In questi ultimi tempi è di moda la Programmazione neurolinguistica, in particolare imperversa uno dei suoi capisaldi concettuali, la dissonanza cognitiva. Il tema è complesso e non si può presumere di sviscerarlo. Tuttavia è doveroso ampliare un po’ il discorso.
Per “dissonanza cognitiva” si intende il coesistere di due pensieri antitetici all’interno della stessa persona: questa compresenza può generare disagio e tensione. Il concetto era già stato anticipato dalla Psicanalisi che considera il “complesso” un coacervo di idee, sentimenti e pulsioni contrastanti sì da creare una situazione di malessere suscettibile di sfociare nella nevrosi.
Stando agli psicologi che aderiscono alla corrente della Programmazione neurolinguistica, la dissonanza cognitiva si può superare o attraverso un adattamento o per mezzo di un cambiamento: si modifica così il modo di agire e quello di pensare.
ll problema maggiore della società attuale non ci sembra, però, la diffusione di stati psichici discordanti, quanto il fatto che gli individui della massa non percepiscono neppure le disarmonie. Essi non vivono, se non in modo superficiale ed effimero, quei contrasti che potrebbero propiziare una crescita, la costruzione di una visione del mondo più scaltrita. Ad esempio, posti di fronte all’evidente falsificazione mediatica di un evento, sebbene per qualche istante gli utenti notino una contraddizione tra la versione ufficiale e la sua reale dinamica, presto cancellano ogni incongruenza per adagiarsi nell’inerzia e nella stasi del non-pensiero di regime. Qui la dissonanza non agisce: insinua solo un lieve dubbio che è tosto sublimato. Sarebbe auspicabile, invece, che la discrepanza cognitiva ed emotiva, portasse ad un lavorio che è presupposto di una maturazione.
Dunque, se la dissonanza non incide, non porta ad alcun cambiamento: la si può definire allora una dissonanza paralizzante. In casi estremi può provocare situazioni paradossali: si pensi a coloro che accolgono due o più “verità” cui aderiscono secondo il contesto e le richieste di una figura considerata carismatica. Anche in tali circostanze, la discrepanza conferma uno status quo psichico, coincide con una sclerosi nell’azione e nel pensiero che diventano inazione e non-pensiero, proprio gli obiettivi che il sistema si prefigge.
A torto qualcuno considera la dissonanza deleteria: lo è se causa di forti patimenti, ma senza contrasti interiori non si evolve. La vita è dinamismo, continua necessità di adattarsi a situazioni nuove, inattese. Le stesse nevrosi sono il sintomo di un dissidio che seguita a fermentare tra conscio e subconscio, il segno di un equilibrio che è sempre precario e non potrebbe essere altrimenti. Sono conflitti inevitabili e persino giovevoli allorché, se non degenerano in una una psicosi, portano ad un’evoluzione. Vero è che talora basta un nonnulla per trasformare una crisi di crescita in una crisi depressiva, eppure è la vita stessa ad essere ossimorica, antitetica.
In fondo gli antichi, pur senza usare i criteri interpretativi di orientamenti psicologici spesso più cerebrali che convincenti, avevano centrato il bersaglio: Eraclito l’oscuro scrive che “la guerra è madre di tutte le cose”. La guerra, lato sensu, è anche l’agone interiore che ci sprona a migliorare. Marco Aurelio annota in “A sé stesso”: “La vita assomiglia più ad una lotta che ad una danza”. E’ così: è una lotta in primo luogo con noi stessi, con quella parte di noi che ha più paura della luce che del buio.
Video correlato: Dissonanza cognitiva: il corto circuito dell'anima
Per “dissonanza cognitiva” si intende il coesistere di due pensieri antitetici all’interno della stessa persona: questa compresenza può generare disagio e tensione. Il concetto era già stato anticipato dalla Psicanalisi che considera il “complesso” un coacervo di idee, sentimenti e pulsioni contrastanti sì da creare una situazione di malessere suscettibile di sfociare nella nevrosi.
Stando agli psicologi che aderiscono alla corrente della Programmazione neurolinguistica, la dissonanza cognitiva si può superare o attraverso un adattamento o per mezzo di un cambiamento: si modifica così il modo di agire e quello di pensare.
ll problema maggiore della società attuale non ci sembra, però, la diffusione di stati psichici discordanti, quanto il fatto che gli individui della massa non percepiscono neppure le disarmonie. Essi non vivono, se non in modo superficiale ed effimero, quei contrasti che potrebbero propiziare una crescita, la costruzione di una visione del mondo più scaltrita. Ad esempio, posti di fronte all’evidente falsificazione mediatica di un evento, sebbene per qualche istante gli utenti notino una contraddizione tra la versione ufficiale e la sua reale dinamica, presto cancellano ogni incongruenza per adagiarsi nell’inerzia e nella stasi del non-pensiero di regime. Qui la dissonanza non agisce: insinua solo un lieve dubbio che è tosto sublimato. Sarebbe auspicabile, invece, che la discrepanza cognitiva ed emotiva, portasse ad un lavorio che è presupposto di una maturazione.
Dunque, se la dissonanza non incide, non porta ad alcun cambiamento: la si può definire allora una dissonanza paralizzante. In casi estremi può provocare situazioni paradossali: si pensi a coloro che accolgono due o più “verità” cui aderiscono secondo il contesto e le richieste di una figura considerata carismatica. Anche in tali circostanze, la discrepanza conferma uno status quo psichico, coincide con una sclerosi nell’azione e nel pensiero che diventano inazione e non-pensiero, proprio gli obiettivi che il sistema si prefigge.
A torto qualcuno considera la dissonanza deleteria: lo è se causa di forti patimenti, ma senza contrasti interiori non si evolve. La vita è dinamismo, continua necessità di adattarsi a situazioni nuove, inattese. Le stesse nevrosi sono il sintomo di un dissidio che seguita a fermentare tra conscio e subconscio, il segno di un equilibrio che è sempre precario e non potrebbe essere altrimenti. Sono conflitti inevitabili e persino giovevoli allorché, se non degenerano in una una psicosi, portano ad un’evoluzione. Vero è che talora basta un nonnulla per trasformare una crisi di crescita in una crisi depressiva, eppure è la vita stessa ad essere ossimorica, antitetica.
In fondo gli antichi, pur senza usare i criteri interpretativi di orientamenti psicologici spesso più cerebrali che convincenti, avevano centrato il bersaglio: Eraclito l’oscuro scrive che “la guerra è madre di tutte le cose”. La guerra, lato sensu, è anche l’agone interiore che ci sprona a migliorare. Marco Aurelio annota in “A sé stesso”: “La vita assomiglia più ad una lotta che ad una danza”. E’ così: è una lotta in primo luogo con noi stessi, con quella parte di noi che ha più paura della luce che del buio.
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Mi sembra un ottimo invito in generale ed un'interpretazione corretta delle utili ed inevitabili dinamiche interiori, anche se a volte dolorose. Anche il dolore è nutrimento perché spinge alla cura, alla comprensione, all'ascolto. L'umor nero è angosciante ma è anche l'anticamera della creazione, del risveglio creativo, così come l'inverno lo è della primavera.
RispondiEliminaO si è umani ed allora si deve vivere tutto in modo comprensivo e coraggioso, oppure transumani (disumani) ed allora è meglio affidarsi alla psichiatria che tutto livella con le sue pozioni magiche, offrendo la soluzione artificiale di tutti i conflitti. Ovviamente si tratta solo di un paravento chimico ai conflitti che invece si ingigantiscono.
Paravento chimico ... già, proprio quello che abbiamo tutti e sempre sopra le nostre teste! Ciao
Commento esemplare, Ghigo, che sottoscrivo.
RispondiEliminaAnche Durer ad altri artisti rinascimentali ci insegnano che la melancolia è all'origine della creatività.
Ciao