31 gennaio, 2016

Trucioli



Quante volte ci siamo indignati per graffiti incisi un po’ dappertutto! Deturpano panchine, muri, abitacoli degli autobus, purtroppo anche molti monumenti. La maggioranza di queste incisioni è formata da frasi scurrili o banali, da firme e dai soliti cuori trafitti. Sebbene siano un fenomeno che di solito si collega a questa nostra epoca corrotta in cui molti parlano senza avere alcunché da dire e scrivono per semplice grafomania, tali epigrafi triviali esistevano anche nella Roma antica: a Pompei si possono ancor oggi leggere graffiti con vituperi, dichiarazioni d’amore, battute salaci… Anche nelle prigioni medievali e moderne, i carcerati testimoniavano e testimoniano la loro sofferenza piena di dignità con scritte sulle pareti. Ciò attesta l’inclinazione umana a lasciare comunque una traccia, anche quando a graffiare le più disparate superfici sono uomini qualunque. E’ un modo inconscio per tentare di divenire eterni, poiché sappiamo che gli oggetti e persino queste sigle e locuzioni, ora licenziose ora egocentriche, dureranno più di noi, ombre fuggevoli in un mondo estraneo.

E’ raro, ma ci si può imbattere in qualche riflessione di un certo spessore, in un aforisma di un autore importante. Ecco che allora il graffito assurge a muta testimonianza di vita, a vestigio di un’esistenza dilaniata fra sogni e disincanti, a truciolo di cultura.

Forse le “impronte” più significative che si rintracciano sono quelle sulle pagine dei volumi presi in prestito in biblioteca o di libri usati: sul margine notiamo glosse ispirate dai contenuti del testo, entusiastiche sottolineature, acute osservazioni, punti esclamativi ed interrogativi… In questo repertorio di postille e di segni si manifesta e si agita il mondo interiore di chi ha letto il romanzo, immergendosi toto corde nella storia, di chi ha meditato il saggio, in cerca delle risposte agli interrogativi che risposte non hanno.

In qualche caso eccezionale rincorrere e percorrere i meandri delle elucubrazioni cristallizzati nelle note vergate con un timido lapis o un’energica penna, è più avventuroso che la lettura del libro: si scoprono frammenti di esperienze, prospettive sugli spaventevoli precipizi del pensiero, errori epifanici...

Di recente, mentre ero sprofondato nella lettura di un libro usato (una biografia), ho notato che chi mi ha venduto il tomo ha erroneamente corretto, pensando fosse un refuso, la dicitura “mera illusione” in “vera illusione”. E’ difficile trovare un abbaglio più abbagliante: l’involontario ossimoro, con tutta la forza del paradosso e dell’antinomia, squaderna l’aspetto saliente della realtà, un’illusione concreta, una mera e… vera illusione.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

28 gennaio, 2016

Truffe linguistiche



Quando i maneggioni, chiamati in modo improprio “politici”, cominciano ad abusare di termini e diciture in inglese, bisogna cominciare a drizzare le antenne, perché i tragici buffoni sono in procinto di escogitare qualche altro colossale imbroglio.

Qualche anno addietro, Matto Morti, l’esponente di una classe tanto ignorante quanto arrogante, sdoganò vocaboli nella lingua della perfida Albione: campeggiava su tutti il funesto mantra spending review, la “revisione della spesa pubblica” spacciata per una panacea, laddove il debito è per definizione e finalità inestinguibile.

Oggi persino la scuola, che dovrebbe essere il tempio della cultura, è invasa da lessemi allotrii: si vaneggia di "mission d’istituto", di "steps nel programma", di "digital trainer", di "imput (sic!!!) educativi" e castronerie simili. Pare che usare la corrispondente parola italiana e rifiutare tale imbarbarimento lessicale configurino un delitto di lesa maestà.

Sembra di vivere la situazione di Renzo che il viscido don Abbondio cerca di abbindolare e confondere con il suo latinorum. Oggi imperversa l’inglesorum, un abominevole ibrido tra un italiano sciatto ed un inglese improbabile. Purtroppo dietro queste barbare locuzioni, si nasconde sempre qualche insidia, ad esempio il totale svuotamento dei residui contenuti culturali a favore di una pseudo-didattica egemonizzata da tecnologie demoniache, da insopportabili chiacchiere.

In questo periodo il popolino è frastornato da un altro monstrum, step child adoption: le persone, quando non si pongono la domanda di dove vogliano andare a parare i para… con codeste idiozie lessicali, restano quasi incantate di fronte alla padronanza che i pagliacci dimostrano degli idiomi esteri. Una volta il cittadino medio-basso commentava: “Non condivido le sue idee, ma parla bene”; al giorno d’oggi esclama: “Non condivido le sue idee, ma sa l’inglese che oggi è la lingua internazionale”.

Sempre in tema di frodi linguistiche che si fondono a frodi ben più gravi, suscita raccapriccio e preoccupazione il recentissimo bail-in, una trappola per i titolari di conti correnti, un vero ladrocinio gabellato per sistema volto a garantire i risparmiatori. Che pensare a proposito del bail-in? I Liguri risponderebbero: “Avete veramente rotto il… !”

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

25 gennaio, 2016

Artigli



Che cosa spinge i disinformatori ad agire? Che cosa li pungola nella loro condotta criminale? Tralasciamo pure le loro innumerevoli tare: è l’invidia che li consuma, li corrode, li disgrega, come fosse un acido. Anche se godono di numerosi privilegi (denaro, un certo status, aderenze, immunità nei processi), sono dei falliti e sanno di esserlo. Sono dei falliti, perché manca loro quanto rende degna la vita di essere vissuta: l’amore per la verità e la bellezza.

Questi petulanti “ridimensionatori” di professione sono attanagliati da segrete paure che ottundono la loro piccola, angusta mente. Il tempo della loro miserabile esistenza non è infinito, sebbene essi, gaddiani “manichini ossibuchivori”, non siano quasi mai sfiorati dal pensiero della morte, l’abisso gelido dove sono destinati a precipitare. Sigillati nel qui ed ora, in una claustrofobica realtà quadridimensionale, l’unica esistente per loro, mentre beffano, sono beffati dalla sorte finale. Sono i topi che scorrazzano e rosicano nella cantina, ignari degli artigli appostati dietro l’angolo buio.

La loro collera è livida e sorda: è quella di chi in fondo sa di essere condannato dalla sua natura snaturata.

Più infelici e corrotti che scellerati, i negazionisti invidiano chi è capace di creare, di pensare, di oltrepassare gli orizzonti, proiettandosi oltre i confini.

In effetti essi non pensano o, al limite, il loro è un pensiero di riporto, preso in prestito ad usura da qualcun altro. La loro licenza e sfrenatezza sono schiavitù mentale, conformismo, omologazione. Non saranno cancellati dalla storia poiché malvagi (anche il male ha una sua grandezza), ma in quanto inutili, insignificanti.

In modo analogo si gettano nel cassonetto dell’immondizia orsacchiotti di peluche, spelacchiati e guerci.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

22 gennaio, 2016

Crime machine



Tecnologia, evoluzione, progresso

E’ definita singolarità la fase della storia umana (?) in cui la tecnologia sopravanzerà ed annullerà la natura. Sulle conseguenze dovute al dominio della tecnica hanno scritto pagine illuminanti filosofi come Heidegger e Husserl, alle cui riflessioni rinviamo. Qui vorremmo sfiorare il tema della tecnologia in rapporto ad una presunta evoluzione.

Di che evoluzione si tratta? Il cosiddetto progresso scientifico e tecnico trasforma la vita rendendola rapida, efficiente, “connessa”, ma soprattutto implica una radicale mutazione antropologica: giungerà il momento in cui l’uomo non sarà più tale, ma un essere bionico, un androide, infine una macchina. [1] La transizione dall’organico all’inorganico, dall’analogico al digitale, dal carbonio al silicio è l’ineluttabile approdo di una società che si affida alla téchne: questo processo pare inversamente proporzionale alla crescita etica e spirituale. Per tale ragione, se esistono civiltà cosmiche in grado di governare e trascendere, con i loro inimmaginabili strumenti, con le loro strepitose conoscenze, lo spazio ed il tempo, probabilmente esse non sono ostili e malvagie, ma fredde, anemotive, amputate dell’anima, quindi prive di empatia. L’assenza di empatia non è una nequizia vera e propria, ma determina gli stessi effetti, se non peggiori.

Ciò potrebbe spiegare perché, secondo le ipotesi di molti ufologi, quasi tutte le nazioni stellari sono contraddistinte da una totale aridità ed amoralità: è difficile, infatti, concepire una cultura che riesca a contemperare un travolgente progresso tecnologico con la dimensione etica. Il genere umano testimonia, con la sua progressiva ed inarrestabile involuzione, l’influsso deleterio della téchne da cui è l’individuo è schiacciato quanto più crede di controllarla.

Dobbiamo comunque porci delle domande provocatorie e paradossali: è possibile che alcuni uomini siano privi dell’anima, quindi non suscettibili neppure di alcun regresso, condannati ad una tragica staticità? D’altro canto, si può immaginare uno scenario in cui l’androide acquisirà una forma di consapevolezza, come rappresentato da talune opere fantascientifiche sia narrative sia cinematografiche?

Se la Coscienza sottende una diversità ontologica, significa che essa è un quid del tutto indipendente dalla materia e persino dall’intelligenza. L’intelligenza artificiale, per quanto prodigiosa, non pare sinonimo di Coscienza. Occorre qualcos’altro, un ente, la cui natura è totalmente altra.

E’ un ente su cui un tempo molti filosofi incentravano i loro ragionamenti; oggi, invece, si preferisce occuparsi di niente.

[1] Qui non ci soffermiamo sugli aspetti spaventosamente distruttivi insiti nella tecnologia, per cui si veda almeno lo studio “Le microonde, arma contro la biosfera”, 2012.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

19 gennaio, 2016

Black star: dall'età di Saturno all'era di Satana



La canzone-testamento “Black star” di David Bowie soprattutto per il video che l’accompagna è stata ed è al centro di tentativi di esegesi: alcuni autori intravedono nella criptica produzione adombramenti a Nibiru. Questa ipotesi non si può escludere, ma riteniamo che un’interpretazione del genere sia poco aderente ad un orizzonte esoterico, peculiare della poetica bowiana. Se, invece, la Black star fosse un’allusione al Sole nero, ossia a Saturno, la stella mancata al centro di una tetra ed antichissima tradizione? Non dimentichiamo che l’artista britannico nacque sotto il Capricorno, il segno zodiacale dominato dal pianeta con gli anelli: l’ego ipertrofico di Bowie pare essersi tradotto in una fosca celebrazione di Saturno.

Scrivevamo nel 2009:"Nell'astrologia il glifo di Saturno è una falce, immagine del Tempo che distrugge e recide. Chronos era per i Greci il dio che divorava i suoi figli. E' il tempo di Saturno ed il tempo pare scaduto. E'presumibile che, in un universo multidimensionale, il pianeta con gli anelli sia, come sostiene Angelo Ciccarella, una porta verso l'altrove, un cancello che ci separa da mondi archetipici, ancestrali, una crepa nella volta che copre l'Inferno. In tempi non sospetti Ciccarella riportava le sibilline dichiarazioni di un insider, H.C.: "La notizia è altamente classificata: sotto gli anelli di Saturno sosta il Gigante... così è denominato in ambito diplomatico".

Annota David Icke nel suo ultimo monumentale saggio, “L’imbroglio della realtà e l’inganno della percezione”: 'Saturno è occultamente venerato dalle principali religioni, dalle società segrete e dal Satanismo, sebbene la maggior parte degli iniziati di queste reti non ne sia al corrente'. Lo scrittore ritiene che il corpo celeste sia un’espressione del Demiurgo: gli anelli apparterebbero al sistema di trasmissione della Matrice, un apparato per condizionare e distorcere la percezione. Saturno sarebbe un passaggio interdimensionale tramite cui gli Arconti possono spostarsi dalla loro realtà a quella degli uomini.

Il qualificato scienziato statunitense, Norman Bergrun, è arrivato alla conclusione che gli anelli di Saturno non sono naturali, ma oggetti creati da giganteschi cilindri di natura elettromagnetica, identificabili in parecchie fotografie scattate dalle sonde spaziali. Non è un caso se alcuni di questi ordigni sono stati individuati nei punti in cui i cerchi sono incompleti. Osserva Bergrun: 'Il pianeta funge da base operativa. L’esistenza di tali veicoli elettromagnetici altamente sofisticati implica un’intelligenza straordinaria. Non solo queste unità controllano l’energia nucleare e massicci campi di forza, ma rivelano anche la capacità di modificare estese superfici dei corpi celesti. I veicoli elettromagnetici emettono numerosi getti da punti differenti'. Notiamo en passant che enormi cilindri, come quelli fotografati preso Saturno, sono stati avvistati in prossimità del Sole... E’ in corso un sabotaggio della nostra stella con effetti sul clima e sulla magnetosfera terrestre?

L’astronomia pionieristica di Bergrun tende a confermare le concezioni che vedono nei simboli, disseminati in molteplici retaggi ermetici, riferimenti a Saturno. L’occhio onniveggente, la falce, la stella a cinque punte, il sigillo di Salomone, il cubo (la Kaaba in primis) etc. sono tutti emblemi del pianeta: alcuni suoi caratteri visivi e cosmici sono stati, infatti, tradotti in immagini evocative che si incontrano ad ogni latitudine ed in epoche distanti tra loro, dall’antichità, con miti celebri e testi della Gnosi, sino ai nostri giorni, nella cultura pop: lo stesso “Signore degli anelli” di Tolkien codifica messaggi inerenti a Saturno ed ai suoi funesti influssi nella storia umana. Diremmo che gli anelli sono altrettanti cappi che soffocano l’umanità.

Ora si può comprendere perché David Bowie nel video citato brandisce un libro su cui è effigiata una stella a cinque punte di colore nero. Non è molto chiaro, invece, perché essa in alcune sequenze sia rappresentata scomposta: il presagio che sia prossima, nonostante le pericolanti condizioni attuali, una sconfitta delle forze oscure nascoste dietro questa funerea icona? Forse solo un estremo tributo, in bilico tra risentimento e devozione, nei confronti di chi ha promesso il Paradiso per spalancare infine il cancello degli Inferi.

Fonti:

N. Bergrun, Ringmakers of Saturn, 1986
A. Ciccarella, Il varco tra i mondi, 2009
D. Icke, L’imbroglio della realtà e l’inganno della percezione, Cesena, 2015, pp. 163-226
Zret, Il Signore dell’anello, 2009


Articolo correlato: Black star, 2016

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

17 gennaio, 2016

Lo Stato come Chiesa del XXI secolo



Ormai la Chiesa ha esaurito il suo ruolo storico con ed a causa di quest’ultimo papa i cui discorsi trasudano un moralismo piagnucoloso, melenso, bolso. La Chiesa di Ciccio ha perso la vestigiale aura del Sacro, per quanto fioca. Senza il Sacro né la religione né le comunità di credenti hanno più alcun senso. La Chiesa cattolica, fantasma di sé stessa, adempie ormai lo stesso ruolo di un consultorio familiare, di uno psicologo distaccato in una scuola per un paio d’ore la settimana.

E’ oggi lo Stato ad incarnare la Sacralità, seppure - sia chiaro - una Sacralità invertita: nel suo caso “sacro” è veramente esecrando, detestabile, ma chi potrebbe negare che il Potere è il Moloch abominevole cui quasi tutti, volenti o nolenti, si inchinano?

Lo Stato, in questa sua ultima, fatale metamorfosi, incute lo stesso reverenziale timore dell’Inquisizione tardo medievale e moderna: gli inquisitori odierni sono i magistrati, nerovestiti proprio come i preti. Il Potere, nuovo Torquemada, alterna e dosa sapientemente paternalismo ed intimidazioni, attitudine protettiva e coercizione.

Aveva intuito il futuro George Orwell in “1984”, dove sottolinea che il Grande fratello non vuole solo l’obbedienza dello schiavo, ma che lo schiavo lo ami. La Chiesa di Roma non esigeva forse una totale, “volontaria” adesione alla “fede in Cristo”? Non preferiva salvare l’anima, pur martoriando il corpo destinato ad essere infine bruciato sul rogo?

Il Sistema ci ama, di un amore blasfemo. Esso, lungi dal bandire il materialismo ed il consumismo, vagheggia l’edificazione di un tempio “spirituale” con adepti animati da una fede fanatica e settaria che escluda e perseguiti gli eretici.

In tutto questo si avverte certo qualcosa di spaventoso, ma pure di solenne, di ieratico: lo Stato è, infatti, un’organizzazione gerarchica, ritualistica, ma la gerarchia (letteralmente “potere del sacro”) e l’ossessione per i rituali sono la quintessenza del Potere oscuro, il Sancta sanctorum adornato in modo ampolloso con figure grottesche, benché circondato e nascosto dalle mura sobrie della “democrazia”.

Lo Stato, con le sue norme sempre più vessatorie, non si accontenta di rapinarci dei pochi beni materiali che abbiamo, di privarci delle residue libertà, giacché mira soprattutto a strapparci l’Anima. Intende piegarci affinché, genuflessi, veneriamo ed invochiamo il sanguinario idolo cui sacrificare quanto abbiamo di più caro.

Lo Stato alla fine si impossesserà di tutto, fuorché della Coscienza… di chi ne ha una.

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15 gennaio, 2016

Dov’è nascosta l’Arca dell’alleanza?



Dov’è custodita l’Arca dell’alleanza (o del patto o della testimonianza), il celeberrimo manufatto con cui gli Ebrei comunicavano con YHWH e che, tra le altre cose, consentì loro di sconfiggere i loro acerrimi nemici, i Filistei?

I luoghi in cui sarebbe oggi nascosta sono i seguenti.

• Una tradizione sostiene che l’Arca perduta sarebbe stata occultata dal profeta Geremia [1] in una camera segreta sotto il Tempio di Gerusalemme o in una grotta sotto il Monte Pisgah. [2]
• Stando ad un’altra tradizione, l’oggetto fu portato in Etiopia durante il regno del re idolatra Manasse: furono dei rifugiati ebrei a trasportarla, i Giudei che diventarono i Falasha; una variante di questo retaggio chiama in causa Menelik, il figlio del re Salomone e della regina di Saba. Menelik avrebbe trafugato l’arca dal Santuario per trasferirla in Etiopia: oggi essa si troverebbe in una chiesa di Axum. [3]
• Una leggenda riferisce che la “macchina per parlare con Dio” fu portata ad Emesa, città dell’antica Siria, durante il regno di Manasse, in un luogo in cui era già stata collocata nel periodo dei Giudici (XIII-X sec. a. C. circa). [4]
• Profughi ebrei nel VI sec. d.C. avrebbero recato con sé tre oggetti: l’arpa di Davide, da cui deriva l’emblema dell’Irlanda, una pietra sacra, chiamata “il cuscino di Giacobbe”, sulla quale erano incoronati i primi re d’Irlanda, seguiti da quelli di Scozia, infine i sovrani d’Inghilterra nonché l’Arca del patto.

Il reperimento del luogo dove è oggi ubicata l’Arca, che forse contenne in origine un serpente, poi l’immagine di un dio-serpente, prima delle Tavole della Legge, potrebbe avere delle ripercussioni importanti non solo sotto il profilo storico-archeologico? Probabile… Viviamo un periodo storico in cui molte leggende stanno lasciando intravedere un nocciolo storico… spesso inquietante.

[1] Geremia [(in ebraico: יִרְמְיָהוּ) Anatot, Gerusalemme, dopo il 650 a.C. – Egitto, dopo il 586 a.C.], figlio di Helkia (Chelkia) della tribù di Beniamino, fu un profeta biblico, ritenuto autore dell'omonimo Libro e del Libro delle lamentazioni.

[2] Il Monte Pisgah è in genere identificato con il Monte Nebo, (metri 817) cima situata in Giordania da cui Mosè ammirò la Terra promessa poco prima di morire.

[3] Manasse, in ebraico: מנשה בן-חזקיה, Menasheh ben Hizqiyah (? – 642 a.C.),, fu re di Giuda, figlio e successore di Ezechia. Salì al trono all'età di dodici anni e regnò dal 687 a.C. al 642 a.C. o al 643 a.C. Annullò le riforme del padre, portando l'adorazione idolatrica di dèi cananei nel tempio di Gerusalemme, ragione per cui è esecrato dall'autore dei Libri dei Re.

[4] Emesa, oggi Homs (in arabo: حمص‎, Ḥimṣ), 800.000 abitanti, è un'antica città della Siria, risalente al 2300 a.C. circa. È nota perché nel 272 vi si combatté una cruenta battaglia fra le legioni romane dell'imperatore Aureliano e l’esercito della regina Zenobia che aveva creato un regno indipendente. E’ anche la città del re Abgar V, il sovrano di etnia araba che, secondo una leggenda, fu guarito dalla lebbra per mezzo del mandylion, un telo su cui era raffigurato il volto del Messia.

Fonti:

G. Hancock, Il Mistero del Santo Graal, 1992
D. Marin, S. Marin, Il sangue degli Illuminati, Cesena, 2015, p.336
A. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, Roma, 2001, s.v. inerente


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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

11 gennaio, 2016

Idealizzazione



La vita assomiglia più ad una lotta che ad una danza. (Marco Aurelio)

Poiché il presente è abominevole, sovente vagheggiamo nostalgici il passato. In tale vagheggiamento, però, non alberga una forma di idealizzazione? Certe età, come il Rinascimento o alcuni secoli dell’età antica, ci appaiono avvolti in un’aura incantata. Se tuttavia, questa atmosfera si dissolve come bruma diradata dal sole del mattino, resta la nuda realtà. Sebbene sia difficile immaginare un tempo più arido e feroce del nostro, anche le età trascorse erano dilaniate dalla violenza del potere.

Pensiamo alla Roma repubblicana ed imperiale, alle guerre di conquista, ai massacri, alle condizioni inumane in cui “vivevano” gli schiavi ed i ceti non abbienti. Pensiamo a Cesare in cui quasi tutti vedono lo scrittore dallo stile scelto ed efficace nonché l’abile politico, dimenticando che fu un implacabile sterminatore di Celti. La stessa città di Roma, in origine Saturnia, villaggio fondato dai Liguri-Siculi nella regione dei sette colli, fu uno fra i centri delle sinistre stirpi che ancora oggi dominano, straziano e depredano gran parte del pianeta.

Certo, una volta, quantunque la società fosse attraversata da contraddizioni, esistevano gli Uomini: persino tra le classi dirigenti si distingueva in qualche rara occasione uno statista vero che era anche intellettuale: vengono in mente Marco Aurelio e Giuliano. In che cosa consisteva la differenza rispetto ai (pre)potenti di oggi? Risiedeva nella cultura: la cultura, che è etica, è il principale antidoto contro l’orgia dell’onnipotenza.

Esistevano gli Uomini, ossia ancora splendeva l’Anima. Osserva con desolata, amara intelligenza Guido Ceronetti: "Per adattarsi al mondo com’è ora, la condizione è di perdere umanità nella misura ed alla velocità che questo mondo impone: per ogni tratto di umanità perduta c’è un acquisto sicuro di adattabilità. E l’uomo non ha mai fatto altro che adattarsi… ma per sopportare il mondo, le città e le guerre che si preparano bisognerà perdere interamente ogni connotazione umana: i luoghi teneri dell’anima saranno pietrificati, si nascerà amputati". E’ così: oggi si nasce mutilati, adattati ad un’esistenza acrilica in cui solo i pochissimi disadattati potranno innaffiare con qualche goccia di luce la delicata piantina dell’Anima.

Questa fatica dell’essere è tutt’uno con la Coscienza: dobbiamo mantenere viva la fiammella della Vita, senza cedere all’algido raziocinio, ma pure evitando di indulgere all’idealizzazione, anticamera dell’inganno. Bisogna imparare a mantenersi in equilibrio sull’abisso: proiettarsi nel passato per tentare di rinfocolare pristini valori può significare stringere vani fantasmi.

Bisogna stare attenti a non mitizzare la Storia: ad esempio, la Storia ci restituisce, ci piaccia o no, due Messia, entrambi radicati nell’Ebraismo. Nel momento in cui evochiamo il Cristo, dobbiamo essere consapevoli che è un simbolo (i simboli sono potenti, ma elusivi: sono un'arma a doppio taglio). Credo che il Cristo si debba intendere in modo allegorico: è l'emblema di un cosmo che, per una ragione imperscrutabile, si crocifigge nella caduta e nella materia per annunciare la redenzione alla fine dei tempi, quando non esisteranno più il tempo né lo spazio.

Invero, il Cristianesimo abita nel cuore dell’inconciliabilità: se lo accettiamo, dobbiamo accettare pure l’Antico testamento con le sue intollerabili venature arcontiche; se lo rifiutiamo, dobbiamo staccarlo dalla matrice sumero-egizio-ebraico-arcontica, ma, così agendo, lo trasformiamo in un mythos, nel simbolo di cui si diceva con tutte le conseguenze del caso, tra cui forse la rinuncia ad attendere una salvezza esterna destinata a non arrivare mai.

E’ evidente che la sfida è immane: camminare sul filo delle antinomie, contemperare lògos ed incanto, indagine ed ispirazione, soma e sema. Se guardiamo in giro, vedremo oceani di sangue e deserti di scelleratezza che attorniano oasi di bellezza e verità. Non basta rifugiarsi nelle oasi a godersi l’ombra rinfrescante dei palmizi: bisogna tentare di render conto di quanto si trova tutto intorno, avventurarsi nelle terre del male, di ieri, di oggi, di domani.


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08 gennaio, 2016

Elogio della felicità



Da secoli si magnificano il dolore, il sacrificio, la rinuncia, l’autoflagellazione, adducendo le ragioni più disparate. Alcune fedi e filosofie li hanno eretti a fondamenti delle loro concezioni. Bisognerebbe, invece, promuovere la gioia che è la vera fonte della creatività e della spiritualità.

Bisogna intendersi: non ci riferiamo all’allegria becera dei bruti, ai godimenti sfrenati dei materialoni, ma alla felicità che dipende da un senso di ricchezza interiore, da un entusiasmo (thymòs) che è adesione alla vita, amore per la natura lato sensu. Ovviamente questa rarissima forma di letizia è venata di tristezza, della coscienza che è destinata ad essere perduta forse per sempre: non coincide dunque con la serenità che non esiste e non può esistere in questa disgraziata dimensione.

E’ un vero peccato che nel mondo la giocondità sia così infrequente: essa renderebbe il mondo più bello, più armoniosi i rapporti tra le persone, più roseo il tempo. Consideriamo quali sono le conseguenze dell’afflizione: l’aridità, il deserto dell’anima, una mera sopravvivenza, la chiusura in sé stessi, il rifiuto, la noia, l’esacerbazione, il malumore... Allora perché l’amaro e l’abbattimento sono tanto diffusi? Essi, lungi dall’essere strumenti di elevazione, sono vicoli ciechi. Ancora una volta abbiamo il sentore che qualcosa di storto e di irrazionale deformi il disegno delle cose.

Quando gli dei distribuirono le buone e le cattive sorti furono avari delle prime e prodighi delle seconde. Furono generosi spesso con chi aveva ed ha più demeriti che meriti.

Non erano dei.

In testa all'articolo un'opera dell'artista Carla Colombo intitolata "Inno al cielo d'estate".

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04 gennaio, 2016

Vasai



In questi ultimi tempi pullulano i manuali sui temi più disparati: addirittura oggi sono pubblicati libri che insegnano ad educare i figli. Spero non siano come i volumi che spiegano in che modo usare le mirabolanti, prodigiose capacità del pensiero quantico (sic), testi utili quanto una tessera del bancomat ad uno che si è smarrito nella foresta pluviale: se così fosse, sarebbero solo carta ed inchiostro sprecati. E’ comunque incontestabile: oggi alcuni genitori capiscono che il loro mestiere è uno dei più difficili; così a volte decidono, tra le altre cose, di compulsare un vademecum.

Sì, quello dei genitori è un mestiere, simile a quello del vasaio che, lavorando al tornio, modella il manufatto con magistrale perizia. E’ sufficiente un attimo di distrazione o di incertezza e l’artigiano si troverà fra le mani un inutile ammasso di argilla. I genitori hanno delle responsabilità enormi nell’allevare i rampolli: ogni loro azione, ogni loro parola può causare ripercussioni irreversibili. Essi devono sapersi muovere dimostrando equilibrio: devono perseguire un’aurea mediocritas tra severità ed indulgenza, tra indicazione di regole (non norme) e comprensione. Non è per nulla facile: perciò gli adulti che riescono in questa improba impresa meritano il plauso della società.

Credo che, qualora in talune occasioni si riveli necessario far pendere uno dei piatti della bilancia (il piatto della fermezza e quello della benevolenza), sia preferibile assecondare l’impulso all’accondiscendenza, poiché l’eccesso di durezza può ingenerare frustrazioni ed inibizioni, laddove una certa dose di clemenza, soprattutto se accompagnata da saggi chiarimenti della propria condotta, favorisce nella prole l’abitudine a valorizzare la libertà. E’ palese, però, che ogni circostanza richiede il suo specifico intervento: non si può ammaestrare ad essere maestri nella formazione sicché la saggezza, l’esperienza, il dialogo dovranno suggerire come regolarsi di volta in volta.

Se dovessi elargire un consiglio prezioso, mi richiamerei ad un aforisma di Kahil Gibran, il poeta libanese di religione cristiana. Egli in una sua opera ammonisce: “Ricorda che i tuoi figli non sono i tuoi figli”. Ha ragione. Il vaso plasmato dall’artigiano è un oggetto che egli ha creato, ma ormai appartiene a coloro che lo useranno o lo ammireranno per la bellezza della fattura e delle decorazioni. Questo è tanto più vero per i discendenti: essi, pur portando l’impronta dei genitori, sono creature libere, con una loro identità, con un loro destino. Lasciamo che corrano, che si sbuccino le ginocchia, che commettano i loro errori, come tutti. Apprendano dalla vita.

Si bandiscano dunque atteggiamenti possessivi, soffocanti. Si insegni, se possibile, con l’esempio, con il silenzio più che con le parole. Le parole stesse siano semplici, sincere, concettose.

Alle già immani difficoltà del mestiere di educatore oggi si sono aggiunti gli abnormi interrogativi su come preparare i figli a vivere in questo mondo sempre più satanico. Non è facile rispondere, ma non si può eludere il problema. In primo luogo è auspicabile che i genitori non mandino i propri figli in quel carcere del corpo e della mente chiamato in modo eufemistico ed ipocrita “scuola”. Si trovino nelle pieghe delle norme (non regole) quegli spiragli per crescere in casa, con o senza precettore, la prole. Si rischia altrimenti che il proprio bel vaso sia disintegrato in men che non si dica.

Ci si chiedeva: come abituare i figli a vivere in questo mondo satanico? Senza dubbio è da scartare l’idea di mentire e censurare: nel mentire e nel censurare è già esperto lo Stato satanico, con tutte le sue legioni di demoni. Ritengo che i bimbi possano essere, con gradualità e prudenza, avvezzati a confrontarsi con le tare del potere. Anzi, l’infanzia è l’età in cui si preferisce una pur sgradevole verità ad una zuccherosa menzogna. Facendo leva sull’istinto dei fanciulli per il vero, il bello, il giusto, si potrebbe presentare loro il sistema come un’anomalia destinata ad essere superata, diversa dalla realtà familiare, sede di valori inconcussi e di affetti profondi. Il fine potrebbe essere quello di addestrare figli pronti, sagaci, schietti, creativi, sensibili ai princìpi, all’arte ed alla natura, più che al denaro, all’ego ed all’immagine. L’ideale è quello del bambino indaco, intuitivo, estroso, compassionevole, sveglio, un bambino che, nei confronti dei coetanei nutra rispetto ma senza complessi di inferiorità.

Un mondo satanico quindi? Purtroppo sì a tal punto che lo Stato-Leviatano mira a strappare alle famiglie i propri figli, secondo quanto anticipato da Aldous Huxley in “Brave new world”. Distruzione del ceto medio e della piccola borghesia, totale eliminazione della proprietà privata, annullamento di tutte le libertà: questa è l’agenda del Nuovo ordine mondiale. Già oggi, con i pretesti più vari, succede che i figli siano sottratti a genitori ritenuti spesso a torto inadatti come educatori; in futuro la famiglia, come è comunemente intesa, potrebbe non esistere più ed i figli, sin dalla nascita, essere condizionati e “gestiti” da uno Stato-mostro.

Giungerà il giorno in cui rimpiangeremo i nuclei familiari più tormentati?

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

02 gennaio, 2016

Ricci



Come si potrebbero definire quelle persone che negano l’incontestabile ruolo distruttivo di governi ed istituzioni variamente assortite? Sono state chiamate “convezionalisti”, ma forse si adatterebbe loro maggiormente il termine di “ufficialisti”, poiché si attengono alle patetiche e romanzesche versioni ufficiali propalate dai media di regime. Siamo comunque al cospetto di un atteggiamento riconducibile al negazionismo: non è quello di chi censura, mente e depista per mestiere, ma un negazionismo come autodifesa, come infantile quanto pervicace rifiuto a guardare in faccia una realtà quasi sempre atroce. E’ questione di maturità, di consapevolezza, di cultura (non nozionismo): chi non ci arriva, non ci arriva, proprio non sembra avere speranze. L’ufficialista si chiude a riccio, non appena è sfiorato dall’ombra di una verità che contraddice la sua rassicurante, benché caramellosa Weltanschauung.

Ad ingagliardire ed a legittimare tale attitudine gioca un ruolo cruciale la televisione di Stato, meglio fielevisione: molti si chiedono per quale ragione gli esecutivi insistano tanto nel pretendere il pagamento dell'iniquo canone RAI; non si potrebbe criptare il segnale dei canali in oggetto, evitando anche i contenziosi derivanti dalla recente decisione di incastrare l’esoso balzello nella bolletta dell’energia elettrica? In realtà, gli introiti garantiti dalla gabella non sono così cospicui, ma fondamentali sono la propaganda, il plagio, il controllo mentale che si attuano attraverso le becere trasmissioni di matrigna, pardon mamma RAI. Lo scopo della televisione non è certo quello di informare e neppure di intrattenere: l’obiettivo coincide con una capillare e costante manipolazione delle diverse generazioni. Il potere può anche rinunciare oggi a qualche provento, tanto domani troverà sempre il modo di dissanguare i cittadini con le mille mignatte del fisco, ma non può permettersi che qualche pecora esca dal gregge.

E’ palese che questa maggioranza di individui dalle reazioni gregarie vive in un mondo di balocchi dove le classi dirigenti e gli "esperti", se si esclude qualche macula di corruzione e di inefficienza, si adoperano sempre e comunque per il bene della collettività. E’ indubbio che ci si può imbattere talora in qualcuno che è sia onesto sia competente, ma questa non è la regola. Inoltre non sono pochi coloro che in totale buona fede agiscono per il sistema satanico, in quanto indottrinati sin dalla più tenera età: si pensi, a titolo di esempio, a quei medici che prescrivono farmaci ed esami nutili o dannosi, convinti di giovare ai loro pazienti, mentre ignorano un approccio olistico e le terapie che potrebbero rivelarsi giovevoli o risolutive.

ll negazionismo dunque non è solo frode: è un modo di essere, è il modo di essere preponderante in questa senescente ed astenica società. Perciò ci sembra si illuda chi continua ad evocare il risveglio, la presa di coscienza per opera del genere umano. Noi – una piccola e combattiva minoranza – siamo ogni giorno più sagaci e più abili, ma il volgo è sempre più scemo e debordante.

Questi sono dati di fatto: non è pessimismo né disfattismo, ma una visione lucida, disincantata, lungimirante della Storia e delle sue dinamiche. Forse una svolta decisiva dipenderà in primo luogo dalla constatazione di quanto sia disperata e compromessa la situazione attuale.

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