"Morire è ritornare al niente, come sembrano credere molti, o significa ridiventare il Dio unico, come per quegli scienziati di Princeton e Pasadena che concepiscono la scienza più moderna come via per lo Spirito e la Salvezza? Siamo uomini-macchina, come sostenne il lucido, spietato estremismo illuministico (La Mettrie, De Sade), o siamo idee divine, sogni di Brahma? Nel primo caso, la morte è una semplice operazione di smontaggio. Nel secondo, è un transito: noi siamo un sogno di Dio... con la morte torniamo al sognatore divino, che ci riassorbe in sé, nell'unità senza tempo e senza spazio della sua coscienza unica". Così riflette Giuseppe Conte, nel saggio Il sonno degli dei, Milano, 1999.
La morte, tema cruciale, domanda vertiginosa sull'orlo del baratro.
Di nuovo, se per qualche istante trascuriamo i significati, le concezioni, le tradizioni sulla morte, cercando di estrarre i suoni, le forme ed i loro frantumi, scopriamo sbalorditivi accostamenti. Così, se circoscriviamo l'analisi ad alcune lingue indoeuropee, caviamo fonemi taglienti dal vocabolo "morte": mort(em) in latino, ma anche obitum, letum, exitium, interitus, caedes; in inglese death; in tedesco Tod; in greco, la precipite morte è il tremendo vocabolo thànatos; in sanscrito mrti. A prescindere dai valori semantici, questa T, che è anche una croce, segmenta la vita e recide il filo sottile dell'esistenza. Questa T è lama affilata e patibolo su cui è appeso il cosmo: l'universo come crocifissione primigenia bisognosa di redenzione tramite il supremo sacrificio.
Nello scrigno delle coincidenze e dei voli etimologici, la morte splende sinistramente con una chiostra di denti (death, tooth, teeth...). E' forse per questo che, secondo una credenza popolare, sognare di perdere un dente preannuncia la morte di qualcuno.
"Stridore di denti".
Se l'orizzonte dei significati è quasi sempre rassicurante o eufemistico, levigando la scabra morte con la quiete, l'oblio, il sonno, il passaggio..., il ritmo ossessivo delle dentali, simile al tremito fatale delle lancette che, ad uno ad uno, strappano gli attimi dell'esistenza, echeggia nella tranquilla dimora dei giorni. La morte, sorella del tempo.
Se il ticchettio si perde, un po' alla volta, nell'immemore melodia del silenzio, la fine non dev'essere temuta.
Nella foresta, al calar del sole, si spengono i colpi del picchio sul tronco dei larici.
La morte, tema cruciale, domanda vertiginosa sull'orlo del baratro.
Di nuovo, se per qualche istante trascuriamo i significati, le concezioni, le tradizioni sulla morte, cercando di estrarre i suoni, le forme ed i loro frantumi, scopriamo sbalorditivi accostamenti. Così, se circoscriviamo l'analisi ad alcune lingue indoeuropee, caviamo fonemi taglienti dal vocabolo "morte": mort(em) in latino, ma anche obitum, letum, exitium, interitus, caedes; in inglese death; in tedesco Tod; in greco, la precipite morte è il tremendo vocabolo thànatos; in sanscrito mrti. A prescindere dai valori semantici, questa T, che è anche una croce, segmenta la vita e recide il filo sottile dell'esistenza. Questa T è lama affilata e patibolo su cui è appeso il cosmo: l'universo come crocifissione primigenia bisognosa di redenzione tramite il supremo sacrificio.
Nello scrigno delle coincidenze e dei voli etimologici, la morte splende sinistramente con una chiostra di denti (death, tooth, teeth...). E' forse per questo che, secondo una credenza popolare, sognare di perdere un dente preannuncia la morte di qualcuno.
"Stridore di denti".
Se l'orizzonte dei significati è quasi sempre rassicurante o eufemistico, levigando la scabra morte con la quiete, l'oblio, il sonno, il passaggio..., il ritmo ossessivo delle dentali, simile al tremito fatale delle lancette che, ad uno ad uno, strappano gli attimi dell'esistenza, echeggia nella tranquilla dimora dei giorni. La morte, sorella del tempo.
Se il ticchettio si perde, un po' alla volta, nell'immemore melodia del silenzio, la fine non dev'essere temuta.
Nella foresta, al calar del sole, si spengono i colpi del picchio sul tronco dei larici.
APOCALISSI ALIENE: il libro
TANKER ENEMY TV: i filmati del Comitato Nazionale
Benché le nostre tradizioni religiose, le grandi scuole di pensiero ci dicano che la vita non finisce con la morte del corpo, creano al contempo una profonda divisione tra quello che chiamiamo vita e quello che chiamiamo morte, basterebbe guardare solo una funzione religiosa per accorgersi: Signore, Signore chi chi sosterrà il tuo giudizio? o chi canta il Dies irae "L'ira di Dio".
RispondiEliminaIl peccato, la paura, il giudizio, la punizione, che follia!! Che spaventoso errore, che ha percorso i secoli, le generazioni, con profondo senso di sadismo, che ha rovinato intere esistenze solo per poter esercitare un potere sulla vita.
Che follia rendere la morte terribile, senza in realtà sapere cosa sia, come sia, solo per poter controllare, gestire la vita della gente, pur non sapendo in realtà cosa sia la vita, né la sua ragione vera, né perché vi sia una vita in questo corpo ed una vita in un'altra dimensione.
Allora vi dovrebbero essere due vite, perché è così che ci viene insegnato, questa vita e l'altra vita, senza conoscere né l'una né l'altra, ma ... volendole controllare entrambe.
Ben ragione aveva Confucio quando diceva:
"Non potrà mai conoscere la morte chi non sa che cosa sia la vita, conoscete la ragione della vita e conoscerete la ragione della morte".
Cordialmente, wlady
La vita, ma forse bisognerebbe definirla esistenza, è intrecciata con la morte, in modo inestricabile e già il neonato comincia a morire (o ad avvicinarsi alla vita?). Ambedue sono misteriose.
RispondiEliminaMi piace un aforismo di Leonardo da Vinci su questo tema e che riporto a memoria: "Quando avremo imparato a vivere, allora dovremo imparare a morire".
Ciao e grazie del bel contributo.
La vita è come un respiro, la morte come il sonno. Siamo solo sogni reincarnati di speranza, anime in tumulto nell'armonia del cosmo.
RispondiEliminaEsseri plasmatori in cerca di luce, colori della coscienza celeste.
Spero che queste parole riescano a trasmettervi il mio pensiero.
Saluti
Ciao Fenice, non so se la morte sarà come il sonno. Così la intendevano in genere alcune culture antiche aurorali ed alcuni poeti, ma poi la concezione cambiò. Recenti indagini concernenti le N.D.E. (si leggano gli articoli di Corrado su scienzamarcia) paiono fornire degli indizi che la morte sia il passaggio verso altre dimensioni, ma ammetto che siamo nel campo delle ipotesi.
RispondiEliminaCerto, la vita è breve respiro.
Ciao e grazie.
Dalle mie esperienze ultrafaniche fatte negli anni '70, insieme ad altri amici, comprendemmo poche cose, poveri come eravamo di dottrine metafisiche - leggevamo testi di metapsichica - ma perennemente portati a sperimentare. Il nostro motto era ed è ancora LA VERITÀ È SPERIMENTALE. L'individuo trapassato, colui che cambia dimora, non scompare totalmente come tale, ma sussiste come una coscienza individuale che della personalità perduta conserva alcune caratteristiche. Prima fra tutte il suono della voce, ma questa coscienza è come una sorgente di energia spirituale, libera dalle contingenze che condizionano il parlare e l'esprimersi. Non v'è grammatica e sintassi. Ci si esprime in forme di linguaggio sintetico, simbolico. Altra caratteristica è l'aggregazione nella coscienza del trapassato di nuclei di memoria bio storica presenti nella linea destinale della propria schiatta. Nuclei che si incastrano perfettamente. Il complesso coscienziale assume una certa tensione spirituale, un quid luminale, sulla base della sua ricerca interiore condotta durante l'esperienza umana su questo piano. Eravamo allora reincarnazionisti, ma i contatti che avemmo con tali sorgenti spirituali ci indicarono l'esatta concezione: non ci si reincarna, si trasmigra. Scusate amici, ma non ho usato un lessico indù piuttosto che teologico, né tantomeno ermetico. Gli effetti speciali non occorrono, ho solo raccontato alcune esperienze oltre la soglia, esperienze che mi hanno portato a camminare con meno incertezza lungo la via. Ricordate, la voce è la nostra firma per l'eternità.
RispondiEliminaAngelo Ciccarella
Eppure noi abbiamo paura di lasciare questo corpo, anche se lasciamo questo corpo ogni sera quando andiamo a letto o in ogni momento in cui passiamo dallo stato di veglia allo stato di sonno o di sogno.
RispondiEliminaProprio così, proprio quando lasciamo il nostro corpo al momento della morte, lo lasciamo ogni volta che entriamo in uno stato di sogno o di sonno profondo, il nostro corpo fisico resta in un letto a riposare, a ricaricare le sue batterie, e noi saliamo su un corpo più sottile per andarci a godere il nostro stato di sogno o lo stato di sogno senza sogni.
Infatti nello stato di coscienza di sogno noi viviamo una vita completamente diversa da quella di veglia, vedendo, ascoltando, toccando, gustando, odorando essendo legati al corpo fisico.
Noi nel sogno utilizziamo altri sensi, sensi che possiamo chiamare sottili in un corpo sottile, abbiamo delle possibilità più espanse, possiamo provare sentimenti o emozioni, possiamo muoverci a piacimento senza impedimenti di spazio; il nostro tempo a tutt'altra dimensione, non viene più calcolato in ore o in minuti, ma attraverso sensazioni.
E' un tempo vissuto solo nel presente del sogno, ma noi siamo estremamente vivi, sia pur in una dimensione diversa, siamo soggetti agli alti e bassi della nostra mente, agli entusiasmi e alle depressioni che abbiamo già provato nello stato di veglia che vengono rivissute come se fossero riformulate da un computer psichico a suo piacimento.
Dal giorno della nostra nascita fino al giorno della nostra morte, l'esperienza della nostra vita è una verità relativa sempre mutevole, che noi però consideriamo molto reale, non è invece né reale, né permanente, questo deve essere compreso perché è di vitale importanza.
(Vi è una storia nella letteratura indiana che approfondisce questa realtà).
wlady
Molto interessante quanto scrivi, Angelo. Se alla coscienza individuale si agglutinano ancestrali memorie bio-psichiche, mi chiedo se in questo collegamento dell'io con i suoi antenati c'entri il D.N.A. o una sua impronta.
RispondiEliminaSono comunque molto dubbioso sul destino oltre la soglia.
Ciao e grazie.
Wlady, esistono delle memorabili pagine di Achille Campanile sulla relazione tra sonno e morte, tra letto e cataletto.
RispondiEliminaLa vita è illusione e la morte?
Ciao
Zret, posso solo dare una sola spiegazione: la morte fa parte della vita, dove c'è la vita non c'è la morte, e dove c'è la morte non c'è la vita, sembra un gioco di parole stantie ma ... morte e vita non si incontrano, ma sono complementari l'una all'altra, come dire che nulla si crea e nulla va distrutto ma tutto si trasforma per ripetersi all'infinito.
RispondiEliminaSiamo formati di strati di energia compenetrati l'uno nell'altro, questi strati di energia che vanno dall'energia più sottile a quella più grossolana della materia fisica, formano i nostri corpi, Jnaneshwar Maharaj, un grande santone vissuto nel XIII° secoloci dice che l'intero corpo è come un loto, che ha quattro petali di quattro forme, colori e dimensioni diversi, e che ogni uno di questi ha il suo significato intrinseco.
Il primo è il corpo fisico il cui colore è rosso,
il secondo petalo è il corpo sottile, nel quale dormiamo e facciamo l'esperienza dei sogni, ha la dimensione di un pollice ed è il colore bianco,
il terzo petalo è il corpo causale, grande come la punta del dito medio, e di colore nero,
il quarto petalo è il corpo sopracausale, piccolo come un seme di sesamo e di colore blu o oro, quest'ultimo corpo è importantissimo, è molto brillante è il fondamento del "Sadhana" ed è la più alta visione interiore.
wlady
la critica della morte.....
RispondiEliminabuon giorno zret.
Wlady, la tradizione indiana fu ripresa in parte da Steiner. Altro che rasoio di Ockham: qui gli enti si moltiplicano a dismisura.
RispondiEliminaPer quanto mi riguarda, mi auguro che abbiano ragione Epicuro e Lucrezio.
Anto-az, credo che la vita e la morte siano temi da cui non si può prescindere.
Ciao e grazie.
Caro Zret, sai bene che non so tutte le cose che voi sapete, ma ho trovato dolcissimo e poetico questo post che sembra melanconico, ma ho intravisto una nota positiva invece nel tuo linguaggio. In particolare nella frase finale:
RispondiElimina"Nella foresta, al calar del sole, si spengono i colpi del picchio sul tronco dei larici."
Ecco questa poetica descrizione non fa niente altro che constatare una realtà normale e consueta, un normale svolgimento degli eventi. E'un'accettazione di qualcosa che è così nell'ordine naturale delle cose. Così amici è la morte, da sempre, da quando c'è la vita c'è anche la morte ed è semplicemente un'armonia di processi che sono da sempre. Non sto a dire da cristiana cosa è la morte per me. Dico solo c'è, e ogni cosa c'è perchè ha un senso. Niente ci spaventa, tutto indaghiamo e studiamo ma questa ci opprime, ci fa paura, perchè? E' una fase vissuta da sempre da moltitudini di esseri. Tutti ci sono passati e tutti ci passeremo e sarà un passaggio, a cosa? Non è questo il punto, il punto è la vita, qualsiasi credo abbiamo, qualsiasi idea, ciò che veramente importa non è la morte, ma la vita, come viviamo questa vita.
Una bella frase mi pare di Cohelo, che a proposito dell'epitaffio su una tomba scrive " è morto mentre era ancora vivo".
Questo è il senso vivere da uomini e donne vere, fino all'ultimo soffio vitale.
Bellissime parole, Cleonice. Anche il dipinto che ho scelto per l'articolo esprime un'ariosa, alata speranza, con l'apertura della grotta su un cielo solcato da nubi leggiadre e serene.
RispondiEliminaCiao e grazie.
L'esistenza è il gioco inconsapevole di uno sperimentatore inorganico e bio-cosmico...
RispondiEliminaCiao!
Claudio, la tua riflessione si riallaccia un po' ad un pensiero di Hawking cui dedicasi tre anni fa il breve testo "La domanda di Hawking".
RispondiEliminaCiao e grazie.