Dino Buzzati (Belluno 1906 - Milano 1972), narratore, poeta, pittore e giornalista è noto soprattutto per il romanzo “Il deserto dei Tartari” (1940). Il suo stile è dimesso, la prosa è quasi grigia, eppure talora scintilla di improvvise accensioni liriche, si rileva in una massima pensosa, in una pennellata che cristallizza uno stato d’animo, un angolo di paesaggio: in questo modo l’ispirazione dello scrittore bellunese si anima di fremiti indimenticabili.
Di solito il discorso narrativo nei racconti – tra le sue cose migliori – procede lineare, con svolte inavvertite: sono snodi che sovente portano ad una rivelazione terribile, ad un epilogo tragico, ma la climax è lenta, estenuante e conduce alla conclusione attraverso passi tanto progressivi quanto fatali.
Buzzati è artista dalla vena metafisica: egli guarda alla realtà, scorgendone indizi surreali. Ascolta la natura e ne ode l’eco del soprannaturale, come se il confine tra l’al di qua e l’al di là fosse solo la linea sempre esitante della penombra.
La vita è esplorata in tutte le sue sfaccettature: la solitudine e l’incomunicabilità, l’anelito verso Dio, l’enigma della sofferenza e delle malattie, la ricerca inesausta, eppure sempre frustrata di un senso (si pensi al celebre testo “Il colombre”), la calamità che si abbatte fulminea su esistenze ordinarie, il tempo con il disfacimento, la santità e la depravazione… Il tono è per lo più elegiaco, ma non mancano sbuffi ironici.
Buzzati sfiora e fa vibrare un po’ tutte le corde delle emozioni e dei sentimenti: il suo tocco è delicato, gli accordi ed i contrappunti sommessi, come se l’autore avesse pudore ad interrogare il mistero del reale, per paura di ricevere le risposte che possiamo intuire.
Un’onda di malinconia fluisce in molte novelle, anche nelle storie rischiarate dalla fede, per bagnare dialoghi e personaggi colti nella loro nuda, vera umanità. A volte un’angoscia innominabile permea le pagine del N. e si coagula in scioglimenti che non sciolgono il dramma, lasciandoci con un nodo in gola. Sempre sentiamo palpitare una voce che evoca qualcosa di distante, di arcano, di spirituale.
Di seguito alcune riflessioni e sentenze tratte dai racconti di Buzzati.
“In cuor suo, Dio onnipotente vorrebbe che certe cose non succedessero, ma impedirlo non può, perché è stato da lui stesso deciso”.
“Il pianto di un bimbo basta ad annullare il mondo”.
“Neppure noi sappiamo ciò che ci attende; nessuno può conoscere i dolori, le sorprese, le malattie destinate forse all’indomani”.
“Percepivo già il tempo che s’era già impadronito di me e cominciava a divorarmi”.
“Ogni vero dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro”.
“Poi la giornata ricomincia a macinarmi con le sue aride ruote”.
“Anche noi nella notte, in mezzo alla campagna solitaria, non siamo più che ombre, fantasmi scuri con dentro l’invisibile carico d’affanni”.
“I cuori, quelle buie, sanguinanti scogliere”.
Di solito il discorso narrativo nei racconti – tra le sue cose migliori – procede lineare, con svolte inavvertite: sono snodi che sovente portano ad una rivelazione terribile, ad un epilogo tragico, ma la climax è lenta, estenuante e conduce alla conclusione attraverso passi tanto progressivi quanto fatali.
Buzzati è artista dalla vena metafisica: egli guarda alla realtà, scorgendone indizi surreali. Ascolta la natura e ne ode l’eco del soprannaturale, come se il confine tra l’al di qua e l’al di là fosse solo la linea sempre esitante della penombra.
La vita è esplorata in tutte le sue sfaccettature: la solitudine e l’incomunicabilità, l’anelito verso Dio, l’enigma della sofferenza e delle malattie, la ricerca inesausta, eppure sempre frustrata di un senso (si pensi al celebre testo “Il colombre”), la calamità che si abbatte fulminea su esistenze ordinarie, il tempo con il disfacimento, la santità e la depravazione… Il tono è per lo più elegiaco, ma non mancano sbuffi ironici.
Buzzati sfiora e fa vibrare un po’ tutte le corde delle emozioni e dei sentimenti: il suo tocco è delicato, gli accordi ed i contrappunti sommessi, come se l’autore avesse pudore ad interrogare il mistero del reale, per paura di ricevere le risposte che possiamo intuire.
Un’onda di malinconia fluisce in molte novelle, anche nelle storie rischiarate dalla fede, per bagnare dialoghi e personaggi colti nella loro nuda, vera umanità. A volte un’angoscia innominabile permea le pagine del N. e si coagula in scioglimenti che non sciolgono il dramma, lasciandoci con un nodo in gola. Sempre sentiamo palpitare una voce che evoca qualcosa di distante, di arcano, di spirituale.
Di seguito alcune riflessioni e sentenze tratte dai racconti di Buzzati.
“In cuor suo, Dio onnipotente vorrebbe che certe cose non succedessero, ma impedirlo non può, perché è stato da lui stesso deciso”.
“Il pianto di un bimbo basta ad annullare il mondo”.
“Neppure noi sappiamo ciò che ci attende; nessuno può conoscere i dolori, le sorprese, le malattie destinate forse all’indomani”.
“Percepivo già il tempo che s’era già impadronito di me e cominciava a divorarmi”.
“Ogni vero dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro”.
“Poi la giornata ricomincia a macinarmi con le sue aride ruote”.
“Anche noi nella notte, in mezzo alla campagna solitaria, non siamo più che ombre, fantasmi scuri con dentro l’invisibile carico d’affanni”.
“I cuori, quelle buie, sanguinanti scogliere”.
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