In un trascendimento continuo di sé stessi, quanto si scrive pare essere effimero, anche quando alcuni concetti erano stati messi a fuoco. In verità, si cerca una sintesi impossibile: si costruiscono modelli interpretativi che, di fronte a nuovi dubbi ed acquisizioni, rivelano presto l’ingiuria del tempo. E' come se quanto elaborato negli anni trascorsi non ci appartenesse più: non si tratta di incoerenza, perché alcuni princìpi restano validi, ma di avvertire l'inadeguatezza delle esegesi anche raffinate ed acute, di fronte ai problemi più ostici e refrattari. E' come se ogni volta si riuscisse ad osservare un particolare, mentre il disegno complessivo sfugge o viceversa. Il particolare, per quanto nitido, non ci consentirà mai di vedere il quadro nella sua interezza.
Così, talora rileggendo testi scritti anni or sono, ci si accorge che sono insufficienti, che l'intuizione ha squarciato il buio degli interrogativi solo per un attimo, simile ad una folgore che rischiara la notte. In primo luogo, il problema è costituito dal linguaggio denotativo che ha una presa sul reale molto limitata, per la sua intrinseca natura: molto più icastico è il linguaggio della poesia, ma ci slarga visioni interiori che sono incomunicabili, come tutto quello che dimora nel profondo.
Inoltre è qualità consustanziale al mondo la sua inafferrabilità: come acqua nella conchiglia della mano, cola via in pochi secondi tra gli interstizi delle dita.
So bene che sarebbe preferibile evitare di porsi tante domande. Sarebbe d'uopo forse rinunciare ad elaborare la "teoria unificata" della nostra vita, ma non è questione accademica, poiché da uno scenario "chiaro e distinto" dipende un briciolo di serenità, laddove contraddizioni, aporie, risoluzioni provvisorie, risposte più pencolanti dei dubbi formano un groviglio inestricabile.
Dovremmo forse accettare che ad una Weltanschauung se ne accostino o integrino altre pur tra loro incompatibili, ma tale attitudine, oltre ad essere estranea alla cultura cui, bene o male, in misura maggiore o minore, apparteniamo, rischia di creare una figura abnorme, come quella descritta da Orazio nell'Ars poetica.
Alessandro Manzoni saggiamente annotò: "Meglio tormentarsi nel dubbio che adagiarsi nell'errore". Sì, ma questo dubbio è un giaciglio di spini.
Così, talora rileggendo testi scritti anni or sono, ci si accorge che sono insufficienti, che l'intuizione ha squarciato il buio degli interrogativi solo per un attimo, simile ad una folgore che rischiara la notte. In primo luogo, il problema è costituito dal linguaggio denotativo che ha una presa sul reale molto limitata, per la sua intrinseca natura: molto più icastico è il linguaggio della poesia, ma ci slarga visioni interiori che sono incomunicabili, come tutto quello che dimora nel profondo.
Inoltre è qualità consustanziale al mondo la sua inafferrabilità: come acqua nella conchiglia della mano, cola via in pochi secondi tra gli interstizi delle dita.
So bene che sarebbe preferibile evitare di porsi tante domande. Sarebbe d'uopo forse rinunciare ad elaborare la "teoria unificata" della nostra vita, ma non è questione accademica, poiché da uno scenario "chiaro e distinto" dipende un briciolo di serenità, laddove contraddizioni, aporie, risoluzioni provvisorie, risposte più pencolanti dei dubbi formano un groviglio inestricabile.
Dovremmo forse accettare che ad una Weltanschauung se ne accostino o integrino altre pur tra loro incompatibili, ma tale attitudine, oltre ad essere estranea alla cultura cui, bene o male, in misura maggiore o minore, apparteniamo, rischia di creare una figura abnorme, come quella descritta da Orazio nell'Ars poetica.
Alessandro Manzoni saggiamente annotò: "Meglio tormentarsi nel dubbio che adagiarsi nell'errore". Sì, ma questo dubbio è un giaciglio di spini.
C'è da chiedersi se avremo il tempo di ricomporre il mosaico frantumato delle nostre vecchie certezze e verità, quello che è certo è che il disegno non è più lo stesso e come tu dici una visione d'insieme è ormai inattingibile. I tempi ci incalzano tanto più quanto maggiore sarebbe piuttosto il bisogno di pace e silenzio per riordinare i pensieri e ricompattare quel che resta della nostra anima violentata. Voglio mostrare e condividere qui i segni di vita che ho incontrato in un bosco secolare, seppure dopo una pioggia avvelenata e sotto un cielo stuprato:
RispondiEliminahttp://picasaweb.google.it/giulia060/SalamandrePezzateNelBoscoDiTecchiePU#
Mi sono detta: finchè ci saranno ancora loro ha senso che ci sia anch'io, ma se dovessero scomparire mi auguro di essere la prossima. Una piccola grande certezza tra tanti dubbi. Ciao
Giulia, ormai il mosaico è stato quasi completamente distrutto: ne restano poche, inutili tessere e forse solo il nulla ci potrà salvare da questo vuoto di senso, ma, finché esisterà un filo d'erba, continueremo a sperare.
RispondiEliminaBellissime le salamandre che hai fotografato!
Ciao e grazie.
Solo Dio ci potrà salvare da questo vuoto di senso!
RispondiEliminaDio è il senso!
Uomini e donne di buona volontà sono il senso!
La meraviglia della vita e della Creazione sono il senso!
Ogni vuoto sarà colmato di pienezza!
E noi ci saremo Zret
Essere pronti a rimettersi in discussione in ogni momento, per qualunque cosa, anche su ciò che ci sembra più assodato.
RispondiEliminaIl dubbio costante, vigile guardiano suglia soglia della coscienza, distruttore del veleno dell'orgoglio e di ogni certezza autoreferenziale.