29 maggio, 2017

Elogio del dolore



Ha una sua ragion d’essere il dolore nella vita o la sofferenza è sempre e comunque da rifuggire? Pur senza santificare il sacrificio, bisogna riconoscere che i patimenti possono, almeno in certi casi, aiutare a comprendere sé stessi ed il mondo, possono anche essere sorgenti di creazioni sublimi. Quante pagine memorabili, quanti dipinti sono trasfigurazioni di sentimenti tormentosi!

Certo, anche la joie de vivre, per dirla alla Matisse, ha ispirato opere luminose. Tuttavia è la dove la pena si sublima, là dove arde l’amore disperato per la vita, che si manifesta il capolavoro: si pensi ai quadri di Van Gogh, con il cromatismo acceso e le pennellate nervose a tradurre il senso di una passione assoluta.

Il dolore dunque ci rende vivi, umani e feconda le nostre esperienze, a condizione che non sia così forte ed ininterrotto da condurre alla follia, purché non si atrofizzi nell’abitudine e nella noia, E’ codesto il pericolo: che ci assuefaccia alla tortura del quotidiano a tal punto da spegnere il desiderio e da far estinguere la fiamma del sogno.

Non è desiderabile essere tormentati dai fantasmi del passato, ma neppure dimenticare – complice, ad esempio, un rimedio chimico – vissuti infelici: essi concorrono a definire il disegno del tempo, non meno delle purtroppo rarissime gioie. Ecco il punto: la tribolazione e la felicità dipendono dal tempo che le sostanzia, dà loro forma. Se un giorno saremo emancipati dalla dimensione cronologica, né il patimento né la letizia potranno esistere, sostituiti da una pienezza che, mentre cancella ogni sconforto, innalza la giocondità nel dominio della beatitudine, della serenità, dell’estasi.

Perciò si apprezzi, se non altro in talune circostanze, l’afflizione, senza la quale il piacere (“piacer, figlio d’affanno”, scrive Leopardi) non si assaporerebbe in tutto il suo gusto, purché si ammetta che il dolore è irrazionale, disarmonico. Esso appartiene all’esistenza ed a questa valle di lacrime, ma la natura, gli esseri viventi tutti smaniano nell’attesa di essere liberati dal pungolo del male. E’ inconcepibile che nei “nuovi cieli e nella nuova terra” sopravvivano anche solo le ombre dell’iniquità e dell’angoscia: se le sopportiamo, è perché sappiamo distillarne qualche goccia di speranza.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

25 maggio, 2017

Necessità della Terza guerra mondiale



E' tipico dell'uomo rincorrere una palla o una lepre e dimenticare le cose importanti. (B. Pascal)

Molti paventano, vista la precaria situazione degli equilibri planetari, i numerosi focolai e soprattutto i progetti escogitati dalla cricca, lo scoppio di una Terza guerra mondiale. Ragioniamo: dobbiamo temerla o desiderarla? Non sembri un atteggiamento bellicista, ma siamo inclini ad auspicare una deflagrazione totale, considerata l’irremissibile decadenza del genere umano. Si pensi alle nuove generazioni che, esclusa una manciata di individui, sebbene non siano del tutto corrotte, sono ormai formate da enfants gâté, da adolescenti viziati che dilapidano il loro vacuo tempo ad armeggiare con i cellulari, a cianciare di demenziali partite o di becere serie televisive. Intorno tutto si deteriora, si sgretola, crolla, ma a chi importa?

E’ questa l’umanità attuale: più spregevole che malvagia, poiché il male può assurgere ad una sua grandezza che oggi ci è negata. La “civiltà” occidentale non conosce veramente né i morsi della vera fame né l’arsura della vera sete; ignora gli orrori della guerra, rimpiazzati da surrogati catodici che nemmeno sfiorano spettatori annoiati ed insensibili.

Dispiace che, se dovesse abbattersi una sciagura epocale su questa miserabile umanità, anche chi sa ancora apprezzare i valori dell’esistenza, chi si indigna e si amareggia non per la sconfitta subita dalla squadra del cuore, ma per la distruzione del pianeta, della cultura, della dignità, di tutto, sarà colpito, spazzato via come gli altri.

Tuttavia forse - così suggeriscono talune tradizioni - alla fine (o prima della fine), dopo la grande tribolazione, il grano sarà separato dal loglio: il loglio sarà bruciato e, dopo un po’ di tempo, i venti ne disperderanno la cenere. Per sempre.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

21 maggio, 2017

Paradise lust



Lo sterminio dei campi. (A. Zanzotto)

Se ci è ancora concesso di vivere un’esperienza significativa in questo mondo inaridito, avviene quando possiamo – in casi rarissimi oggigiorno – contemplare un paesaggio, trascorrere un po’ di tempo in un parco, aver cura di un giardino o di un orticello. Davvero, se esiste il Paradiso, esso è simile ad un verziere: d’altronde Paradiso significa appunto “giardino”. Non è solo la bellezza delle fonti, degli alberi e dei fiori, dalle forme e dalle tinte più disparate a suscitare una sensazione, per quanto effimera, di estasi. Non è solo il gioco sempre diverso di luci e di rezzi, quanto la coscienza di essere immersi in qualcosa di vivo: i tronchi ed i rami impercettibilmente si ispessiscono, le fronde crescono, riempiendosi di gemme e di foglie, i frutti si coloriscono, i boccioli un po’ alla volta si schiudono per esibire corolle variopinte... E’ dunque un universo vivace, fluido, percorso da linfe, da umori, da tensioni.

I sentimenti che si provano di fronte ad uno spettacolo siffatto sono ineffabili: se ne esiste uno che può, almeno in parte, rendere quanto si prova, è la nostalgia, un desiderio intenso, struggente ed indefinito. E’ forse il ricordo confuso e crepuscolare di un’età dell’oro per sempre perduta, quella evocata in tanti miti primordiali, quando non esisteva il male, solo perché non lo si concepiva, prima che il tempo profanasse il tempio della vita su cui si proiettarono le ombre della colpa, del disfacimento e della morte, prima che si avviasse l’assordante motore della storia.

Così talora ci è ancora concesso di vivere un’esperienza feconda in questo mondo sterile. Persino per qualche istante sogniamo un’impossibile riconciliazione, il ritorno all’armonia iniziale, l’apocatastasi.[1] E’ solo un sogno più labile ed evanescente della realtà...

[1] Secondo il teologo e filosofo Origene, alla fine dei tempi avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino. Questo ristabilimento si definisce “apocatastasi”.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

17 maggio, 2017

La minaccia



Il quarto angelo suonò la tromba ed un terzo del sole, un terzo della luna ed un terzo degli astri fu colpito e si oscurò: il giorno perse un terzo della sua luce e la notte ugualmente. (Rivelazione)

Nel testo "L'invasione degli intraterrestri" ci ponevamo la seguente domanda: "Forse siamo stati distratti dalle sfere che brillano in cielo. Quante pellicole stanno annunciando un’invasione dallo spazio! Depistaggio?” Alla luce di ulteriori indizi, saremmo inclini ad ipotizzare proprio un tentativo di sviare l’attenzione dalla vera minaccia futura che probabilmente non giungerà dal cielo.

Werner Von Braun preconizzò che il terrorismo “islamico” ed i meteoriti sarebbero stati usati dal sistema come spauracchi. Lo scienziato tedesco previde anche una falsa invasione aliena che sarebbe stata il pretesto per coagulare il consenso dei governi e delle nazioni contro il nemico esterno, insomma l’espediente decisivo per l’instaurazione del Nuovo ordine mondiale. Non si vede perché, adempiutesi le prime due “profezie”, non dovrebbe avverarsi la terza.

Il pericolo esiste, ma non viene dall’alto, quanto – si può presumere - dalle viscere della Terra. Tradizioni antiche e miti contemporanei (si pensi almeno a Bulwer Lyton ed ai Deros di Richard Shaver, pericolosi esseri animati dalle peggiori intenzioni), cercano di attirare l’attenzione sulla vera insidia e sulla sua ubicazione. Noi, però, siamo attratti e distratti dalle profondità cosmiche, dai visitatori delle stelle, dai “prodigi” celesti, dagli esopianeti simili alla Terra, l’ultima fandonia della nasuta N.A.S.A.

Intanto, però, il livello di radiazioni nucleari aumenta in tutto il pianeta e le energie ionizzanti, stando ad alcuni ricercatori, creano l’ambiente adatto alla genia che da millenni alberga nel sottosuolo, una stirpe nefanda ormai prossima ad uscire dai suoi tenebrosi nascondigli. Nel contempo l’energia solare, datrice di vita, sta scemando...

Intanto le scie, che deturpano il cielo, lo trasformano in un gigantesco schermo su cui proiettare fallaci ologrammi?

Fantasie? Ipotesi peregrine? Chi vivrà vedrà... ma quanto potrà fidarsi di quanto vedrà?

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APOCALISSI ALIENE: il libro

13 maggio, 2017

Il cellulare ed il cielo



Dal cielo è questa penombra / che senza termine è la fede / anche dell’insetto che procede / dalla foglia immemore alla stella. (A. Zanzotto).

E’ ormai impossibile qualsiasi coesistenza, qualsiasi conciliazione: la stragrande maggioranza dell’umanità ha gli occhi fissi al cellulare; pochissimi sono ancora abituati ad osservare il cielo. Ciò avviene in senso letterale, ma pure metaforico. Il telefono cellulare, con tutte le sue “evoluzioni intelligenti” (mai l’intelligenza fu tanto sciocca), è emblema di una società adescata dalla tecnologia, anzi convertita essa stessa in un oggetto, reificata. Niente e nessuno potrà mai scalfire la massa in cui si è spento anche l’ultimo battito. Il contegno della massa non è adattamento né rinuncia, piuttosto adesione inconsapevole e piena al non pensiero unico, alla morte dell’immaginazione.

E’ indubbio: il destino ed il futuro appartengono a quell’esigua minoranza che sa ancora porsi delle domande, che non si lascia ammaliare dal canto stonato di sirene sintetiche. Il destino ed il futuro appartengono a quelli che sono capaci di indagare e contemplare: costoro, anche quando guardano il firmamento, per cogliere segni e forse presagi di quanto sta per accadere, intuiscono che lo stesso cielo cela qualcos’altro… Comprendono che “l’essenziale è invisibile agli occhi” (A. De Saint Exupery).

Essi non ignorano gli eventi, ma, in luogo di lasciarsi risucchiare dai “fatti”, passano accanto alle circostanze: guardano oltre per tentare di intravedere uno spiraglio, una fenditura nell’uniforme parete del mondo. Questa avanguardia affronta le sfide della vita, ma non ignora che il cimento più arduo è e sarà affrontare sé stessa.

Si vive così una condizione ossimorica, con la coscienza che la realtà si nutre di contraddizioni e di antitesi. Si procede attenti alle innumerevoli variabili, senza trascurare quei particolari che potrebbero chiarire l’intero quadro.

Ci si protende verso il fine della fine, consapevoli che niente è facile né gratuito, ma lasciandosi indietro le illusioni fatte baluginare innanzi agli occhi vacui degli schiavi. Sono grandi illusioni, ma più grandi saranno le delusioni.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

07 maggio, 2017

Atei e credenti



Talora siamo inclini ad invidiare due categorie di persone: gli atei ed i credenti. Irreligiosi e devoti non sono poi così diversi: gli uni e gli altri possiedono delle certezze negate agli scettici, ossia i cercatori della verità. Vero è che è difficile trovare degli atei coerenti e dei fedeli del tutto compenetrati dalle loro convinzioni, tuttavia i dubbiosi restano in un limbo dove sono senza sosta sollecitati da forze avverse e quasi equipollenti che impediscono loro di scegliere una direzione purchessia.

Riconosciute come sciocche le motivazioni dei miscredenti-dogmatici, specialmente quando radicate in un rozzo scientismo, gli esploratori degli universi non riescono ad aderire alle posizioni di chi ha fede, non tanto perché distolti dal problema del male, ma in quanto manca loro un quid, forse il kairòs, l’occasione propizia per abbracciare una rivelazione. Costoro non sono toccati da quella che i teologi chiamano Grazia. Così si resta in attesa di una svolta che pare non giungere mai. Ha ragione Alessandro Manzoni quando scrive: “E’ meglio tormentarsi nel dubbio che adagiarsi nell’errore”. Tuttavia sarebbe preferibile non essere tormentati, ma attingere, se non una sicurezza, almeno una bussola per orientarsi nel mare magnum e burrascoso della vita e della morte.

E’ comunque indubbio che gli indagatori, anche qualora un giorno decidessero di accogliere un convincimento sul mondo soprannaturale, resterebbero sempre degli isolati ed il loro cambiamento non si tradurrebbe mai in un’affiliazione ad una confraternita, giacché è nelle chiese che la spiritualità diventa idolatria, è nelle chiese che tutti i princìpi più alti si desublimano nei disvalori più abietti, benché celati da spessi veli di ipocrisia.

Infine per credere bisogna rinunciare a porsi troppo domande, occorre dimenticare la Storia, l’Archeologia, la Filologia etc. Ciò non vuol dire sia necessario essere ignoranti, ma ammettere che la conoscenza è sempre relativa, dovendosi arrestare di fronte a connaturati limiti gnoseologici ed epistemologici.

In questi tempi difficilissimi e liminali, bisogna solo augurarsi che i cercatori sappiano aprirsi, pur mantenendo discernimento, a prospettive ulteriori e che i credenti siano capaci di preservare spirito critico ed elasticità mentale, fino a quando le differenze tra pionieri e devoti sfumeranno, grazie alla fede in sé stessi e per mezzo della fiducia (e non è facile averla) nella profonda, sebbene sovente invisibile, giustizia del tutto.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

01 maggio, 2017

Segnalazioni



Quanti si ostinano ancora a segnalare siti ed articoli che finalmente svelano la “verità ultima” o individuano la risoluzione di ogni problema! Com’è facile immaginare, sono portali “quantici” o cose simili. Riflettiamo: è poi così importante conoscere la “verità ultima”? Inoltre è possibile conoscerla? Pessoa ritiene che non sia possibile. Scrive il celebre autore portoghese: “Non esiste altro problema, se non quello della realtà e questo problema è insolubile e vivo”. Ancora: “Nessun problema ha risoluzione. Nessuno di noi scioglie il nodo gordiano; tutti noi desistiamo o lo tagliamo. Per conseguire la verità, ci mancano dati sufficienti e processi intellettuali che chiariscano l’interpretazione di quei dati”.

Quanti si ostinano a segnalare libri risolutivi! Si continuano a pubblicare testi presentati come la summa del sapere, come la rivelazione finale, ma, nel migliore dei casi, possono solo rischiarare per un istante l’oscurità in cui è avviluppato l’universo. Si può lumeggiare una sfaccettatura di un tema, chiarire un significato o definire un’etimologia, rispolverare un’intuizione dimenticata, ma non ci risulta che alcunché possa essere radicalmente cambiato, dopo aver letto qualche saggio.

Tralasciamo tutte quelle segnalazioni attinenti alla cronaca di questi tempi ferrigni: è sufficiente un briciolo di discernimento per comprendere la piega (sinistra) che hanno preso gli eventi e la direzione verso cui ci stiamo incamminando. Non abbiamo quindi bisogno di scavare fosse già scavate.

Nel campo delle domande fondamentali, le indicazioni che si ricevono sono di deprimente banalità e sempre le stesse da tempo immemorabile. E’ cambiato un po’ il linguaggio, ma la sostanza è la medesima. Annota sempre Pessoa: “La vita è un gomitolo che qualcuno ha aggrovigliato”. E’ così: è impossibile trovare il bandolo della matassa, anzi, più ci incaponiamo nel tentare di districarla, più i fili si ingarbugliano.

Di fronte all’”infinita complessità delle cose” siamo più inetti di bimbi che cercano di camminare, dopo che per molto tempo si sono mossi solo carponi. Meglio: siamo viandanti costretti a scalare una ripida parete rocciosa, senza corde, senza chiodi, senza alcuna esperienza.

Non solo si creano illusioni, squadernando sentenze che sono balbettii, ogni volta in cui si additano sbocchi che sono vicoli ciechi, ma si dimostra superbia e persino un atteggiamento blasfemo rispetto all’imperscrutabile mistero della vita. Perché viviamo? Qual è il nostro destino oltre il fragile interludio terreno? Perché questa prolissità del cosmo, la ridondanza dell’essere, il vuoto incommensurabile del non-senso? Le risposte non soffiano nel vento, ma sono pietrificate nel più granitico silenzio.

Nota: le citazioni di Pessoa sono tutte desunte dal monumentale “Libro dell’inquietudine”.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

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