essere provocatoria, rivoluzionaria. Deve manifestare la discontinuità rispetto all’ideologia dominante. Contro le concezioni stataliste sarà pungolo il pensiero di tutti quegli autori che denunciano l’ipocrisia delle classi dirigenti. Contro il perbenismo piccolo-borghese gioverà una lingua artigliata che gratta via la patina della retorica.
Il panorama è desolante: le nuove generazioni sono sovente indottrinate da generazioni di indottrinati, tiranneggiate da schiavi. E’ naturale che chi manifesta capacità critiche è ostracizzato ed esposto al pubblico ludibrio, ma è lo scotto da pagare per essere liberi, per essere sé stessi.
La cultura è boomerang: è facile trovare un filosofo, un artista, imbalsamati dal potere in una visione normalizzante (ad esempio, Hegel e Manzoni), che manifestano nella loro Weltanschauung o poetica spigoli acuminati.
Oggigiorno è soprattutto il sapere umanistico-letterario a preservare un’energia, una vis polemica, visto che le discipline scientifiche sono quasi sempre degradate a squallido scientismo. Bisogna riappropriarsi di tutte quelle voci dissonanti, delle intelligenze dissidenti per sovvertire le idee consolidate, per destabilizzare il sistema. E’ necessario valorizzare, nella texture degli autori, il solco più icastico, la linea più scavata.
La cultura è choc: filosofi ed artisti veri si situano rispetto a chi li ha preceduti in una posizione di ripresa ed innovazione, di continuità e rivoluzione, ma è il momento innovativo a prevalere. Nella denuncia e nella critica delle strutture governative occorre privilegiare la pars destruens, sottoporre l’antagonista ad un attacco concentrico, incessante, smascherare l’ignoranza ammantata di saccenteria.
E’ impossibile qualsiasi compromesso o accordo con l’organizzazione statale. Annientare il sistema – non importa quanto tempo e fatica richiederà tale impresa - significa riportarlo alla sua essenza: un niente che vuole controllare tutto.
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Mai quanto in questo periodo è sentito il bi-pensiero di Orwell che insegnava: "L'ignoranza è forza".
RispondiEliminaE' così, Embraze. Quella dell'esecrando sistema non è cultura, ma mera propaganda.
EliminaCiao