03 giugno, 2017

Cataste



Nel componimento intitolato “La belle dame sans merci”, Montale rievoca un non-incontro, avvenuto in un anonimo albergo, con la donna amata. La disillusa poesia è imperniata sul tema dell’incomunicabilità, ma l’autore estende la sua amara Weltanschauung alla vita intera di cui le incomprensioni tra uomo e donna sono soltanto una sfaccettatura.

L’io lirico si sofferma a descrivere i due mentre consumano la prima colazione. I silenzi sono imbarazzati, gli sguardi freddi, ognuno è perso nei suoi pensieri, chiuso in un guscio di solitudine: “Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due / e il nostro breakfast gela fra cataste / per me di libri inutili e per te di reliquie / che non so: calendari, astucci, fiale e creme”.

Ecco: i libri sono oggetti “inutili” quanto gli altri. Formano delle “cataste”, termine che sottolinea la loro inanità. Li vediamo ammucchiati sul tavolino, con i dorsi mezzo consunti, le copertine gualcite, qualche segnalibro che pende pigramente... E’ così: anche i libri sono superflui, come le carabattole, le profane “reliquie” della donna. Sì, alcuni volumi ci possono donare qualche minuto di conforto, a guisa di una canzone, possono persino illuminare un aspetto recondito del mondo, aiutarci a dimenticare la felicità del passato – è la felicità del tempo trascorso a bruciare l’anima, perché dal confronto tra il passato e lo sterile presente, tra la vita com’è e come sarebbe potuta essere, scaturisce l’inesauribile sorgente del dolore.

Nonostante ciò, bisogna riconoscere che tutta la letteratura e la saggistica fino ad oggi pubblicate non possono cambiare di una virgola lo stato delle cose. Vogliamo forse credere che i manuali quantici sul pensiero positivo e scempiaggini simili ci renderanno ipso facto ricchi, belli e felici? [1]

Lo precisiamo: la lettura dei classici è fondamentale, ma non attendiamoci chissà quali miracoli da codeste e da altre opere. Ecco perché i tomi sono adatti all’arredamento. Alla fine molti di essi non saranno mai squadernati, mai letti. Resteranno lì muti ed inerti, come i mattoni di una parete nuda.

Perché, a ragione, Montale, definisce i libri “inutili”? Perché essi sono composti da una babele di parole: esiste qualcosa di più vano delle parole? Esse sono soltanto l’altra faccia del silenzio, della reciproca indifferenza. Sono suoni vuoti, graffi trascurabili. Ogni cosa è inconsistente nell’universo: il destino come la libertà, la speranza come la disperazione, la sapienza come l’ignoranza, il giorno come la notte..., tutti gli opposti e pure i loro corollari.

Tutto è niente. Per questo motivo Heidegger osserva con intelligenza che, quando chiediamo a qualcuno che vediamo demoralizzato, che cosa lo turbi, colui, rispondendo “niente”, è sincero e va al cuore del problema. Essere avviliti davvero significa comprendere che la sostanza di ogni esperienza, dolorosa o lieta che sia, è il nulla. Il filosofo tedesco si riferisce più ad uno stato ontologico che esistenziale, ma centra la questione. E’, infatti, la mancanza di significato, di prospettiva, di consequenzialità ad annichilire la condizione umana.

E’ dunque vero quanto è scritto nell’Ecclesiaste: “Vanità delle vanità, vanità delle vanità, tutto è vanità”... anche riflettere sulla vanità.

[1] E’ come pensare che Federico De Massis - Task force butler possa diventare avvenente e snello, compulsando un prontuario sulle diete dimagranti. E’ e resterà sempre un bisunto trippone dalla voce fessa.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

2 commenti:

  1. Bello questo che annoti: "Sì, alcuni volumi ci possono donare qualche minuto di conforto, a guisa di una canzone, possono persino illuminare un aspetto recondito del mondo, aiutarci a dimenticare la felicità del passato – è la felicità del tempo trascorso a bruciare l’anima, perché dal confronto tra il passato e lo sterile presente, tra la vita com’è e come sarebbe potuta essere, scaturisce l’inesauribile sorgente del dolore". Questo e' molto significativo, ma e' proprio tale sorgente ad aver irrigato tutte le molteplici germogliazioni della dolorosa, stupefatta meraviglia indotta dall'esistenza ad una coscienza autenticamente consapevole di se stessa...e tale consapevole benche' inquieta e indagativa incertezza il progresso dimostra di voler abrasare dall'interiorita' di ognuno. Certo e' che l'accumulare libri puo' essere considerata un'autentica mania, una sorta furore elettivo mai appagato e certamente non possiamo leggere tutto - con il "tutto" intendo circoscrivere solo lo scibile della letteratura propriamente religiosa e umanista, i cui confini idealmente sono stabiliti da Omero e i presocratici a occidente e la saga di Gilgames e i Veda ad oriente, e dai quali si snoda il dedalo di un tortuoso e prodigioso cammino detto appunto sapienziale, che potremmo idealmente concludere alla prima meta' del secolo scorso. Eppure anche se da noi raccolti in frammenti disarticolati, i pensieri dei nostri Maggiori aiutano in ogni caso a rinsaldare l'intuizione personale a cio' che di maggiormente ampio, dunque nobile, le preesiste. In fondo oggi, come gia' e' stato ampiamente notato, il potere non ha piu' bisogno di bruciare i libri poiche' progressivamente e' riuscito quasi del tutto a togliere alle persone il senso di leggere. Il senso di leggere non scaturisce da una superficiale acculturazione dalle finalita' solo aneddotiche. Desiderare di leggere sarebbe un po' come calare il secchio in un pozzo d'acqua sorgiva. La meraviglia o la consapevolezza della sua precipitazione accende nell'uomo la sete d'infinito. Questo senso superiore in noi moderni e' sembra essere sempre piu' ottenebrato. A ogni modo il contatto sensibile con determinate letture rimane essenziale quanto fondamentale, pena l'acuirsi della nostra demenza oggi perlopiu' equivocata per "scaltrezza digitale". Un saluto

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    1. Sì, Giovanni, concordo con quanto annoti con la tua consueta, straordinaria sensibilità. Sul tema avevo già riflettuto in altri testi: qui ho teso la corda della provocazione.

      Comunque aveva ragione Seneca ad osservare che bisogna diffidare delle persone che leggono moltissimi volumi, laddove è preferibile scegliere delle opere basilari. A quelle da Te citate, mi permetto di aggiungere Il libro dell'inquietudine di Pessoa, tomo che conclude la Letteratura occidentale per consegnarla al silenzio ed all'apertura verso l'Assoluto.

      Ciao

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